Mattia Crocetti CondiVIDendo

Mattia Crocetti, COndiViDendo 19

La narrazione della convivenza dei cittadini italiani, il progetto COndiVIDendo 19 del fotografo Mattia Crocetti in una sua interessante sintesi.

Se è vero che a causa dell’emergenza Coronavirus SARS-CoV-2 il mondo esterno è diventato improvvisamente infido e pericoloso – e con stupore e con rabbia abbiamo scoperto che esso ci obbedisce solo imperfettamente e solo a casaccio – è altrettanto vero che il mondo interno, quello delle nostre abitazioni, si è rivelato un meccanismo molto più complesso di quanto avessimo fin qui sperimentato. In questo ripiegamento domestico che ci coinvolge tutti, il rapporto tra gli uomini e le cose è plasmato da cambiamenti continui, anche radicali, nulla sembra essere più stabile e ordinato, perfino le regole della casa mi oscillano sotto la penna. 

La narrazione della convivenza dei cittadini italiani, il fatto di abitare o dover abitare gli stessi spazi durante questo periodo di pandemia, co-abitando modi, abitudini ed esperienze, trova nel progetto COndiVIDendo 19 del fotografo Mattia Crocetti una sua interessante sintesi. Si tratta di una ricognizione a carattere documentale in cui gli scatti compongo il puzzle variegato e variopinto di una umanità colta nell’intimità della condizione del suo confinamento. Ritratti di famiglia, singoli individui o gruppi di persone, non necessariamente legate tra loro da vincoli di parentela, diventano al contempo attori e autori di un processo creativo che li cristallizza in immagini che irrompono sulla scena come un doppio, come alchemico risultato di un artefice doppio. Da una parte il fotografo che, tramite una video chiamata, crea la composizione, definisce l’inquadratura, regola la messa a fuoco della macchina e controlla la luce e dall’altro il soggetto che, offrendo la sua presenza all’obiettivo, ha cura di eseguire le istruzioni impartitegli così da creare un’amalgama nelle intenzioni e negli esiti. 

“Il progetto COndiVIDendo nasce da me, dalla necessità di indagare la mia condizione fisica e mentale. Sono una persona molto loquace e il fatto di essere, in questo momento storico, estremamente vincolato nei rapporti sociali mi ha spinto a voler interagire in qualche modo con l’esterno, creando un movimento, una specie di tensione da dentro a fuori e viceversa. Da reporter italiano mi sentivo in dovere di raccontare questa situazione difficile per tutti e che tutti stanno interpretando a loro modo. Il mio maestro Emiliano Mancuso sono certo mi avrebbe detto: devi raccontare una storia e devi farlo adesso! Io ho voluto raccontare una quotidianità tutto sommato serena e così sono andato di casa in casa, come un’ape. La gente mi sentiva arrivare e si voltava verso di me concedendomi il tempo dello scatto, come a dire: io vi guardo, voi ricambiate lo sguardo e da questa condivisione ne usciamo tutti più arricchiti. Con questa consapevolezza volavo allora in un’altra casa.”

Dopo il decreto del 9 marzo 2020 emesso dal Governo italiano, alcune famiglie sono riuscite a riunirsi, magari dopo tanto tempo, mentre altre si sono trovate completamente smembrate, separate e divise in luoghi lontani del nostro Paese. In altri casi ancora, qualcuno si è dovuto adattare a contesti di condivisione forzata dovendo magari condividere con degli estranei non solo stanze e consuetudini ma anche sentimenti e paure. Ecco allora l’atto di rendere visibile l’invisibile, ciò che sta dentro, chiuso nel perimetro stretto della quarantena, quasi una testimonianza della irrinunciabile necessità dell’Uomo di commisurarsi ad altri e altro. Del resto il carattere della vita umana è necessariamente dialogico e venendo meno il contatto, il fluido di coesione è demandato all’immagine, alla sua forza collettiva, alla sua capacità di inglobare dentro ogni fotogramma una scena, non come territorio che imita il reale ma dove si fa la vita.