Monica Bonvicini, Unrequited Love, installation view at Galleria Raffaella Cortese, via Stradella 7, Milan, 2019. Courtesy of the Artist and Galleria Raffaella Cortese, Milano Photo: Andrea Rossetti

Monica Bonvicini – Unrequited Love

Si intitola Unrequited Love la seconda personale di Monica Bonvicini (Venezia, 1965) che ha inaugurato lo scorso 20 settembre alla Galleria Raffaella Cortese di Milano.

Una mostra che, sviluppandosi nei tre spazi della galleria come in tre mostre personali, offre una panoramica esaustiva della pratica multiforme di questa artista caratterizzata da molteplici riferimenti storici e socio-politici, dalla volontà di mettere in discussione il significato di fare arte e il desiderio di indagare l’ambiguità del linguaggio oltre che i limiti e le possibilità legati all’ideale di libertà. 

Considerata oggi una delle voci più incisive nel panorama dell’arte contemporanea, Monica Bonvicini inizia a esporre a livello internazionale a metà degli anni Novanta distinguendosi fin da subito come artista visiva per la sua poetica eclettica eppure rigorosa volta a indagare il rapporto tra architettura, potere, genere e sessualità, spazio, sorveglianza e controllo. 

Temi che alimentano il territorio concettuale di questa stessa mostra che proprio dalla luce e dal modo in cui essa definisce lo spazio e i materiali – una connessione critica con i luoghi deputati all’esposizione a cui l’arte di Monica Bonvicini ci ha abituati fin dagli esordi – muove i passi di un’indagine articolata e approfondita. 

Lo spazio centrale della galleria, in via Stradella 7, vede protagonista una scultura sospesa intitolata Bent On Going (2019) composta da una fascia di luci al LED tessute insieme da un intricato ricamo di cavi elettrici. Un senso vago di disfacimento accompagna l’opera, un ideale di perfezione – in origine era un cerchio – che cede il passo a una forma che si disfa e si affloscia insieme a un flusso di fili elettrici che intrecciandosi sembrano evocare un femmineo di memoria epica. 

Alle pareti lo stesso senso di disfacimento nelle nuove opere della serie Hurricanes and Other Catastrophes – realizzate con la tecnica della pittura a tempera o spray su carta – che raffigurano la distruzione di New Orleans in conseguenza del passaggio dell’uragano Katrina nel 2005. Si impone qui con fermezza uno degli altri tòpoi che caratterizzano l’indagine dell’artista: il tema ecologico e le sue inevitabili connessioni con le questioni economiche e politiche e l’adesione alla teoria del Capitatocene secondo la quale i cambiamenti climatici non sono la risultante dell’azione umana in astratto quanto piuttosto la conseguenza di secoli di dominio del capitale. 

Un lavoro, si diceva, quello di Monica Bonvicini, denso di riferimenti anche letterali. Non a caso le due citazioni che accompagnano questa serie – “Strong women know the taste of their own anger” e “Anger is one Short of Danger” – appartengono l’una alla poetessa e scrittrice statunitense Audre Lorde – donna che ha sfidato razzismo, omofobia, sessismo e classismo partecipando in modo trasversale ai movimenti sociali che hanno segnato la seconda metà del secolo scorso – e l’altra a Eleanor Roosevelt, attivista e first lady statunitense. E rimandano entrambe al tema della rabbia intesa come potenziale energetico, creativo e generativo. Il sapore di qualcosa che le donne forti conoscono bene.

Nello spazio di via Stradella 4 dialogano in maniera vicendevole due altre opere dell’artista: una grande serigrafia su lastre di alluminio concepita in occasione della recente personale I Cannot Hide My Anger allestita al Belvedere 21 di Vienna e la scultura in ferro e vetro soffiato dal titolo Fleurs du Mal (pink) (2019). La prima, riprendendo l’immagine della pubblicità della Malboro, molto in voga agli inizi degli anni Novanta e diventata poi un’icona mass mediale, si fa veicolo di significati nuovi e diversi: l’esclusiva virile presenza del cowboy a cavallo pone l’accento sulla totale assenza della figura femminile che non è mai nemmeno contemplata, e il recinto di filo spinato riporta l’attenzione sui flussi migratori che interessano la frontiera tra Messico e Stati Uniti oltre che l’Europa intera. 

La seconda, stabilendo un implicito legame con questa netta linea di separazione che il recinto determina, pone lo spettatore davanti a una serie di oggetti in vetro rosa che assomigliano a tanti brandelli di carne, residui solidi di un’umanità di confine, appesi a degli spuntoni di ferro che ricordano un grande Scolabottiglie, riferimento esplicito al celebre ready-made di Marcel Duchamp del 1914. Alle insidie e ai pericoli del mondo esterno fanno eco le insidie e i pericoli del mondo intero, quello domestico, falso nido di felicità e sicurezza in cui può accadere di “infilzarsi l’occhio con la punta di un coltello da pane che è ad asciugare sullo scolapiatti” come testimoniano le parole di Diane Williams (The Collected Stories, 2018) da cui la mostra prende il titolo.

Chiude il ciclo espositivo la serie fotografica Italian Houses (2019) che sarà presentata nella sua interezza nella prossima personale dell’artista alle OGR (Officine Grandi Riparazioni) di Torino. Si tratta di una ricognizione fotografica di villette familiari lombarde concepite e costruite verso la fine degli anni Sessanta per la famiglia ‘tradizionale’ dell’epoca, quella composta dai genitori e due figli. Da allora, in seguito ai cambiamenti economici e demografici intervenuti, l’aspetto da principio identico di queste abitazioni ha ceduto il passo a iniziative individuali con la conseguenza di dissonanti risultati estetici documentati dall’artista. Tre delle case che compongono la serie diventano carta da parati che ricopre le pareti dello spazio di via Stradella 1 dove ritroviamo anche tre disegni del 2002 appartenenti alla serie Places of ID che propongono intriganti connessioni tra architettura, storia e sessualità: dalle donne ritratte dal fotografo di moda Helmut Newton a L’Uomo Vitruviano del genio rinascimentale Leonardo Da Vinci. Per finire, una mano di bronzo, Grab Them by the Balls (2019), protendendo dalla parete ad altezza inusuale diventa una chiara risposta, non priva di umorismo, a un potere patriarcale che sminuisce la realtà femminile.

Una mostra densa e intensa che attraverso un linguaggio composito fatto di sculture, disegni e fotografie ci mette in relazione con le principali tematiche sulle quali la ricerca dell’artista insiste da anni: l’ambiente domestico e il ruolo dell’architettura nella società, il cambiamento climatico e il potere patriarcale.

Monica Bonvicini Unrequited Love
Galleria Raffaella Cortese
20 settembre – 9 novembre 2019
martedì – sabato, h. 10:00 – 13:00 / 15:00 – 19:30 e su appuntamento