Arte Fiera 2025
Mirrors

MIRRORSpecchi

In occasione dei 15 anni dalla scomparsa di Sirio Bandini, decano degli artisti cecinesi e punto di riferimento per la scena pittorica locale, Arte Bandini e The Kitchen promuovono la mostra “MirrorSpecchi” a cura di Federica Lessi. L’esposizione, aperta dal 7 dicembre, riunisce nello storico spazio dove Bandini lavorava (Palazzo Galleria, 30) opere del pittore e dell’artista cecinese Serena Giorgi, in un dialogo serrato intorno al tema della figura femminile allo specchio. Riportiamo il testo della curatrice.

Mirrors presenta un dialogo disallineato tra due artisti: Serena Giorgi e Sirio Bandini. Un confronto sfalsato nel tempo di alcuni decenni, distante nel linguaggio, diverso nella visione, perfino nel genere. Eppure l’idea di mettere a stretto confronto due personalità differenti chiama in causa la memoria, l’identità e l’idea stessa dell’arte come strumento di indagine e scoperta. Lo specchio, simbolo antichissimo di ambiguità e riflessione, è il perno di questo fac- cia a faccia: uno strumento della quotidianità, per guardarsi e ritrovarsi, essere consapevoli del presente e custodire la memoria, per illuminare la strada di oggi. Per questo “Mirrors” comprende una scelta ristretta di opere a quattro mani, integrata con alcuni lavori autonomi di ciascuno dei due artisti.

Serena Giorgi (Cecina, 1969), artista concettuale che vive e lavora a Milano, ha ripreso un dialogo con il suo primo maestro di disegno e pittura, Sirio Bandini (1929-2009). A lui deve l’entusiasmo e la magia con cui l’arte le si è presentata da bambina, seguendo le sue lezioni e andando a vedere il lavoro di altri artisti del territorio nei loro studi. Bandini infatti per decenni è stato a Cecina un riferimento per gli artisti e per chi voleva avvicinarsi al mondo dell’arte, tenendo corsi e accogliendo allievi nella sua storica galleria.

Il percorso di Bandini inizia dopo aver conosciuto Renato Guttuso alle acciaierie di Piombino negli anni Cinquanta, dove lavorava come piombatore alla Magona. Da lui ha appreso le lezione del realismo e del mandato sociale dell’arte, procedendo poi da autodidatta. Fino dalla sua scelta di diventare pittore nel 1960 ha desiderato capire il mondo che lo circondava, conoscendo persone di cultura e artisti della scena nazionale e internazionale, introdotto da Antonello Trombadori.

«La formazione culturale in Cecina si basava su opere postmacchiaiole e non contemporanee – scrive nei “Pensieri in libertà”, un diario iniziato nel 1999 – il mio coraggio derivò dall’aver conosciuto Levi, Guttuso, Treccani, Matta e i suoi allievi. Andare negli studi a Milano, a Roma. Trovarmi all’interno della contemporaneità».

Il linguaggio di Bandini è poi stato influenzato da altri movimenti e artisti – l’espressionismo e Corrente, Mario Sironi a Constant Permeke, richiamati dai critici Dino Carlesi e Nicola Micieli – stabilizzandosi in un segno incisivo, che tornisce forme plastiche, e in una tavolozza di colori accesi, sperimentati anche in tecniche come la litografia e l’acquaforte. La poetica dell’artista si definisce sull’impegno civile (“Cile”, 1974, e il murale nella sala consiliare a Cecina “Se si deve cantare nei tempi oscuri si deve cantare dei tempi oscuri”, 1975), tenendo costantemente lo sguardo rivolto alla società contemporanea, ma è l’universo intimo e mitico che caratterizza tutta la sua produzione, in un linguaggio definito “realismo lirico” (Micieli).

La figura femminile domina incontrastata, ritratta con il corpo nudo come una Venere arcaica, una figura ancestrale e mitica. Sia rappresentata come madre, fonte di vita, che come amante, nella sua sensualità carnale, la donna diventa il simbolo dei significati della vita. Nelle numerose opere in cui viene ritratta davanti allo specchio, rivela lo “spazio proiettivo” (Micieli) del quadro, in sostanza incarna la personalità stessa dell’artista.

“La figura muliebre cerca, riflessa nello specchio, la propria reificazione formale; l’immagine si propone come scena ambigua e sfuggente, passionale e artefatta, sensitiva e lirica, come il ventaglio stesso della personalità dell’artista” scrive Micieli in “Eva e altri racconti” (1982), dove la donna è anche colta nel suo processo di emancipazione, di liberazione da una soggezione secolare.

Tra le tante rappresentazioni della donna nuda davanti allo specchio ci sono le piccole litografie su carta, stampate in serie limitate, che Bandini amava condividere con amici e colleghi in occasioni speciali. Infatti la parte opposta della raffigurazione era lasciata libera per scrivere un dedica personalizzata, mentre la figura veniva arricchita con pennellate di colore e con la sua firma.

Su una serie di litografie di Bandini con donne allo specchio, che risale agli anni Novanta, ha lavorato Giorgi, creando nuove opere condivise con il suo maestro, in un dialogo che continua oltre il tempo, come un duetto. L’idea di partenza era verificare la tenuta di un tema portante della produzione di Bandini dopo decenni, mettendolo a confronto con un linguaggio aggiornato e totalmente differente, di cui Giorgi si è fatta interprete.

Giorgi si è formata in Toscana all’istituto d’arte a Volterra, ha frequentato l’Accademia di Belle Arti a Firenze e la scuola di incisione “Il Bisonte”, dove ha affinato le sue doti di illustratrice con alcuni maestri della scena europea come Stepan Zavrel e Kveta Packowska. Si è poi trasferita a Milano dove vive a lavora, sia come artista che come fondatrice di “The Kitchen Art Gallery”, uno spazio creativo che dirige con il collega Giulio Perfetti.

La sua pratica artistica si esplica in manufatti di genere molto diverso, come disegni, fotografie, collage, installazioni e dipinti. Alla base del suo lavoro c’è la carta, materia fragile connessa alla terra, supporto docile e prezioso, bianco e sottile, che nel processo creativo acquista una dimensione spirituale, quasi simbolo dell’animo femminile. Accanto c’è la poetica dell’objet trouvé, gli oggetti d’uso quotidiano che vengono reimpiegati in allegri readymade, tra il colorato mondo pop e la ricontestualizzazione dada.

L’amore per la materia e il processo di trasformazione sono il motore della ricerca di Giorgi, che con leggerezza conduce in profondità, alla riflessione identitaria, con le sue caratteristiche femminili: il processo creativo come gestazione, la sensualità fisica dei materiali, la difesa della fragilità, la grazia dell’ironia.

L’artista ha dialogato con le litografie di Bandini affiancando il suo linguaggio introspettivo e femminile all’immagine della donna-mito del suo maestro, elaborata decenni prima. Con rispetto ed equilibro ha occupato la parte libera, quella che lui riservava alla dedica, per rendergli omaggio, ma anche per precedere la sua opera, rivendicando un proprio sguardo sul presente. Quella di Giorgi è una donna che guarda sé stessa in autonomia, non una donna che è rivelata da un uomo.

In ogni tavola gli equilibri tra le parti dei due artisti sono estetiche – le corrispondenze cromatiche e l’omogeneità materica – e tematiche: la donna di Bandini si rivolge all’osservatore come per interrogarlo, ma anche Giorgi declina frasi scomode come “maneggiare con cura”, “tengo i miei vuoti con grazia”, “mi piaccio ma non mi compiaccio”. La discontinuità più forte tra le due voci è nel peso specifico delle due figure femminili: quella archetipica, anche se fisicamente prorom- pente, di Bandini, e quella leggera ed evocata di Giorgi, che però ha la forza interiore e la consapevolezza del presente. Sembra che Giorgi abbia portato alla luce decenni dopo quello che era presente in nuce nell’opera di Bandini, in un linguaggio opposto a quello del maestro. Gli specchi antichi custoditi nelle teche che Giorgi realizza negli ultimi anni esprimono gli stessi concetti di autoconsa- pevolezza, cura di sé e sacralità dell’animo femminile.

La donna di Giorgi si pone con delicatezza ed ironia ma chiede rispetto per la propria natura e interiorità, conosce i rischi dell’autocompiacimento in una società spesso autoriferita come quella l’attuale, e li evita. E’ una persona che crede nei propri sogni, e sa che i misteri e i miti sono parte della natura. Considera irrinunciabile l’espressione della propria identità (incorruttibile come l’oro a foglia, presente in alcune opere) e si sottrae agli stereotipi della performance perché le sue mancanze la rendono libera. Tutta questa consapevolezza – auspicata o posseduta che sia – non la mette al sicuro da una cultura dominante ancora maschilista, che ha nella sopraffazione violenta il suo esito più frequente, come rivela “l’ultima occhiata” davanti allo specchio.

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