L’arca degli esposti: Eliana Urbano Raimondi

Eliana Urbano Raimondi mi riceve, in una calda giornata primaverile, presso la sede della sua Associazione: un ampio appartamento, di proprietà della madre, nel cuore di Palermo, a due passi dalla principale piazza cittadina. Locale che, a dispetto della sua centralità, serba un’aria domestica, familiare. Si capisce subito che non si tratta di un posto in cui circoli tanta gente, ma solo pochi eletti. Questo carattere esclusivo, lo dico subito al mio ospite, mi sembra un grosso limite: Inventarium, la rassegna allestita al suo interno che sono venuto a visitare, è – cito dal comunicato stampa – “una mostra/enciclopedia collettiva della Gnosi fantastica” con opere inedite di trentuno artisti contemporanei da Italia, Spagna, Francia, Russia, Armenia, Irlanda e Giappone: Emiliano Alfonsi, Miquel Aparici, Agostino Arrivabene, Carlotta Baldazzi, Philippe Berson, Nicola Bertellotti, Pablo Mesa Capella, Daniele Cascone, Rita Casdia, Luca Cecioni, Paolo Consorti, Corvengi Mikaelian, Gaetano Costa, Vanni Cuoghi, Gandolfo Gabriele David, Ettore Aldo Del Vigo, Brad Gray, Cesare Inzerillo, Hiroomi Ito, Mari Ito, Marilena Manzella, Nunzio Paci, Sergio Padovani, Giulio Rigoni, Piero Schirinzi, Igor Skaletsky, Chiara Sorgato, Fabio Timpanaro, Domenico V. Venezia, Francesco Viscuso, William Marc Zanghi; lavori, si capisce dalla squadra in campo, affatto secondari, che ci si aspetterebbe di incontrare in uno spazio museale, come quello che li ha accolti a Barcellona nella precedente tappa di Inventarium. E tuttavia, ripensandoci, l’atmosfera è quella giusta. Non siete anche voi arcistufi di mostre di plastica, superaffollate, in cui l’arte omogeneizzata è servita col cucchiaino da boccette di vetro? L’arte è un mistero cui accostarsi in solitudine e in silenzio: con rispetto, pudore, direi financo riverenza. E, ciò che più conta, con lo spirito iniziatico che contraddistingue la ricerca di Eliana. Potevamo aspettarci di meno da una curatrice cresciuta nella patria di Cagliostro e delle Catacombe dei Cappuccini?

Sei la fondatrice, la curatrice e la direttrice artistica de L’arca degli esposti, associazione palermitana nata per promuovere un certo tipo di arte e cultura, lontana dalle logiche dominanti del mercato. Chi sono gli esposti? 

Per esposti intendiamo quegli artisti che – come i bambini abbandonati sulle ruote di ospedali e conventi, le cosiddette “ruote degli esposti”, appunto – non sono propriamente inseriti nel sistema dell’arte, rispetto alle cui tendenze commerciali si espongono, rimanendo coerenti con l’autenticità della propria poetica. Da qui, l’adozione di una linea curatoriale che privilegia artisti, tanto emergenti, quanto già internazionalmente affermati, fedeli al vessillo della propria indipendenza stilistica, che perseguono una ricerca autentica, in cui talora si riscontrano contenuti antropologici, mitologici, filosofici o alchemici, elementi neosimbolisti o iconografie grottesche. Sostenere chi non si piega alle mode di mercato vuol dire credere ancora nella possibilità di fabbricare Cultura, piuttosto che in una cultura che scade in processo di fabbrica. 

Come è nata la tua collaborazione con Ivan Cenzi e Mariarita Raimondi? Di cosa vi occupate, singolarmente e in sinergia?

La mia attività nel settore artistico ha inizio nel 2017, prima con il lavoro nel reparto didattico in mostre di artisti tra cui Regina José Galindo, Hermann Nitsch, Ai Weiwei, poi come curatrice e autrice di monografie (Vita, arte e miracoli di Manfredi Beninati, 2018), cataloghi e testi per mostre in Italia e all’estero. Varie anche le collaborazioni con testate di settore (Exibart, Italian Factory Magazine, etc.). Nel 2019, casualmente imbattutami in un post dedicato al corpo di Santa Caterina de’ Vigri, ho scoperto il blog Bizzarro Bazar, dedicato ad approfondimenti su tutto ciò che è “strano, macabro e meraviglioso”. Incuriosita, ho contattato l’autore, Ivan Cenzi, esperto di cinematografia e antropologia della morte, e gli ho proposto di fondere le rispettive competenze ai fini della creazione di progetti culturali, in primis espositivi, dal taglio inedito. Ironia della sorte, ho poi appurato che la santa galeotta è protettrice degli artisti. A Mariarita Raimondi, imprenditrice, invece, mi lega un rapporto quasi trentennale – non a caso è mia madre. A lei devo tutto: ha sempre sostenuto la mia passione per l’Arte, mettendo tra l’altro a disposizione l’appartamento dei primi del Novecento nei pressi del Teatro Politeama, sede a Palermo de L’arca degli esposti

Qualche tempo fa avete annunciato la nascita di Inventarium, un dizionario multimediale della gnosi fantastica firmato da artisti contemporanei, invitati a coniare un neologismo e a illustrarlo. Come procede la compilazione? Ne è derivata la mostra che abbiamo davanti… 

Inventarium è un progetto nato durante le restrizioni post pandemiche, quando non era possibile impegnare le opere per mostre fisiche. Da qui, l’idea di creare una rete di artisti dalle più varie provenienze geografiche (Italia, Spagna, Francia, Armenia, Ungheria, Irlanda, Russia, Giappone, etc.) per la costruzione di una mostra multimediale in divenire, in cui le opere fossero abbinate a neologismi con relative definizioni scientifico/poetiche, che veicolassero una miscela di contenuti veridici e fantastici, attraverso un lessico tecnico proprio dei lemmi enciclopedici. Un esercizio innovativo richiesto agli artisti, sotto una guida curatoriale maieutica, per riflettere sul tema della disinformazione e fruire delle opere attraverso un particolare storytelling, che ha messo in luce come lo stile letterario dei creativi sia l’altra faccia della medaglia della poetica visiva. Il progetto, che rende omaggio al Codex Seraphinianus, la surreale enciclopedia degli anni Settanta in caratteri asemici a opera di Luigi Serafini, è di recente divenuto realtà concreta a Barcellona (ES) con una prima tappa espositiva che ha contato una selezione di una trentina di artisti, per poi approdare nella nostra sede di Palermo, dove la mostra è tutt’ora visitabile fino al 6 maggio. Preludio dell’inaugurazione è peraltro stato un convegno presso lo Studio Legale CDRA, che ha visto la partecipazione proprio del Maestro Serafini. 

Requiem, Mors in fabula, Il sogno di Circe… il concetto di morte, e la relativa trasformazione, sono una costante delle vostre rassegne. Viene immediato pensare a un collegamento con l’attualità…

L’interesse non è tanto verso la morte in sé, quanto piuttosto verso l’atteggiamento che scaturisce al cospetto della morte; e non solo. Ci preme rivalutare tutto quello che generalmente si elude perché disturbante, sconveniente, “osceno”. Puntiamo a operare un ribaltamento, a riportare al centro della scena ciò che accuratamente si tiene “fuori scena” – il deforme, il raccapricciante, l’in-digesto – reintegrandolo attraverso modalità di fruizione inusuali e suggestive. Per Requiem, a esempio, l’allestimento delle opere nella Wunderkammer di Giano Del Bufalo, improntato a un horror vacui tipico da collezionismo privato, prevedeva una sorta di caccia al tesoro per trovare le opere tra gli animali imbalsamati e gli altri pezzi della collezione di storia naturale della galleria, in un cortocircuito di rimandi. Mors in fabula, invece, nel trattare varie declinazioni della morte – dall’ironico al fiabesco – ha incluso tra le altre cose la riduzione di uno spettacolo teatrale all’interno della nostra galleria, che per una sera ha visto una selezione di sculture animarsi in scenografie, ovviamente nel rispetto dello statuto di quelle opere stesse, già concepite anche per tale valenza. 

Quale la mostra o il progetto di cui vai più fiera? 

Direi, L’arca degli esposti

“Non è difficile capire perché l’alchimia si chiami arte”, scrive Kurt Seligman nel suo libro Lo specchio della magia, rilevando come entrambe si fondino sull’immaginazione non meno che sull’abilità manuale. Nasce da considerazioni come questa la vostra passione, se non esclusiva di certo dominante, per arti tradizionali come il teatro, il disegno e la pittura? 

Nasce decisamente da un’idiosincrasia per quei ridicoli e sterili pseudo epigonismi dell’arte concettuale, del tutto fuori contesto storico. A fronte di ciò, ritengo che un ritorno al “tradizionale” – non per questo scevro di una componente sperimentale e di innovativa ricerca – sia a volte una necessaria presa di ossigeno. 

A cosa ti stai dedicando, a cosa ti dedicherai? 

Ho da poco concluso un master in Gestione dell’Arte e dei Beni Culturali ed ho pronta una seconda monografia in attesa di pubblicazione. In cantiere, sempre nuovi progetti espositivi.

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