Che ne è stato delle mostre Block Buster, cui ha dedicato, con Tomaso Montanari, il suo pamphlet Contro le mostre?
Il fenomeno è in fase di estinzione.
Cosa è accaduto?
Da un lato, anche in Italia si è cominciato a dare importanza alla qualità. Dall’altro, con ingressi e incassi limitati dalle restrizioni, organizzare rassegne generaliste e con grandi aspettative di pubblico è diventata un’impresa proibitiva. La pandemia ha inferto il colpo di grazia a un Moloch che macinava diecimila mostre l’anno: una situazione ingestibile, che non ha confronti in qualsiasi altro Paese europeo.
Congedate le iniziative commerciali, come la mettiamo con la Netflix art, intendo dire con la virtualizzazione dilagante delle mostre?
Il trasferirsi in rete è una forma di sopravvivenza, che non va demonizzata. I musei, le gallerie, perfino gli artisti stanno cominciando a sfruttare le potenzialità del Web: inevitabile che accadesse. Dico di più. Sono convinto che questa scelta inciderà parecchio sulle dinamiche future. Andiamo in direzione di mostre blended, dove l’online e l’offline coesisteranno, arricchendosi a vicenda.
L’attuale impasse ha dunque trasformato gli artisti in influencer, in promotori di sé stessi, scavalcando – un po’ come le case d’asta le gallerie – critici, curatori, art dealer?
Sino a qualche tempo fa sembrava che il mondo dell’arte fosse fermo al Novecento. La pandemia ha rovesciato il banco. Le gallerie e le fiere hanno dovuto prendere coscienza di non essere poi così diverse dalle agenzie di viaggio, in un’epoca in cui i voli si prenotano da casa, comodamente seduti sul divano, e hanno pensato di correre ai ripari. Gli artisti hanno fatto altrettanto. Mutandosi in influencer? Forse. Ma vivendo sempre il Web come uno spazio di assoluta libertà: un modo per sottrarsi alle regole del mercato che li costringe a diventare, ha scritto Jerry Saltz, come macchine fotografiche impegnate a riprodurre all’infinito sempre la medesima immagine.
In un articolo apparso sul “Corriere” qualche tempo fa lei ha parlato di “ritorno del corpo”. Ha qualcosa a che vedere con questa libertà?
Il digitale non cancella le esigenze del corpo, anzi. Quando usciremo da questo incubo, non potremo fare a meno di accalcarci per stabilire un contatto fisico con opere che, non dimentichiamolo, sono esse stesse dei corpi.
I musei, già duramente provati, si dovranno impegnare.
La soluzione – autarchica, e quindi quasi a costo zero – è a portata di mano. Istituzioni come Brera, gli Uffizi, la Galleria Borghese conservano nei loro magazzini un patrimonio sterminato. Perché non valorizzarlo, magari affidandosi allo sguardo obliquo di guest curators come scrittori, filosofi, cineasti?
Alla Galleria Borghese, a quanto mi risulta, nelle sale principali si fa spazio ai lavori di Hirst…
Hirst è un artista che mi interessa molto. Nel mio ultimo libro L’opera interminabile: arte e XXI secolo (Einaudi, 2019, Euro 40.00) gli ho dedicato un lungo capitolo. Ciò, tuttavia, non mi impedisce di nutrire una certa insofferenza per i crossover. Trovo che questi fuochi d’artificio creino solo confusione e alimentino approssimazioni.
Se dovesse firmare un’altra edizione del Padiglione Italia, a che artisti penserebbe?
Le rispondo con una battuta che Paolo Baratta mi lanciò proprio in quella circostanza: “La Biennale non è un luogo da artisti giovani, è un luogo di approdo”. Di sicuro mi rivolgerei a figure consolidate e guarderei con più attenzione ad autori che – come i protagonisti de L’opera interminabile – prendono le distanze dai linguaggi della tradizione.
Un’ultima domanda. Quali prospettive, in questo tempo di crisi, per i professionisti della cultura?
C’è una frase di Savinio che amo molto: “bisogna avere almeno tre idee per volta”. È chiaro che i nostri ragazzi – e i nostri docenti – debbano adattarsi a un mondo in cui tutto cambia. Abbiamo bisogno di professionisti che non abbiano esclusivamente competenze storico-artistiche, ma anche digitali, linguistiche, giuridiche, economico-gestionali. E glielo dice una persona che nasce come storico dell’arte puro. Se ci riusciremo, in un Paese ricco di bellezza come il nostro, il domani sarà luminoso.