Arte Fiera 2025

La scelta

Due lettori attenti mi hanno fatto notare che, nelle mie cronache madrilene, abbondano i ritardi, gli appuntamenti mancati. Altro che contrattempi. Sembra quasi io lo faccia apposta a saltare l’ingresso alle mete prefissate. Credetemi, è la sacrosanta verità. Il portone a Palazzo Reale mi è stato sbarrato in faccia due volte: la prima l’ho raccontata due settimane fa, la seconda la settimana scorsa. Possono testimoniarlo decine di miei studenti che, in quella circostanza, si sono ammutinati. Eravamo di ritorno dalla piramide di Filippo II, cioè dall’Escorial, e il Palazzo Reale, con le sue sete cinesi, era ciò che ci voleva per riempirci gli occhi e il cuore dopo tante geometrie impossibili, rigore di carcere o caserma e odor di pudridero. Niente da fare. Per qualche cerimonia pubblica, il Palazzo alle 15.30 era già chiuso. Io, come potete immaginare, non mi sono perso d’animo. Avevamo a disposizione il pullman, potevamo recarci dove ci pareva. Certo, se avessi proposto il Museo del Real Madrid, al Santiago Bernabeu, non ci sarebbero stati problemi. Io però volevo visitare il Lázaro Galdiano, una collezione privata, poi donata allo stato, con tanti capolavori: qualcosa di simile al Poldi Pezzoli di Milano. Avremmo dovuto organizzarci per il ritorno – il pullman a una certa ora andava via – ma ci saremmo divertiti. E invece no. Quasi tutti i miei alunni si sono fiondati in albergo a smaltire i bagordi, i miei colleghi sono invece andati a … Zara, non luogo che non ha niente a che spartire con l’omonima città della Dalmazia. Siamo quindi rimasti in quattro: io, la guida e due discepoli fedeli che, per seguirmi, hanno rischiato l’ostracismo universale. L’occasione era perfetta per sermoni e confessioni. La guida, Miguel, ha raccontato come ha scelto il suo lavoro, anzi come è stato scelto, e io ho fatto altrettanto. Gli alunni ascoltavano con tanta pazienza. Ma il bello è venuto quando, saliti al secondo piano del Museo, siamo entrati nella stanza in cui riposavano, insieme ad altri dipinti minori, il Sabba di Goya e un bozzetto, di piccolo formato, per uno dei suoi ultimi cartoni per arazzi, oggi al Prado. Nel Sabba, donne giovani e vecchie offrivano i loro figliuoli morenti a un caprone mostruoso, dal capo cinto da un serto di alloro, allegoria evidente del demonio. La scena, per quanto anticipi, per la scelta del soggetto, le Pitture Nere, ha un che di ironico, direi quasi di gioioso che in quei dipinti allucinati manca. È ancora il Goya illuminista, che crede – proprio come Miguel e il sottoscritto – di controllare la sua vita. Verrà il tempo delle tenebre, della speranza morta, delle feste galanti che si mutano in grottesche processioni. Ma non è giunta l’ora. Io e i miei alunni possiamo ancora scegliere tra Zara, o il letargo profondo, e il Lázaro Galdiano.

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