MARK DION – By the Sea

MARK DION – By the Sea è il titolo della prima personale alla Pinksummer di Genova, serie “goes to”, dell’artista-ricercatore-ricreatore eco-ambientale statunitense, mediante dispositivi di conoscenza, indagini sul territorio, installazioni e diagrammi grafici. La galleria genovese si distingue per scegliere i suoi autori anche in rapporto a una loro anticonvenzionale, responsabilmente critica, creativamente e cognitivamente innovativa Weltanschauung.

Ambientata nel museale splendore, originariamente cinquecentesco, di Palazzo Pallavicino Cambiaso – uno dei Rolli di Genova divenuti Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO – la mostra espone, nel fuoco prospettico centrale del gran salone affrescato del piano nobile, dodici vasi-ampolla di vetro con coperchio, perfettamente allineati sui ripiani di un armadietto-credenza a due ante in noce americano. Un’apparizione, quasi liturgico-cerimoniale, dell’installazione induce l’osservatore, in entrata, per automatico processo deduttivo, a percepire come reperti di pregio quelli che sono soltanto rifiuti trash, raccolti, ripuliti, repertoriati, separati per colore e tipologia di appartenenza. 

Ulteriore slittamento/spaesamento percettivo si verifica davanti alla carriola da muratore colma di scarti di lavorazione, al centro della successiva sala, sulle cui pareti sono esposti, talvolta nella modalità dei kakemono, ampi disegni su carta, quadri sinottici, provocatoriamente arbitrari in cui si propongono diagrammi del sapere codificato a partire da un soggetto animale preistorico o esistente. Ora è un dinosauro che prospetta un Centro Studi del Surrealismo, ora una beccaccia che avvia una lettura estetica dell’Ornitologia per Uccelli, ora un pesce che fa cenno a un Metodo scientifico per l’Ittiologia. Questa Natural Philosophy introduce, tuttavia, con effetto immediato e non senza ironia, alla libera tassonomia praticata dall’artista, convinto assertore, altresì, di una concezione non-lineare della Storia e di una classificazione anti-gerarchica del sociale, dell’ambiente naturale/artificiale, dei costrutti ideologici, delle cose, infine, che abitano la biosfera del Pianeta Terra.

A partire dalla quantità di disegni che l’artista è riuscito efficacemente a produrre in fase di lockdown  pandemico da Covid 19, è stimolante scoprire, lungo tutto lo scheletro di un volatile, la mappa di una cultura materiale in cui tout se tient:  dai riferimenti al Marxismo, alla Scuola di Francoforte, all’Esistenzialismo, allo Strutturalismo, al Femminismo, al Situazionismo, alla storia della clinica, della psicoanalisi, dei movimenti artistici d’avanguardia, della banalità del male, dell’Archeologia del sapere, fino alla wilderness del pensiero cosiddetto selvaggio.   

«La maggior parte dei lavori in mostra – dichiara l’artista nell’intervista concessa alle galleriste Antonella Berruti e Francesca Pennone – è in relazione alla questione della salute degli oceani e della biodiversità marina. È stato un punto centrale del mio lavoro per un po’ di tempo, ma ha anche molto a che vedere con la relazione di Genova con il mare. La mia città natale, New Bedford, Massachusetts (in cui Dion nasce il 28 agosto del 1961) è anch’essa un duro porto industriale e una città di pescatori. Sento un’affinità – aggiunge l’artista – con Genova, basata sulla mia esperienza formativa di abitante di una città portuale». 

Mark Dion, che come Sir Arthur Conan Doyle, iniziatore del giallo-deduttivo, lavora per indizi concettuali/esperienziali, informa la sua visione del Reale sulla base di un ribaltamento del sistema convenzionale dei valori. È a partire dai rifiuti di una Civiltà Occidentale dei Consumi, di una società post-industriale a tecnologia informatica avanzata, che ricostruisce “meticolosamente” la sua visione del mondo attraverso il disegno, dispacci, topografie, cartografie, installazioni: ne sono significativi e poderosi esempi Gli scavi del Tamigi alla Tate Gallery, nel 1999, gli Scavi nella Nuova Inghilterra, nel 2001). Rientra nel suo Pathos iterativo per la collezione l’approccio ai Curiosity Cabinets, in fondo micro-musei allo stato embrionalerientra ancora nella sfera della sua attrazione, verso il vivente-vissuto-sopravvissuto della natura, quello straordinario Neukom Vivarium, del 2006, che costituisce l’installazione permanente dell’Olympic Sculpture Park di Seattle, Washington, in cui un albero di Tsuga occidentale di sessanta piedi, prelevato dal burrone in cui si era abbattuto e dove sarebbe morto, è stato sistemato nella serra con tutto il suo eco-sistema ambientale di insetti, funghi, licheni, felci. 

In un Pianeta a rischio di estinzione per una gestione scriteriata delle sue risorse, Mark Dion non cessa di portare alla luce e quindi di far nascere, magari disseppellendoli dal fango e dalle discariche di rifiuti, segnali di vitalità e bellezza, proprio come un artista dalla vocazione da detective, da investigatore creativo e scientifico al tempo stesso, dando la misura della sua attitudine provocatoria e destabilizzatrice della tendenza, imperante in ogni campo, alla “museificazione istituzionale”. In un contesto artistico, come quello di Dion, agli oggetti è consentito essere o essere stati ciò che sono, senza metafore. Altamente prezioso o di poco conto, ogni oggetto – ossa, cristalleria, ceramica, frammenti metallici, artefatti, manufatti, detriti di varia appartenenza – è un testimone materiale che detiene, come qualsiasi altro, una funzione determinante di prova. 

Nel suo progetto di scavo e collezione in progress, Dion mette scrupolosamente in opera anche la creatività della non-creatività del metodo scientifico, forse per dischiudere spazi e portar luce nell’intrico della foresta del pensiero codificato, disboscandolo heideggerianamente e custodendolo. Sembrano articolarsi, nella sua opera, modalità decostruttive, strutturaliste, nominaliste, etno-antropologiche, con ascendenze nei dispositivi di pensiero di Foucault, Derrida, Chomsky, Barthes, Deleuze, Bataille, Lévi-Strauss, Durkheim, Mauss. Non stupisce che abbiano contribuito, tra gli altri, alla sua formazione, nell’ambito del Programma di Studio Annuale Indipendente del Whitney Museum of American Art di New York, artisti concettuali come Joseph Kosuth, Hans Haacke, Barbara Kruger. 

Lo stesso Dion dichiara esservi sorprendenti analogie tra il collezionare e il curare mostre. Come un archeologo, l’artista statunitense, originario del Canada francese – ha occasione di dirmi quando gli chiedo dell’origine del suo cognome –  organizza ricerche esplorative su territori mare-aria-terra, tra Oriente, Medio-Oriente, Occidente. Una volta assemblati, interrogati, inventariati, tali reperti vengono suddivisi in base a un processo interpretativo che ne riduce al grado zero possibili valori simbolici, allegorici, metaforici, cultuali. Dalla sua indagine esplorativa non tarda a prendere forma evidente quel sistema di controllo e coercizione che il potere non cessa di esercitare nei vari ambiti naturali/culturali di ogni tempo.  

Innovatore, a partire dai tardi anni Ottanta, della Wunderkammer – tradizione nata nella Germania del Cinquecento – Mark Dion non è certo un esotista, né la sua opera è assimilabile alle collezioni di lepidotteri e farfalle di  Damien Hirst, ricostruendo, piuttosto, un cimitero in progress del consumismo occidentale, presumibilmente indotto dal capitalismo, dall’alienazione, dalla mercificazione dell’arte, dalla  logica della velocità del sistema di produzione/distribuzione/consumo che il filosofo francese Paul Virilio ha denominato Dromologia

Assegnatario di più lauree Honoris Causa, l’artista statunitense collabora con musei e gallerie d’arte internazionali, con Acquari, Zoo, e altre istituzioni pubbliche improntate al rapporto Natura/Cultura. Nel ripensare un’estetica della meraviglia, Mark Dion non esclude un immaginario del lutto e della morte. Suo è l’aforisma «più scavi in profondità, più scopri e i rischi connessi a questo approccio riflettono la realtà dei fatti: la nostra interazione con il mondo della natura ha la parvenza di un suicidio». Sembra risuonare negli ammonimenti di Mark Dion l’eco delle parole del Mahatma Gandhi: «Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo»!

MARK DION – By the Sea
Pinksummer goes to Palazzo Pallavicino CambiasoGenova

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