Nel periodo dei trentacinque giorni di residenza in Nepal, dal 26 settembre al 30 ottobre, l’artista Luca Di Terlizzi ha esposto – mediante il finanziamento della borsa di studio, assegnatagli dalla Fondazione Mighetto di Torino – all’interno degli spazi del Museo Patan, in Lalitpur, a Kathmandu in Nepal, e più precipuamente intorno al caratteristico tempietto quadrangolare Keshav Narayan Chowk, a Patan Durbar Square, centro storico della città di Patan e una delle tre piazze Durbar, dichiarate patrimonio dell’umanità da parte dell’UNESCO, nella Valle di Kathmandu. L’esposizione è accompagnata dal testo critico di Francesco Paolo del Re.
Il tempietto Keshav Narayan Chowk è edificato nella cornice di piazza Durbar, delimitata dalle mura del Museo. Ospita, nel suo spazio circostante e a raggera, le cinque opere nate dal contatto con il luogo, per la personale site-specific The roots of the earth dell’artista, progetto legato all’arte e al suo valore antropologico.
Luca Di Terlizzi (Tivoli,1998) è artista, co-fondatore e membro dell’artist-run space CONDOTTO48, e ha all’attivo diverse mostre personali e collettive.
Lo spazio CONDOTTO48 nasce, nel 2021, per volontà degli artisti Verdiana Bove, Francesca Romana Cicia, Luca Di Terlizzi, Emanuele Fasciani e Caterina Sammartino, per condividere la visione della propria ricerca all’interno del processo creativo e per muovere la critica su territori fertili e progressivi. Si installa all’interno del tessuto urbano dell’Agro Romano che prende il nome dalla Turris Aegidi Angeli, nella tenuta di Tor Angela, appartenuta ad Angelo Del Bufalo nel XIV secolo e ritrovata dallo storico francese Jean Coste, durante i suoi studi, tra i documenti notarili del 1300, toponimo dato dal 1613 al quartiere.
Nel corso della residenza, l’artista romano ha originato cinque opere di dimensioni di cinque metri di lunghezza per un metro di larghezza ciascuna, corrispondenti ai cinque elementi, in cui si esplicita l’universo: “SPAZIO E TEMPO”, “TERRA”, “ARIA”, “ACQUA” E “FUOCO” (2024).
I dipinti sono stati poi donati alla NAFA Nepal Academy of Fine Arts, affinché possa conservarli e tutelarli, per la loro deperibilità, negli anni di costruzione del futuro Museo, a cui sono destinati.
La sua pratica artistica del nostro si manifesta come una vela nomade di ricerca che, nel contatto con l’invisibile, si anima nel territorio, mettendo in rapporto prodigioso l’antico, l’ancestrale e il rituale con il contemporaneo, tramite l’esplorazione delle radici dell’umanità che abita un determinato luogo e dei suoi fondamenti atavici.
Si traccia, così, un nesso tra la residenza e la sua precedente personale I territori del divino ospitata, presso lo spazio espositivo dell’Abbazia Sant’Andrea in Flumine, a Ponzano Romano e realizzata da Contemporary Cluster, in collaborazione con il PRAC, con la cura dal direttore del CENTRO PER L’ARTE CONTEMPORANEA di Ponzano Romano, Graziano Menolascina.
Il termine “territorio” deriva, infatti, dal latino “territoris” che indica, a sua volta, il termine “territor”, “possessore della terra”, in un’accezione che reca la significazione non della possessione, bensì dell’interiorizzazione come indagine della terra.
Il rilievo antropologico locale emerge nella restituzione del Sublime del territorio, per mezzo della scoperta, attuata con il viaggio che, da conseguenza della mostra, diviene principio ineludibile di creazione.
La pittura si eleva a metodo meditativo che risponde al circostante in una profusione di energia profonda e richiamante la psicogeografia, generando una correlazione tra la psiche e l’ambiente, in cui la mostra prende forma, dimenticando quei caratteri sovversivi e di decostruzione di deriva dell’azione dell’Internazionale Situazionista, e validando quell’affettività fertile che rende visibile il processo mistico, compiuto dall’artista nello spazio.
Installation view Patan Museum, 2024, ph. Kushal Bajracharya
Installation view Patan Museum, 2024, ph. Kushal Bajracharya
Nelle cinque carte acquerellate con pigmenti puri, soggetti figurati si combinano all’astrazione del gesto, in un linguaggio perturbante che evidenzia colori e forme, riattivate dal sub-conscio interiore.
Nello sguardo associativo si rivela il filo che lega le narrazioni afferenti alle diverse culture e che i soggetti simbolici impiegati mettono, subitaneamente, in una lettura tanto parallela quanto singolare delle differenti appartenenze.
Il continuum della trama si estende in un andamento centripeto e, unitamente, direzionato verso l’esterno. Se i supporti sono arazzi collocati a raggera per invitare il fedele verso un perno rituale, sincronicamente l’accezione insita si muove in un’espansione aldilà del cerchio immaginario, percepito da una visione dall’alto, e che circoscrive la forma quadrangolare del tempietto, racchiusa nel perimetro geometrico regolare del Museo, trasmutando i dipinti in indicatori di estensione del culto.
Rituale è anche la corporeità che entra a far parte del modo di dipingere dell’artista su piano della pavimentazione.
È, altresì, capitale chiarire l’operazione autonoma e sincera di Di Terlizzi verso la propria poetica che elude qualsiasi legame religioso, pur intensificando il suo rapporto di rispetto verso la fedeltà locale.
Nella trama delle opere
L’ordine cosmico ubica una stella a sigillo della Chimera dello spazio e del tempo, mentre nella materia liquida della Terra si agitano soggetti marini, i delfini ricorrenti nell’operato del nostro, antichi abitanti degli affreschi del Palazzo di Cnosso, creature benevole e di buon auspicio, salvatrici dei naufraghi e recanti sul dorso Afrodite, tra gli abissi del mare. Esseri quasi angelici si dispongono in frequenza con i nostri campi energetici, facendo scaturire, in noi, quell’equilibrio tra il giusto e ciò che non ci appartiene, in una musicalità che fonde la specie umana a quella cetacea. E, se Artemide caccia diverse specie nella Terra, tra cui i cervi, nel Fuoco, la fertilità di Diana muta in un buon pronostico per l’accezione augurale, di cui si carica l’immagine del Buddha con i serpenti.
La tradizione locale del Nepal ricorda di un tempo, in cui si narrava di una ruota divisa in raggi, ove al centro sorgeva un monte altissimo, il Sumeru, e intorno ad esso erano disposti otto montagne e otto mari; il mondo dei Newari, gli abitanti della valle del Kathmandu. Così, se il monte Sumeru è, visionariamente, restituito dall’immagine del tempietto, l’immaginario che lo circonda è effigiato all’interno delle cinque opere.
Installation view Patan Museum, 2024, ph. Kushal Bajracharya
In dialogo con l’artista
L.C. L’opera è emersione delle sinergie territoriali con la psiche, in una continuativa riflessione con l’epifania del circostante…
L.D.T. Penso che qualunque cosa diventi epifania durante il viaggio.
Ma in fondo cosa è il viaggio?
Il senso del continuo migrare lo vedo come una grande opportunità per fare ricerca e per abbracciare qualunque circostanza che si viene a creare.
In maniera spontanea, quasi spugnosa oserei dire, si abbraccia la vita in tutte le sue forme, dedicando ampio spazio alla riflessione e alla meditazione, due caratteristiche fondamentali per creare l’opera d’arte.
Nota importante è che la mia pratica è contaminata dalla poesia. La maggior parte dei titoli delle opere nascono da piccoli versi o ipotesi di poesie. Spesso nascono e muoiono nello studio, durante la creazione dei lavori, ma in qualche modo ne rimane sempre traccia, anche solo nei miei pensieri.
Questa installazione SITE SPECIFIC, e che ho progettato e realizzato per il Patan Museum in Nepal, è nata dallo studio di fiabe e narrazioni locali, in particolar modo storie sul tema della creazione. Una di queste, ha ispirato la produzione delle pitture e narra nello specifico delle otto montagne, il monte Sumeru e il mondo, secondo la visione della popolazione Newari della valle di Kathmandu.
Ho lasciato la mia immaginazione lavorare e sono nate, da questo incontro, cinque grandi opere.
L.C. Nella pittura si condensano più stratificazioni che convogliano lo sguardo dal passato all’universo contemporaneo…
L.D.T. Quello che cerco è una sorta di allineamento.
La linea temporale cessa di esistere, talvolta. Antico e contemporaneo spesso sono anche la stessa cosa. Si possono fare davvero molti esempi a riguardo, si pensi alle contemporaneità delle prime pitture di Matisse, ai Notturni di Mcneill Whistler, all’espressività del Tiepolo, la pittura Gotica di Cimabue o, andando ancor più lontano in geografia e nel tempo, nella XVIII Dinastia dell’Antico Egitto con l’architetto Kha e la grande varietà di oggetti, tra cui gioielli e mobili rinvenuti nella sua tomba nei primi anni del ‘900, paragonabili al moderno Design.
Questo breve excursus mira a spiegare che non mi concentro tanto su questo concetto, dando ciò per consolidato, ma piuttosto mi dedico alla temporalità dell’opera, cercando di prevedere cosa succederà verso la fine delle mie pitture, fin dalla genesi della creazione.
Mi interessa la dimensione in cui il tempo e lo spazio perdono la propria forma, tramite una specifica energia che si crea con il flusso di lavoro.
Quest’ultimo è lo stesso che cerco di tradurre in forma, ma non in una maniera classica.
È mia intenzione nascondere degli enigmi da risolvere all’interno del quadro o dell’opera in sé, attraverso simbolismi e disegni.
L’ermetismo ma soprattutto il senso del mistico sono due chiavi per la lettura del mio lavoro. Sono attratto dal mistero e dal segno che ne consegue. Creazione e distruzione in completa armonia con un solo ed unico scopo creativo.
Creare qualcosa dal colore e della forma, partendo da un’idea o da semplici domande.
Negli ultimi tempi, la mia ricerca ha preso una direzione legata ad elementi ancestrali.
Ogni opera mostra elementi figurativi uniti a gesti astratti, un approccio espressivo che ha l’intenzione di divenire un nuovo idioma.
The roots of the earth
Luca Di Terlizzi
Testo critico di Francesco Paolo del Re
Residenza in Nepal
26 settembre – 30 ottobre 2024
Museo Patan, in Lalitpur, a Kathmandu in Nepal