giusy emiliano

“Mai dire mai”. Giusy Emiliano

Organizzatrice di eventi e curatore indipendente, sempre in cerca di artisti di talento, Giusy Emiliano collabora stabilmente con la divisione Land and Water del Quartier Generale delle Nazioni Unite di Roma (FAO). Abbiamo parlato con lei di arte e scienza, migrazioni, sostenibilità ambientale. E, last but non least, di come un artista contemporaneo (o un altro curatore) possa “entrare” in un ambiente come il suo.

Nel rinascimento l’arte era l’avanguardia della scienza, oggi ne è una delle utilizzatrici finali. Quale, secondo te, il suo ruolo nell’epoca dell’intrattenimento digitale?

L’arte contemporanea gioca un ruolo cruciale nello sviluppo delle capacità di pensiero critico necessarie per orientarsi nel paesaggio tecnologico digitale del 21° secolo. Storicamente, le arti hanno influenzato significativamente lo sviluppo delle società, plasmando civiltà, trasformando sistemi politici e denunciando ingiustizie.
Attraverso questa speciale lente, l’arte ci offre un’anteprima dettagliata soprattutto di esperienze umane, permettendoci di connetterci ai livelli fondamentali di desiderio ed emozione.
Ci spinge a comprendere meglio i temi sociali che l’uomo cerca di codificare attraverso montagne di parole, poiché l’empatia avvicina questi problemi alle persone, rendendoli più accessibili.
Oggi, la scienza viene spesso presentata attraverso le sue declinazioni più complesse e negative: cambiamento climatico, perdita della biodiversità, inquinamento ambientale e introduzione di microplastiche nella nostra dieta quotidiana. Questi temi catastrofici sovrastano il pubblico, che cerca di comprendere ma spesso ne resta sopraffatto. In questo contesto, l’arte pone il tema al centro e ne declina la parte positiva, mettendo l’uomo come possibile agente di cambiamento.
L’arte utilizza spesso forme elementari per migliorare la nostra capacità di leggere il mondo, aiutandoci a vederlo nella sua specificità e interezza. Così, le persone, i luoghi, le cose e gli eventi vengono visti da prospettive diverse.
Ritengo che oggi le immagini dominino il nostro campo visivo, inducendoci a critiche, ragionamenti e posizionamenti rapidi.
In una società liquida, le immagini forniscono intuizioni, conoscenza, saggezza ed emozioni a chi le osserva. La vita si manifesta attraverso immagini e informazioni accattivanti. Digitalizzata o meno, l’arte rimane comunque un tesoro per l’umanità.

Un amico musicista mi ha mostrato, l’altro giorno, le opere elaborate da un software sulla base delle sue composizioni. Le ha usate persino per la copertina di un suo album. Pensi che l’intelligenza artificiale possa prendere, anche in ambito artistico, il posto dell’umana?

Penso che sia in corso un processo di acquisizioni di alta tecnologia, ma ritengo fortemente che l’arte non possa prescindere dal proprio processo creativo, che è nelle mani, nella mente e nel corpo dell’uomo.
Per esempio un balletto fatto da un corpo umano, con quella specifica espressione e emozione, non potrà mai sortire lo stesso effetto di un balletto fatto da un robot. Quando ammiriamo delle opere pittoriche non vediamo solo il risultato finale ma assorbiamo anche l’emotività, il tormento o la gioia che hanno condotto l’artista alla scelta dei colori e delle forme cristallizzate sulla tela.
Desidero restare ottimista pensando che l’uomo non permetterà a nessuna intelligenza artificiale di sostituire totalmente se stesso.

Non hai anche tu l’impressione, partecipando a collettive improvvisate, di assistere a un b-movie horror di serie zeta i cui registi sembrano aver perso financo le più elementari proprietà espressive e linguistiche? Quali dovrebbero essere, a tuo avviso, i principi guida del perfetto curatore?

Il lavoro di curatore d’arte è un lavoro in perenne movimento mosso dalla curiosità e dal continuo studio. I dialoghi, gli approcci con gli artisti sono la base sulla quale i curatori operano.
Le regole e le attività sono multidisciplinari e abbracciano molti temi; per esempio, se intende mettere in risalto l’arte coloniale e dialogarci su, il curatore deve essere preparato ad affrontare i nodi relativi al post coloniale e studiarne bene le basi antropologiche, approfondire l’argomento sulle migrazioni, sulla museologia, sulla corporeità, sulle identità culturali del colonialismo e sulle pratiche artistiche contemporanee che dialogano con immaginari comuni che dovrebbero essere consegnati alla storia.
Il curatore deve rispettare il luogo ospitante inserendolo in una narrazione attiva tenendo sempre a mente che il protagonista principale della mostra è l’opera e, con essa, l’artista.
Oggi assistiamo ad una mescolanza di ruoli che a parer mio andrebbero rivisti.
Potremmo parlare a lungo di questo argomento delicato, al quale tengo particolarmente, ma ritengo che alla fine saranno i nostri curricula a parlare del nostro lavoro.
Inoltre ritengo che noi che abbiamo acquisito maggiore esperienza abbiamo il dovere di accompagnare le nuove generazioni ad amare e curare l’arte come bene della nostra umanità, attraverso relazioni e dialoghi colmi di rispetto reciproco.

Quale è stata, negli ultimi anni, la tua mostra preferita, tua e altrui?

Non ho delle preferenze radicali, amo moltissimo l’arte e mi appassiono a quasi tutte le mostre che decido di vedere.
Ritengo che le antologiche (quelle fatte bene) siano davvero interessanti e utili per le nuove generazioni che non hanno avuto la fortuna di incontrare e dialogare con personaggi interessanti. Ecco anche restituire un segmento storico alla comunità penso che sia un dovere del curatore. Ad esempio la mostra di Carla Accardi al Museo Nazionale mi ha fatto “rivedere” delle opere che avevo dimenticato e che avevo avuto la fortuna di vedere anni fa nel suo studio.
Ritengo che mostre come questa siano utili non solo per godere delle opere ma perché possiamo intravedere i percorsi, i bisogni, i desideri inespressi e la poetica dell’artista.

In cosa curare una mostra per un ente come la FAO è diverso dal lavorare per una galleria o per un museo?

La FAO e l’Italia collaborano per promuovere regimi alimentari corretti, sicurezza alimentare e nutrizione per tutti, con l’obiettivo di attuare l’Agenda 2030 e tradurre l’impegno politico in azioni concrete. L’arte contemporanea supporta la comunicazione diventando un ponte che avvicina le persone a temi difficili da spiegare.
La differenza principale è il luogo, perché solitamente le esposizioni avvengono nell’Atrio (luogo non luogo), spazio di passaggio ampio e privo di pareti, e per allestire in modo fruibile per il pubblico, occorre inserire elementi fittizi e piedistalli che permettano il corretto allestimento rendendoli armonici.
Nei musei, come in FAO, vi sono molte regole in materia di tutela del luogo e della sicurezza delle persone, quindi conoscerle è essenziale per poter lavorare bene. Nei musei ti avvali di professionisti interni alla struttura e in FAO lavoriamo in team con colleghi talentuosi che sostengono e partecipano attivamente alle pratiche di allestimento e relativa comunicazione esterna.
Il pubblico è vasto e trasversale, solitamente composto da ambasciatori, ministri, colleghi, studenti, e contadini.
La mia soddisfazione è quella di raggiungere la sensibilità degli agricoltori, che partecipano ai convegni FAO, e condurli verso una comprensione empatica del gesto artistico avvalorando le pratiche agricole suggerite dagli scienziati.

Vedi di buon occhio le mostre co-curate?

Sì assolutamente, di solito preferisco lavorare con professionisti che stimo e che indagano su tematiche e progetti condivisi ma trovo interessante e stimolante lavorare con giovani talentuosi e visionari.

Prescindendo dalle tue attività istituzionali, segui da vicino un gruppo di artisti indifferentemente emergenti ed affermati. Cosa dovrebbe fare un artista per farsi notare da una curatrice come te?

Apprezzo molto il contatto diretto e che dietro a ogni opera ci sia studio, intuito creativo e coerenza dall’inizio alla fine. Ma anche il contrario può sollecitare la mia curiosità, a volte gli estremi ci portano lontano dalle nostre comfort zone e aprono nuove visioni … nell’arte, mai dire mai è un principio imprescindibile.

Cosa chiederesti, per rilanciare il settore, al Ministro della Cultura?

Cosa intende fare per la valorizzazione del Patrimonio Culturale e per offrire più opportunità agli adolescenti?

A cosa ti stati dedicando, a cosa ti dedicherai?

Stiamo lavorando per l’evento WFF 2024 (Forum Mondiale del Cibo, ottobre 2024). promuovendo artisti che lavorano sugli stereotipi culturali legati al cibo.

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