Intitolata Anatomia di uno spazio, l’esposizione di Maria Helena Vieira da Silva propone una ricognizione approfondita dell’universo pittorico dell’artista attraverso una selezione di circa settanta opere, provenienti da musei internazionali e collezioni private. L’iniziativa si inserisce nel solco di un legame storico tra la Fondazione Guggenheim e la pittrice, un dialogo iniziato sin dagli esordi della sua carriera e coltivato nel tempo.
Nata a Lisbona nel 1908, Vieira da Silva, portoghese naturalizzata francese, crebbe in un ambiente colto, progressista e fortemente sensibile all’arte e al pensiero femminile. A vent’anni lasciò il Portogallo per Parigi, città che avrebbe accolto e nutrito la sua formazione artistica. Non si trattò solo di una scelta formativa, ma di un vero e proprio atto di emancipazione da un contesto culturale e politico fortemente repressivo.
Figura chiave dell’arte astratta europea, Vieira da Silva ha sempre rifiutato le etichette rigide. Il suo è un astrattismo contaminato da una vena figurativa, una tensione fertile che la curatrice della mostra mette sapientemente in evidenza. Le sue tele attingono tanto alla tradizione decorativa portoghese quanto ai paesaggi urbani e alle avanguardie storiche come Cubismo e Futurismo. Ne risulta un linguaggio visivo che oscilla tra l’immaginario e il concreto, tra ordine e caos.
La sua adesione all’Art Informel nasce dal rifiuto delle strutture formali canoniche in favore della materia, del gesto e dell’improvvisazione. Tuttavia, Vieira da Silva non rinuncia mai alla costruzione, alla composizione: la sua pittura è un paradosso vivo, in cui la dissoluzione convive con l’architettura dell’immagine. Multiforme e interdisciplinare, ha attraversato diversi territori artistici – dalla pittura alla ceramica, dal design tessile alle vetrate – costruendo un’identità espressiva nutrita da ibridazioni culturali, contaminazioni estetiche e memoria personale.



La mostra veneziana si configura come una mini-retrospettiva, un’antologia che esplora le tappe fondamentali della sua evoluzione artistica, soffermandosi su momenti cruciali, come le opere legate alla Seconda Guerra Mondiale. In queste tele, spesso ispirate alle macerie delle città europee, si coglie un’intensa riflessione sul trauma collettivo e sulla condizione umana. Lo spazio pittorico diventa allora un campo di forze emotive, una topografia del disorientamento e della resistenza.
L’artista sviluppa una grammatica visiva unica, dove la lezione cubista si fonde con la prospettiva rinascimentale, riformulata in trame complesse e instabili. Le sue opere sono veri e propri labirinti percettivi, dove lo sguardo dello spettatore viene coinvolto in un processo di continua ridefinizione. La tela diventa così uno spazio tridimensionale, un corpo architettonico di segni, una “anatomia dello spazio” in cui si articolano infinite strutture, evocando la pittura di Cézanne tanto nell’uso del colore quanto nell’indagine prospettica.
Le sue composizioni, dense di simbolismi e allusioni, fondono la dimensione personale con quella storica, offrendo una visione potente, consapevole e profondamente etica dell’arte. La pittura diventa uno specchio dell’instabilità contemporanea, in cui la città si trasforma in una mappa mentale e percettiva. Le strutture labirintiche che animano le sue tele riflettono un mondo in continuo mutamento, un universo dove la realtà si dissolve per ricomporsi in nuove configurazioni.
La tensione tra astratto e figurativo, tra costruzione e disgregazione, attraversa l’intera opera dell’artista, conferendole una straordinaria attualità. Vieira da Silva ci invita a vedere lo spazio non come semplice contenitore, ma come esperienza sensibile, fluida, inafferrabile. Un viaggio visivo e interiore che, ancora oggi, continua a interrogare il nostro modo di percepire, abitare e ricordare il mondo.

