Arte Fiera 2025
Piero Pizzi Cannella, Night Owl, installation view. Ph©Rolando Paolo Guerzoni

L’anima, mia amica. Pizzi Cannella a Galleria Mazzoli

Con “Night Owl” la galleria modenese presenta, per la prima volta nei suoi spazi, una selezione di opere recenti del maestro romano.

Il 16 maggio 1978, a Roma, la Galleria La Stanza – spazio autogestito e fondato due anni prima da Antonio Borzì, Stefano Di Stasio, Salvatore Marrone e Arnaldo Sanna – aveva inaugurato, a una settimana di distanza dal ritrovamento del corpo di Aldo Moro, la prima personale di Piero Pizzi Cannella (Rocca di Papa, 1955).

Quarantaquattro anni (e cinque giorni) dopo, il maestro romano inaugura la sua prima personale alla Galleria Mazzoli di Modena. Night Owlquesto il titolo della rassegna aperta dal 21 maggio negli spazi di Via Nazario Sauro – documenta, nelle parole dell’artista, i suoi “anni da nottambulo” (Night Owl)e li racconta attraverso una selezione di 29 quadri dipinti tra il 2014 e il 2022. Anni inquieti, spiega ancora l’artista: trascorsi tra il porto sicuro dello studio e “spazi sconosciuti” talvolta solo pensati o immaginati, gli anni del nottambulo condensano nella forma quadro, “senza mai saperli distinguere”, tanto luoghi reali quanto immaginari. “Stiamo effettivamente guardando le città” – si chiede infatti Richard Milazzo, autore del testo critico in catalogo (The exquisite inexactitudes of the soul) – “o questi sono mondi immaginari che fluttuano in un mondo liberato dall’incubo della Storia”? L’anima è inesatta, quindi, ela memoria è traditrice, ma è proprio negli spazi d’ombra della fallibilità umana che l’arte, o almeno l’arte di Pizzi Cannella trova il terreno più fertile per concretizzarsi.

Città, cattedrali, mappe terrestri e carte astrali appaiono, accanto a un ricco campionario di monili e vesti principesche, emergendo da un fondo indifferenziato di materia grezza, non lavorata e che però esige dall’occhio la stessa attenzione e l’analoga cura concessa alle forme più limpide. Per far ciò il colore, proprietà quantitativa e non più elemento dal valore aggettivale, per usare una formula di Mario Diacono, è disposto a erompere dalla superficie del quadro, mangiando a mano a mano lingue di terra, erodendo gli argini e gli steccati convenzionali di soggetto e oggetto, di primo piano e sfondo, fino a creare un composto intermedio, un’alchimistica sustanza (Luigi Di Corato) che si fa testimonianza primaria della catastrofe, dell’esondazione che purifica il piano pittorico, un “tessuto di pura pittura” (Achille Bonito Oliva), dal superfluo che è nei corpi, prime vittime della piena del colore a cui nulla sopravvive e da cui nulla torna a galla, se non i residui significativi ed evocativi dell’esperienza umana.

Tanto le “vesti archetipali da cerimonia” (Regina Reginella, ad esempio, del 2022) quanto il ciclo dei collier (Perle, dello stesso anno, o Cabochon) registrano un’assenza che però non è decisiva, e che una memoria riattivata dal dettaglio identificativo è in grado di compensare. “Quando scrivi una lettera a una tua amica”, spiega l’artista, “nel momento in cui scrivi hai già accanto a te la sensazione dell’esistenza di quella persona”. E Pizzi Cannella scrive: parole, o brevi frasi, che spesso intitolano le opere (è il caso di lavori come Sospeso per amore o L’oro), ripetute come mantra, come una madeleine proustiana, una memoria che si immagazzina nei particolari, che esplode nell’attimo dell’epifania e che, come Proust, ci fa dire: “All’improvviso, il ricordo è davanti a me”.

Una memoria, quella di Pizzi Cannella, lontana nel tempo come nello spazio: le molteplici versioni del Salon de Musique, tema tra i più longevi tra quelli affrontati dall’artista nel corso della sua carriera (il primo risale infatti al 1996) e senza dubbio tra i più fortunati, conducono lo sguardo nell’India del Settecento – il soggetto prende il nome dall’omonimo film del 1958 di Satyajit Ray – come nella Russia degli Zar (è del 2017 Salon de Musique and other paintings all’Ermitage di San Pietroburgo), luoghi esotici, non familiari all’esperienza diretta ma raggiunti dal viaggiatore da camera (così ama definirsi lo stesso Pizzi Cannella) grazie allo sforzo creativo dell’immaginazione, della fantasia che indugia su terre lontane anche soltanto soffermandosi su uno dei tanti mappamondi cari al pittore. A questi, del resto, sono sufficienti sette mappe – titolo di un suo quadro esposto in mostra – per andare via. Nelle mappe la scala planetaria, lo sguardo “dal di fuori”, per dirla ancora con Boatto, convive con la visione ravvicinata e col realismo delle facciate di pagode e cattedrali (Mappa del mondo, 2021-22).

Intromettendosi nella vastità di uno spazio che l’uomo ha creduto – e a volte crede ancora – di dominare con la precisione della scienza, ogni cattedrale, sigillo magico e forma simbolica di uno spazio del pensiero (Danilo Eccher) si innalza al grado di totem, di monumento eretto a memoria di un passato dalle tinte vaghe e a consumo di una generazione futura, troppo spesso compromessa con l’imperio di un’altra paradossale religione, quella scientifica, ripetutamente contestata dai maestri del sacro e del sospetto. Nietzsche, Guenon, Mircea Eliade o Pavel Florenskji ed Elemire Zolla: tutti ospiti cari al pittore, e altrettanto ben accolti tra gli scaffali della sua libreria, che hanno aperto le porte al mondo dell’ineffabile, dell’indicibile, ai campi sterminati dell’universalità cosmica dove trova riposo l’altro mondo di una pittura che è “obbligazione fisica della metafisica” (Bruno Corà).

Nel catalogo della mostra senese di Pizzi Cannella (1997) anche Demosthenes Davvetas (Tre annotazioni per un’introduzione all’opera di Pizzi Cannella) ha compreso come, nella pittura dell’artista romano, le cose tendano a mostrarsi “nella loro dimensione interiore” e “nella loro realtà ontologica, là dove il loro essere non può separarsi dalla loro totalità cosmica”. Uno sguardo “verso l’alto”, che arriva ad abbracciare persino l’intera volta celeste nei limiti del perimetro pittorico, senza tuttavia mai dare l’impressione di costringerla al suo interno. Una pittura fortemente simbolica, dunque, e simbiotica persino, che traduce ogni indicazione e traccia proveniente dall’esterno per rivolgerla all’interno, all’anima in prima persona, “amica” a cui parla scrivendole lettere, pensieri fatti di materia, di gesti profondamente sentiti, urgenti e vivi.

Pizzi Cannella. Night Owl
Galleria Mazzoli
Via Nazario Sauro,62
41121 Modena (MO)
Info: www.galleriamazzoli.com 

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