Tutto l’universo obbedisce all’amore di Sebastian Contreras richiede uno sforzo, su più livelli, nella sua comprensione e definizione tra limiti che si intrecciano e perdono quei contorni marcati cui si è soliti categorizzare per abitudine, conforto, velocità, la serie di esperienze del nostro vissuto.
Ben prima del “che cos’è”, è necessario partire dal negativo e riassumere “cosa non è”. Tutto l’universo obbedisce all’amore non è un’opera video di 11 minuti, non è arte pubblica, non è una videoinstallazione, non è una performance, non è una scultura, non è nemmeno una mostra in cui vengono esposte opere d’arte; piuttosto, un conglomerato, una massa eterogenea votata all’azione.
Il pubblico viene “adescato” all’interno del cinema “a luci rosse” pescarese persuaso dall’idea di una proiezione video in un’insolita cornice. Quello che scoprirà, solo una volta lì, è lo stupore di ritrovarsi nel bel mezzo della consueta programmazione di un film porno con il pubblico di fedelissimi altrettanto ignari che qualcosa, di lì a poco, stia per cambiare.
Si vive uno smottamento generale fuori e dentro di sé. I pensieri si soffermano sulle poltrone in pelle rossa, sui possibili scenari che si sono consumati, sull’architettura di un luogo tanto estraneo alla città quanto centrale nella sua posizione geografica.
L’apertura delle porte dei bagni, curiosamente posizionati sotto lo schermo, sanciscono l’andirivieni forsennato del pubblico maschile cadenzato dal ritmo intermittente della luce che rischiara parte della sala e indugia, con precisione chirurgica, i volti di ognuno.
Invece, le reazioni dei “malcapitati” sono le più disparate. C’è chi decide di non sedersi per essere pronto a sgattaiolare verso l’uscita in qualsiasi momento, chi si indigna, ride, si imbarazza in un ventaglio emotivo di generale spaesamento.
Al contrario, il pubblico in sala accorso alla proiezione di 41 anni infedele e vogliosa si sorprende quando assiste alla partecipazione di un pubblico diverso.
– “Ehi, non ti ho mai vista qui!” Si sente pronunciare dalle file retrostanti da un uomo di mezz’età nel tentativo di abbordare una giovane donna.
Si rimane con il naso all’insù, tra il perplesso e l’incredulo, guardando la variopinta scena di un mènage à trois, chiedendosi se sia quello l’intervento dell’artista; si arriva persino a credere che in sala ci siano solo attori di una performance. E quando il nudo diventa esplicito, il piacere delle due donne arriva al culmine, reso manifesto da tremori e gemiti, il lungometraggio “stacca” su una scogliera, una spiaggia, un coniglio che entra in acqua, una nave in viaggio, i fumi di una centrale idroelettrica, bottiglie di vino…
Il pubblico maschile borbotta il suo disappunto per quella discutibile scelta di interrompere sul più bello la scena del film. Il restante pubblico è alla ricerca di un senso.
Di nuovo, le scene viste in sequenza tornano indietro. Infine, un cumulo di vermi si contorce.
Sebastian Contreras rimaneggia Deserto Rosso, il primo lungometraggio a colori di Michelangelo Antonioni, epurando le scene di paesaggi dalla presenza umana, restituendo la natura simbolica dei corpi nell’esaltazione delle contraddizioni. Egli pungola lo spettatore a compiere una riflessione profonda tra sfera pubblica e privata, etica e morale, cultura e natura, spontaneità emotiva e dovere sociale.
Non c’è interruzione tra il film e il video dell’artista, ma scene di continuità sul tema del corpo e della sessualità con un tempo “in avanti” a suggerire un processo evolutivo, “indietro” di tipo involutivo, portando l’attenzione sulla gamma di istinti primordiali che rende gli esseri umani simili a nudi vermi.
Tutto l’universo obbedisce all’amore racchiude, da una parte, il rifiuto della società delle pulsioni umane come tabù da vivere nel privato, dall’altra, intende l’amore come ragione ultima dell’esistenza. In questo senso, il tornare indietro del video si sveste di sovrastrutture culturali, tenendo insieme il riferimento di una canzone di musica leggera, seppur scritta da un cantautore del calibro di Franco Battiato a voler suggerire l’incontro tra cultura “alta” e “bassa”.
Allo strapotere pornografico delle immagini che imperversano il nostro quotidiano, a più di cinquant’anni dalle battaglie di emancipazione femminile e libertà sessuale, quel tornare indietro nello storico cinema pescarese etichettato “a luci rosse” e fare esperienza di Tutto l’universo obbedisce all’amore si dimostra anche una critica alla vita online al congelamento degli istinti, alle modalità stereotipate di relazione in cui la libertà risulta solo apparente.
Contreras svolge un’operazione immersiva in cui il pubblico vive il senso di estraniamento, come spiega Andrea Croce nel testo critico. L’opera diventa un processo unico, composto da frammenti di vita che vanno via via ad assemblare un esperimento sociale a partire da un interrogativo di fondo sui nostri desideri e come essi vengono condivisi alla luce del sole.
Non solo “Tutto l’universo obbedisce all’amore”, ma continua Battiato, “Come puoi tenere nascosto un amore. Ed è così che ci trattiene nelle sue catene”.