Sotto un’aureola di capelli bianchi gli occhi guardano lontano, il sorriso è dolce, la voce educata ma l’energia che promana dalla sua figura è palpabile… stiamo parlando dell’architetto Mario Botta, un gentilissimo signore che snocciola parole, numeri, lancia e raccoglie sfide urbi et orbi. C’è del vero nel detto che il buongiorno si vede dal mattino se si riflette sul fatto che a soli 15 anni va “a bottega” da Luigi Camenish e Tita Carloni nel loro studio a Lugano, e a 18 firma la sua prima costruzione, la Casa Parrocchiale di Genestrerio.
La sua verve cattura il pubblico che si fa attento ai racconti e agli aneddoti incalzanti e il sapere, il vero sapere è trasmesso con parole semplici. A sentirlo sembra che i concorsi internazionali, quanti quelli vinti! siano dei giochi da tavolo…
Mario Botta, con i suoi amati mattoni “sotto il braccio”, è a capo di un’impresa più che di uno studio di architettura. Sul grande schermo del Salone del Maggior Consiglio a Palazzo Ducale a Genova, scorrono le immagini dei suoi “segni”, che improntato di sé tanti luoghi ovunque nel mondo. La sua mano è assolutamente riconoscibile e lascia una firma a caratteri cubitali. Figlio della cultura classica, grande conoscitore della storia ha il cruccio dice di non riuscire a ricordarsi tutto quello che vorrebbe. Afferma convinto che lo studio è il passaporto della nostra felicità. “Siamo debitori al nostro passato di una cultura straordinaria e non c’è futuro senza profonde radici nel passato”. Allibisce di fronte ad uno studente commosso all’idea di potergli fare una domanda, che poi non formulerà, arrotolandosi in una sorta di filosofia della mission dell’architetto. Sorride e la sua grandezza sta tutta nella risposta che dà all’ altro ragazzo avventuratosi come un altro poco prima, sulla scoscesa strada del “Noi Architetti”… lo stoppa subito in modo fermo: “No, siamo l’ultima ruota del carro”.
Ben lungi quindi dal crogiolarsi nei suoi successi che coprono tutto l’arco dalla progettazione alla committenza, o dal sentirsi irraggiungibile per la quantità di incarichi prestigiosi svolti lascia il giovane visibilmente sconcertato che non riesce a nascondere la delusione. “Certo, ribadisce convinto, siamo esecutori della Committenza che decide il soggetto e noi eseguiamo l’oggetto”. Grandiosamente semplice! Non é un caso che abbia fatto del mattone, l’umile laterizio, il suo segno.
Architetto convinto, di più stregato dall’architettura come appena detto afferma che “Le geometrie raccontano cose che vanno al dilà del progetto”. Mentre sullo schermo scorrono una dopo l’altra le immagini del MART di Rovereto, la Pinacoteca a Palazzo Annone, il Moma il museo di San Francisco, l’Edificio del 1911 sopravvissuto alla catastrofe del terremoto, diventa questo il tessuto su cui traduce le Leggi della città europea applicata. Parla di altri luoghi che hanno ormai il suo segno indelebile, Dortmund, Seoul, ma anche Sambuceto, Milano con la rivisitazione della Scala, Shanghai, Pechino. La professione precisa, oggi vive di bandi. Sono questi a farla da padrone, sono il nuovo strumento con cui rapportarsi. Non nasconde che la sintonia con i contenuti sia rara, ma proprio per questo la sfida è ancora più stimolante. Cosi si misura ad Atene con la Sinagoga, la Banca Nazionale Greca e i reperti archeologici in cui si imbatte il cantiere, e ancora San Carlino in una Lugano che si fa vanto di un altro architetto svizzero che è in tutti i libri di storia dell’arte. Botta, ipersensibilizzato dal delicato incarico che deve sottolineare i natali di Francesco Borromini, realizza il “cippo” che segna il punto di partenza di quello straordinario viaggio che il suo collega secentesco, si proprio lui, concluderà a Roma, dove lo attendono quei capolavori che ci lascerà, da S.Ivo alla Sapienza, a Piazza Navona. E qui sottolinea Botta, è evidente che il vero protagonista di ogni progetto, è il contesto. E il contesto governa anche le icone religiose, come il magnifico volto della Sindone da lui stesso realizzato, nell’abside della Chiesa del Sacro Volto, una pittura murale di mattoni, che ha l’incisività di una scultura grazie ad un sapiente gioco tra luci ed ombre. Mai visto un lavoro simile.
Oggi l’uomo ha bisogno di silenzi in cui ritrovare sé stesso, afferma consapevole. “Per questo amo fare Chiese, quelle Chiese la cui spiritualità ci é giunta dalla storia. Siamo debitori verso questa grande cultura e oggi dobbiamo poterla restituire in una spirale di crescita”. I suoi mentori Carlo Scarpa, Le Corbusier e Louise Khan che metabolizza in un lessico assolutamente personale, e come ogni architetto non si fa vittima di specializzazioni ma anzi ogni incarico viene esplorato, studiato in profondità e risolto ad hoc.
Il lavoro non lo spaventa, lo studio si alterna al cantiere 365 giorni all’anno, non vivrà mai il lavoro come condanna, ma ne gode come frutto di una passione travolgente, passione per il mistero che é l’uomo, incognito a sé stesso ma che si riflette nella collettività, e che per tornare sul terreno a lui ben conosciuto, a ben vedere, ė il vero committente.