Diane Arbus, Margaret Bourke-White, Lisetta Carmi, Regina José Galindo. E ancora: Gerda Taro, Lisette Model, Sandy Skoglund, Marina Abramovic, Tina Modotti, Gina Pane, Francesca Woodman, Nan Goldin, Sophie Calle, Cindy Sherman, Inge Morath, sono solo alcuni dei tanti nomi di rilievo per un progetto che, racconta Gavagnin che ha redatto il testo critico della mostra, “intende percorrere la storia della produzione artistica femminile dal lato del “sentire”, di una sensibilità distinta da quella maschile per ragioni di natura, di cultura, di ruolo societario.”
Due i marco-temi che sottendono l’ampia esposizione: quello dell’empatia e quello della ricerca dell’identità. Perché, spiegano i curatori, “da un lato la donna è influenzata dal proprio ruolo di madre, che la rende empatica e sensibile alla sopravvivenza e al benessere umano. Il secondo tema trainante è quello dell’identità in ambito sociale, sentita come compressa o inespressa.” Questi, a loro volta, sono poi declinati in altri quattro capitoli e rispettivamente: “La ricerca del sé tra identità femminile e ruoli sociali”, “Simpatie”, “Donne, moda, costume”, “Sul pezzo. Dentro all’attualità.”
La mostra spazia dalle identità plurime di Cindy Sherman, che traduce la sua immagine in un autoritratto mutante e cangiante, un tableau vivant e una finestra temporale da cui osservare le sue infinite personalità, all’italiana Vanessa Beecroft che lavora sul motivo psicologico della ripetizione del sé, della propria ricerca di bellezza, della propria ossessione per un corpo uniforme a quello altrui e rispondente a canoni benaccetti. Dalle desolate immagini di Letizia Battaglia, in cui a sconvolgere sono gli effetti distruttivi degli omicidi mafiosi, alla grammatica di Sarah Moon che volutamente si sottrae al linguaggio codificato del glamour per indagare con grazia, immaginazione e toni lirici, il tema della moda. Dalla riflessione sul rapporto tra il corpo e il mondo circostante nelle immagini di Francesca Woodman, all’oggettificazione del corpo femminile nello scatto dal sapore surrealista di Olga Spolarics (Atelier Manasse), che lo ritrae come fosse una zolletta di zucchero.
A fare da filo conduttore, trait d’union in questa galassia composita e frastagliata, la questione dell’emancipazione della donna a cui la storia dell’arte al femminile è strettamente connessa. Sempre Gavagnin: “Relegata tradizionalmente al ruolo subordinato di moglie e di madre e alle funzioni della gestione domestica, la donna ha patito per millenni una tragica menomazione della propria personalità, impedita dal poter esprimere liberamente la propria creatività in ambito culturale ed artistico.”
Con l’accesso all’istruzione e l’indipendenza economica, la donna inizia a misurarsi con le professioni intellettuali e gli strumenti della cultura e dell’arte. Tra questi, anche la fotografia. Con una sensibilità più lirica rispetto a quella maschile e intrisa di emozione, determinante nel produrre originali declinazioni del mondo e nel farci percepire il mezzo della fotografia come una delle più vitali forme dell’arte contemporanea.
Manassè Studio, Mein Zukerl, 1926, 15,8×11,2, stampa alla gelatina ai sali d’argento, vintage Vanessa Beecroft, VB52. 98. NT Castello di Rivoli, Torino, cm. 228×178, C-print monté sous diasec Silvia Camporesi, Il sale del pensiero, 2006, cm. 75×99, C-print Marina Abramovic, s.t. (from the series: Gold found by the artists), dittico (Polaroid) a colori, 1981, cm. 60×56 cad., esemplare unico Maria Michalowska, Multiplicacje, 1971, stampa alla gelatina sali d’argento, 24×59 cm
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Le donne e la fotografia. Le protagoniste della fotografia dal primo Dopoguerra ad oggi
a cura di Maria Francesca Frosi e Dionisio Gavagnin
Milano, Fondazione Luciana Matalon
fino al 28 novembre 2021