Maria Lai lavorava con la stessa rapidità e la stessa precisione con cui le nostre madri, zie e nonne lavoravano all’uncinetto. Attualmente l’immagine della donna che cuce, potrebbe richiamare l’idea di un tipo di donna a cui l’emancipazione è stata negata. In effetti, prima delle rivolte femministe del ’68 molti diritti erano negati al sesso femminile. Si pretendeva dalle figlie che diventassero prima delle “brave ragazze” e poi delle brave e angeliche mogli e madri, votate esclusivamente alla famiglia. L’ambizione e la carriera lavorativa erano argomenti prettamente maschili e coloro che si azzardavano a prendersi la libertà di perseguire un proprio percorso autonomo, non erano ben viste.
Una delle attività femminili per eccellenza, dai tempi dei tempi, è sempre stata proprio quella del cucito che Maria Lai ha però convertito in arma per ottenere la sua stessa emancipazione. Infatti, questa giovane donna è stata in grado di trasformare quel che sarebbe dovuto essere l’ordinario, nella sua arte, riuscendo così a evadere da un futuro già prestabilito dalla nascita.
Parlando della sua vita lei stessa affermò: “Io fin da bambina avevo sempre bisogno di fuggire di casa e mi si guardava con un’interrogazione: ‘Non ti amiamo abbastanza? Perché stai sempre lontana? Perché ti nascondi sempre?’ Io amavo molto stare sola, nascosta, e mi dicevano: ‘Ma cosa fai?’ E io ascoltavo il silenzio. Mi sembrava bellissimo. Però naturalmente mi sentivo diversa, mi sentivo sempre un po’ accusata, mi pareva di tradire sempre chi mi amava. E sempre ho avuto il bisogno di creare distanze tra chi mi ama e me. Non sopporto di essere amata più di tanto. Il vero amore è quello che mi dava mio padre aiutandomi a essere libera anche essendo preoccupatissimo per me”.

L’arte e la persona di Maria Lai si ricollegano alla virtuosa Caterina Cantoni che nel XVII secolo fu protagonista di moltissime citazioni letterarie, encomi e lodi che le vennero dedicati per la sua eccezionale virtù nel cucito. Il suo Ricamo di Aracne si è conservato fino a oggi e la grande rivoluzione di questa artista fu proprio quella di andare contro le regole prestabilite e rappresentare ancor prima delle pittrici donne del tempo, all’interno dei temi di carattere mitologico, dei momenti erotici e dei soggetti del tutto profani.
Ecco che anche Maria Lai come Caterina Cantoni, oltre a decidere di usare l’ago e il filo per farsi spazio in un mondo maschilista, crea un mondo incantato e mitologico tutto suo, partendo dalle figure leggendarie delle Janas, antiche divinità che, secondo la tradizione sarda, passavano il tempo a tessere. L’artista medita solitaria per riallacciarsi alla traduzione della sua terra d’origine e ricostruire un legame tra il presente e il passato arcaico.
Se pur vicina al gruppo Informale, non ne prende parte e agisce da sola con un bagaglio di esperienze e di vissuto del tutto singolare, impossibile da associare a qualsiasi movimento. Nelle sue opere Maria Lai parla di sé e del lavoro femminile nella sua terra. Maria Elvira Ciusa, sua ex collaboratrice, a riguardo ha dichiarato: “Il mondo delle arti, quando esordì, era dominato dagli uomini… Maria Lai veniva assalita dallo sconforto di dover continuare a lottare e trovarsi a vivere all’ombra dei suoi compagni di strada, coi quali aveva condiviso negli anni Sessanta i nuovi linguaggi dell’arte, di artisti come Pino Pascali, Jannis Kounellis, Piero Manzoni e Alighiero Boetti”.
All’interno della sua mostra personale presso la Nuova Galleria Morone si nota grazie a un allestimento pulito e asciutto, la sua predilezione per i materiali tessili e gli elementi poveri come il legno, la carta, la terracotta e il cemento. Per poi passare all’uso delle stoffe, vernici e spago, in altri casi l’artista si è spesso confrontata anche con l’uso del pane ricollegandosi alle tradizioni e al folklore della sua terra d’origine, la Sardegna.

In mostra si può ammirare la natura polimaterica che caratterizza l’arte di Maria Lai: l’opera lo Scialle di Janas, composta da una cascata di tavolette in terracotta su cui sono impressi i motivi dei tessuti tradizionali; il Muro, costruito da cementi ingentiliti da terrecotte smaltate inserite al loro interno; per poi passare alle Geografie, geometrie di fili bianchi su tessuto nero. Ma merita soffermare l’attenzione sui suoi Libri cuciti. In mostra è esposta tra le altre, l’opera Il miele delle Janas, del 1991 realizzato in stoffa, filo e tempera. Si nota la volontà di Maria Lai di far sì che lo spettatore osservi lungamente il suo libro, ricco di piccoli ricami e dettagli da scoprire. A prima vista appare simile a un volume antico eroso dal tempo, che esposto alle intemperie si è completamente scucito perdendo le sue rifiniture. L’artista sembra parlarci di una scrittura, di un’arte che nonostante tutte le avversità che affronta, riesce a sopravvivere nel tempo e contro il tempo. Infatti, come diceva lei stessa: “L’arte è come una pozzanghera che riflette il cielo, ma può passare inosservata. Può essere calpestata, ma l’immagine del cielo si ricompone sempre”.