In primo piano: Mauro Staccioli, Senza titolo (Triangolo dai lati curvi), 2010. Acciaio corten Sullo sfondo: Bizhan Bassiri, Meteorite, 2008. Bronzo dorato

METALLICA. Scultura in Italia 1947 – 2025

METALLICA. Scultura in Italia 1947 – 2025 è la mostra a cura di Bruno Corà allestita nel restaurato Palazzo Vitelli a Sant’Egidio a Città di Castello, in un’unica e recente inaugurazione, che con il percorso espositivo fa scoprire un contesto scenico davvero straordinario e pone in dialogo scultura e architettura. 

Il PALAZZO,  collocato entro la cinta delle mura urbiche, fa parte di un originale complesso architettonico che comprende un vasto giardino all’Italiana, la quattrocentesca Palazzina di caccia, il boschetto di lecci e un tempo, il ninfeo e la peschiera con i giochi d’acqua. 

Fu commissionato alla metà del Cinquecento dai Vitelli, apprezzati capitani di ventura, le cui imprese sono celebrate dalle decorazioni del pittore bolognese Prospero Fontana e dei suoi collaboratori, realizzate nelle sale del primo piano e in altri spazi del secondo nonché nelle aree di accesso. Acquisito dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Città di Castello è stato destinato in via esclusiva allo svolgimento delle attività dell’impresa strumentale della Fondazione stessa, l’Associazione Palazzo Vitelli a Sant’Egidio di cui è presidente Fabio Nisi; le attività inerenti l’ambito artistico riguardano nello specifico, proprio nella città di Alberto Burri, l’apertura di un Centro di documentazione di arte contemporanea in corso di attivazione. Questo verrà stanziato stabilmente al secondo piano dell’edificio e sarà dedicato alle attività di raccolta, classificazione, tutela, studio e diffusione dei materiali che perverranno al Centro stesso nel corso della sua futura attività. 

IL RESTAURO del palazzo in più fasi e tempi, è stato compiuto su progetto e direzione dei lavori dell’architetto Tiziano Sarteanesi, che ha consolidato le strutture, rivalutato gli spazi e li ha qualificati dal punto di vista ambientale, dotando, fra l’altro,  l’edificio delle più sofisticate ed efficienti soluzioni tecniche a livello di impiantistica e sicurezza, ma soprattutto restituendo il fascino delle sale con un intonaco dai colori antichi, trovati mediante un complesso lavoro di ricerca e di ricostruzione. 

METALLICA, organizzata dalla già citata Associazione Palazzo Vitelli a Sant’Egidio, in collaborazione con la Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, con il patrocinio del Comune di Città di Castello, è un’esposizione che, secondo quanto afferma Bruno Corà “non presume né ambisce ad essere esaustiva in rapporto alla ricchezza dell’espressione plastica dell’arte italiana, quanto piuttosto di costituire una emblematica rassegna esemplare di modi che sono venuti alla ribalta della scena artistica dal secondo dopoguerra del XX secolo e sino ai nostri giorni. Dalla scultura spazialista di Lucio Fontana del 1947 a quella di Melotti, da Colla a Pomodoro, da Mirko a Cagli e ad altre sculture, fino a quelle dei Maestri delle generazioni tuttora viventi, ha trovato collocazione in un percorso in cui si evidenzia la proteiforme identità del linguaggio della scultura italiana in metallo a fronte di altri scenari internazionali”. 

La mostra, che si sviluppa per quindici sale riccamente decorate, presenta l’opera di ventinove artisti, realizzata in rame, acciaio, argento, bronzo, metalli che hanno una loro identità e proprietà, con i quali la scultura dal Futurismo in poi ha avuto grandi primati in Italia. Vi sono, secondo l’ordine espositivo, lavori di Lucio Fontana, Marino Marini, Edgardo Mannucci, Fausto Melotti, Mirko Basaldella, Corrado Cagli, Antonino Bove, Giorgio de Chirico, Pietro Consagra, Ettore Colla, Arnaldo Pomodoro, Giuseppe Spagnulo, Eliseo Mattiacci, Jannis Kounellis, Gianfranco Pardi, Giuseppe Uncini, Remo Salvadori, Mimmo Paladino, Bizhan Bassiri, Mauro Staccioli, Emilio Isgrò, Luigi Mainolfi, Giovanni Termini, Enrico Baj, Antonella Zazzera, Giacomo Manzù, Luisa Protti, Giovanni Rizzoli, Renato Ranaldi. Le loro creazioni, ciascuna autosostenuta, senza la necessità di usufruire delle pareti, mostrano volumi, piani, superfici che estrinsecano un segno in divenire, il frammento di un universo organico ed espressivo che si caratterizza nei vari linguaggi individuali e secondo le singole poetiche e che dà una panoramica significativa del lavoro scultoreo nel lasso di tempo scelto. L’allestimento delle opere procede per esiti estetici e concettuali, nonché per la rete di frequentazioni amicali fra gli artisti, quasi a continuare idealmente rapporti intercorsi in vita. Si comincia con la Scultura Spaziale del 1947 di Fontana che ha segnato l’inizio della sua ricerca sullo spazio-materia: qui le forme di materia grezza sono disposte attorno a un foro centrale che si apre dinamicamente nello spazio circostante. Con Marini il volume frammentato del guerriero simboleggia la perdita dell’eroismo dei suoi cavalieri, ora caduti e decomposti avendo perso quelle virtù che avevano personificato. Nella stessa sala le composizioni di Mannucci e di Melotti evocano cosmologie e modulazioni liriche nella levità del segno scultoreo. Nel proseguire, fra scorci irripetibili di paesaggio dalle ampie finestre del piano nobiliare,  incontriamo la scultura totemica di Mirko, resa con unico foglio di rame cilindrico e l’opera di Cagli realizzata in argento, dedicata alla divinità indiana Ganesh, figura mitologica con la testa di elefante e il corpo umano. Successivamente Bove propone un’immagine tratta da un dipinto di Füssli e filologicamente modificata: è la figura di una modella dormiente, bellissima, che sembra lievitare sostenuta dall’ampio panneggio; è in dialogo con la versione scultorea dei due manichini di Ettore e Andromaca di de Chirico, un soggetto trattato in molte versioni anche pittoriche. Procedendo emerge il volume cilindrico e verticale della scultura di Pomodoro, con l’esterno liscio e l’interno corroso e lavorato finemente come se fosse un oggetto di oreficeria, in rapporto con la scultura frontale di Consagra, dipinta di rosso, quasi completamente piatta e con quella di Colla realizzata con residui bellici assemblati e trasformati rispetto al loro consueto utilizzo. Da Kounellis a Mattiacci a Spagnulo, nella medesima sala, il comune denominatore è costituito da forme “nuove” e da materie appartenenti all’universo espressivo di ciascuno. Con Pardi e Uncini l’elemento costruttivo è rilevante, dalle forme in equilibrio del primo, ai muri del secondo costruiti con cemento e tondini di ferro a riflettere sul binomio di architettura e scultura. Una stella piena su un piano, sorretto da una figura umana sproporzionata nel suo essere, appartiene alla scultura di Paladino che rimanda alla forma di Salvadori anch’essa una stella ma vuota, disegnata al suolo con dei moduli costruttivi che uniscono rigore scientifico e poesia. 

Il triangolo dai lati curvi di Staccioli evidenzia una delle sue forme essenziali che compongono le sue geometrie: cerchi, mezze lune, triangoli deformati in rapporto con lo spazio.

L’opera di Bassiri che spicca per la sua verticalità, definita dal titolo ‘meteorite’, sembra ‘atterrata’ quasi per magia ed è segno di un immaginario che attinge a motivi spazianti fra Oriente e Occidente. La scultura di Isgrò, una delle poche realizzate nel suo iter artistico, evidenzia un microscopico seme molecolare di arancia moltiplicato macroscopicamente a voler simboleggiare la rinascita della sua Sicilia.  Un universo zoomorfo è richiamato dalla scultura in bronzo di Mainolfi attinto da un immaginario arcaico, rivisitato in un personale linguaggio. Termini unisce costruzione e decostruzione in una forma spaziale vuota, con cui pone l’accento sul tema del lavoro, in un ‘oggetto’ concepito come entità vivente legato all’uomo; ad essa risponde il congegno di Baj  con il meccano, un meccanismo complicato e ludico al tempo stesso. Nello studio per panneggio di Manzù l’evocata flessibilità è in rapporto ossimorico con l’apparente durezza della materia bronzea; nella stessa sala l’opera di Zazzera lascia immaginare anch’essa un tessuto, ma di fatto la superficie in rame, costituita da un numero incalcolabile di fili, è realizzata per la luce che la modula e si riflette d’intorno. Nelle due sculture di Protti  una vivida immagine rimanda un frammento di storia e di vita, mentre nelle infiorescenze che si aprono dell’opera di Rizzoli vi è un profondo rapporto tra scultura, installazione, pittura e disegno. Nell’opera di Ranaldi a conclusione del percorso due visioni si incontrano, quella di una percezione immediata e l’altra, scaturita dal rovesciamento che ne muta il senso. 

Giorgio de Chirico, Ettore e Andromaca, 2001. Bronzo lucidato e patinato Antonino Bove, Sognatrice in lievitazione, 1993. Bronzo

La mostra aperta fino al 29 giugno presenta a corredo un ricco e documentato catalogo anche a livello fotografico, con contributi di Bruno Corà e di Aldo Iori, pubblicato dall’ Associazione Palazzo Vitelli a Sant’Egidio e dalla Fondazione Burri. 

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