Carmela De Falco, Persona che cammina, 2024. Foto Amedeo Benestante

MEMOMIRABILIA di Carmela De Falco

A cura di Gianluca Riccio e Alessandra Troncone, il 19 giugno è stata inaugurata la mostra MEMOMIRABILIA dell’artista Carmela De Falco presso il Museo Civico Gaetano Filangeri a Napoli. L’esposizione si articola in undici opere disseminate sui tre piani dell’edificio e un intervento sulla collezione museale.

Wunderkammer sensibile e contemporanea, MEMOMIRABILIA prende spunto dall’idea delle “camere delle meraviglie” settecentesche mettendo in scena oggetti d’uso comune risignificati e impreziositi attraverso la scelta di materiali quali la porcellana, l’ottone e il vetro che coesistono con lavori in resina, alluminio e inchiostri termosolubili.

I criteri dell’esoticità e della ricercatezza dell’oggetto che hanno mosso il collezionismo del Settecento sono rovesciati e ristabiliti a partire da paradigmi di selezione contemporanei, qualificando oggetti quotidiani come novità da esibire attraverso un approccio nuovo, carico di meraviglia, che traduce la possibilità di trovare ancora la bellezza nelle piccole cose.

Prassi consolidata dell’artista avellinese, la valorizzazione del dettaglio e la sfida all’occhio anestetizzato, anche in quest’occasione, vengono posti al centro di un discorso sensibile sull’esistente, un approccio speranzoso che affonda le sue radici nella memoria storica dell’arte, dei suoi promotori e di vecchi e nuovi osservatori.

In MEMOMIRABILIA molte opere sono visibili immediatamente, altre si palesano allo spettatore solo dopo un’attenta “caccia al tesoro” negli spazi nascosti del Museo. Quest’ultimo, dunque, si rivela esser spazio della vita, non solo quella selezionata ed esposta da De Falco ma anche quella dei corpi che agiscono nel luogo re-incantandosi e sfidando il disincanto presente, fuori e dentro le istituzioni dell’arte.

Entrando nell’edificio si incontra, prima di imboccare le scale, l’istallazione Camicie identiche (2024) caratterizzata, come annuncia il titolo, da due camicie, di stessa taglia e colore, rivestite in resina, sovrapposte ma non allineate. La forma subisce l’alterità, differisce dall’abitudine. Il senso di ciò che si vedrà nell’esposizione è tutto in questo scarto tra le due camicie, in questa distanza colmata dell’identico irriducibile a uno. Il Museo Civico Filangieri, infatti non è stravolto dagli interventi, la collezione è sempre la stessa, però qualcosa muove, scuote il perenne conservato sulle pareti o negli espositori. Giungendo al secondo piano dell’edificio, infatti, sotto il busto in marmo di Gaetano Filangieri vi è una maniglia intera, senza interruzione dell’anima della porta tra i due sensi. Il titolo: Aperto e chiuso (2024). Iconograficamente la forma sembra rimandare ai baffi del Principe di Satriano; in sostanza l’opera è un disallineamento spaziale che pare esser un’allegoria del museo che man mano si dà, a cui si accede, rivelando aperture di senso e di sguardo nelle fenditure e nei punti nascosti che spesso sono chiusi, nel senso dell’essere esenti dall’esposizione in quanto irrilevanti posti ciechi.

Al secondo piano, in tutte e quattro le pareti della quadreria, è visibile l’intervento diretto sulle opere della collezione permanente del museo napoletano. I ritratti, i paesaggi e le nature morte, vengono vagliate sotto una lente differente: un complesso sistema di luci valorizza dei singoli dettagli di ogni quadro, svelandoci delle peculiarità che molto probabilmente, diversamente, non avremmo apprezzato o non vi avremmo posto attenzione. Personaggi nobili a cui è tolta ogni autorità dal momento in cui si inquadra il volto e passa in ombra, in secondo piano, l’ambiente sfarzoso e gli abiti lussureggianti. I soli volti ci guardano dal passato interrogandoci sul presente. La memoria che desta meraviglia.

Più avanti il manichino Ritratto (2024), emblema dell’umanità dell’oggi. Seduto e senza identità, al centro della sala Agata, il soggetto-oggetto contempla le pareti dandoci le spalle e dialoga, muto e senza bocca, con lo sguardo di Medusa in fondo alla stanza. Lo sguardo negato dell’umano in resina negozia la scena con lo sguardo di Medusa e con i nostri occhi straniati da questo bizzarro e seducente disallineamento visivo.

La stanza è puntinata da altre opere: Doppia cintura (2024), Orologio da polso (2024), Premio e castigo (2024) e Testa o croce (2024). Questi quattro oggetti comuni sono risignificati attraverso la scelta dei materiali e, imponendo nuovi sentieri concettuali, risemantizzano il quotidiano e il museo.  In antitesi e continuità con le forme dei manufatti conservati al Filangeri, la solidificazione della cinta, il tempo negato dell’orologio, l’inganno della sostanza della roccia, la deformazione della moneta impongono con delicatezza all’osservatore di tornare a contemplare il dettaglio, di soffermarsi per più di un istante per coglier dov’è il racconto segreto di questi oggetti silenziosi.

E tutto ciò fa rumore.

L’intero l’ambiente, infatti, è avvolto da un’istallazione sonora, Dialogo (2024), elaborata e diretta in fase di progettazione dall’artista coordinando le voci di due cantanti professioniste che, partendo l’una dalle vocalizzazioni dell’altra, si rimandano a vicenda come in un gioco di specchi e di fughe. L’alternanza tra suono e silenzio eleva a livello dell’orecchio quella discordanza della forma di cui man mano ci accorgiamo focalizzandoci sulle singole opere.

A seguire, sulla balaustra del ballatoio, Due uccelli che litigano per un pezzo di pane o un uccello nutre l’altro (2024). Di nuovo il tranello. Non sappiamo qual è la giusta lettura, e la forma e il titolo della scultura in porcellana, delicatamente, sbeffeggiano il visitatore producendo un dis-senso, un disallineamento di senso, molto più rivelatorio che la consegna esplicita di un significato unico.

La forma, vera protagonista di queste “camere delle meraviglie”, rifugge e fugge. Attraversa le pareti come nel caso di Persona che cammina (2024): un paio di scarpe da uomo, installate nelle vicinanze della scala che collega i due piani del museo. Oppure è emanata dal fondo delle pareti in tessuto degli espositori come nei quattro interventi Fuga dalla forma (2024). All’interno di alcune vetrine che contengono le raccolte di porcellane del Filangieri, l’artista ha lavorato alla creazione di nuove ombre dei manufatti ceramici, suggerendo un profilo alternativo alle forme finite. Come si legge dalla guida alle opere: «Il gatto insegue il cane e non viceversa, a svenire per attirare l’attenzione è un uomo e non una donna, il cavaliere lascia riposare il suo cavallo piuttosto che ergersi trionfante su di esso. Spostamenti e ribaltamenti creano nuove micro-storie, che mettono in discussione ruoli e stereotipi costruiti nei secoli. L’inchiostro termosolubile, materiale effimero ed instabile, crea un’opera atmosferica che allude alla velocità con cui le narrazioni possono essere rovesciate e facilmente ristabilite, evocando la transitorietà della memoria».

Nell’ultima stanza, la biblioteca del Principe, c’è l’opera Assorbire il mondo e semmai vomitarlo in un’altra lingua, sconosciuta (2024). Essa consiste in una cannuccia in alluminio ingigantita che cala dal soffitto. La forma è quella di una cannuccia ma potrebbe suggerire anche quella di un’asta di manovra per tendaggi dove il soffitto si qualificherebbe come una copertura temporanea del cielo.

Il cielo come orizzonte di senso è il momento culminante di questi continui rimandi, del sensibile processo di selezione, trasformazione e ri-semantizzazione del quotidiano a confronto con i reperti che punteggiano il gabinetto di curiosità ormai musealizzate. La memoria è una sorta di volta celeste: da contemplare per riscoprire la meraviglia della piccolezza che ci contraddistingue e circonda, della semplicità mai facile che dà vita a forme mai del tutto scontate.

La mostra sarà aperta al pubblico dal 20 giugno al 30 settembre 2024, presso il Museo Civico Gaetano Filangieri, in via Duomo 288, Napoli. Orari: da lunedì a domenica, dalle 9.30 alle 19.00 (la biglietteria chiude alle 18.30). Biglietto: 5 euro intero / 4 euro ridotto

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