In questo contesto Dario Giancane installa il suo Menhir 2021 stabilendo un primato contemporaneo. Cosa fa? Va a recuperare uno degli elementi peculiari del paesaggio antropico della Valle della Cupa, cave dismesse di calcarenite, vuoti e scarificazioni nel territorio, con pareti residuali incise dalla preparazione dei blocchi mai asportati. Segni profondi, vuoto nella materia, affini all’opera di estrazione del metallo che Giancane persegue e domina nella sua opera. Ma qui, per ottenere il segno, l’artista ha lavorato solo sull’ossidazione, segnando la lamiera, trasformandola in un elemento trifacciale che riflette il contesto, lo stuzzica, rimarca la componente ctonia elevandola e affrancandola.
Con l’azione artistica la cava dismessa diviene il complesso cultuale dello stesso menhir. L’acciaio è leggero, aperto, respira e osserva. Questa è la percezione. È il menhir ad osservare e si dissocia dalla funzione atavica dei menhir litici salentini. Non ha bisogno, per sottolineare la propria esistenza e presenza, di nessun occhio umano. La cava dismessa, la terra e il contesto si attraggono a vicenda. Il patto di Giancane col metallo questa volta non è teso agli eventuali astanti, ne fa tranquillamente a meno. Spezza il tetto della casa laboratorio, genera l’axis mundi e infrange il tabù della madre terra scavando e installando il suo devoto ex voto al territorio.

Mater Domini è il nome della località dove è apparso il menhir. Un toponimo che sviscera una femminilità devozionale inconscia e legata alla ruralità della grande periferia del latifondo salentino. Culti della terra, ritmi delle stagioni e devozione orante. Questa è la costante, dall’Idoletto neolitico dio Arnesano ai culti Mariani di Montevergine e Mater Domini. Ora, nel vuoto della cava, al di sotto del suolo e della campagna, ora arida e (im)produttiva, si assiste ad una dimensione orante laica e scorretta. Con la presunzione di riportare il suolo asportato al livello primigenio. Materia assente che simbolicamente risale e si affaccia nel complesso e disorganico paesaggio leccese. Ma è il metallo ad assolvere alla funzione di medium e custode di una silente memoria antropica.
Nel silenzio dell’arte Giancane è perciò l’unico l’artefice della ritorno al tempo del viaggio spazio temporale nel paesaggio segnato dagli aghi-menhir litici. Quegli aghi che da sempre, come in un lavoro di sartoria, hanno ricucito il legame interrotto tra il cielo, la terra ed il mondo ctonio. In un universo proprio e temerario. L’universo suturato dall’artista di Giancane.