Gerhard Merz
Cyprea
Crediti foto: Emanuele Antonio Minerva ‐ Ministero della Cultura

La conchiglia dell’amore

Sino al 26 novembre è in corso a Roma, presso il Museo del Foro Romano, “Cyprea: La rete di Afrodite”, a cura di Giorgio Calcara.

Dove è nata Afrodite? Alcuni dicono in Oriente, se è vero che l’antica dea dell’amore è una diretta discendente di Iside e di Istar. Altri provano ad essere più precisi, sostenendo che essa sia nata a Citera, altri ancora a Cipro. C’è persino chi si azzarda a sostenere che Afrodite, o Venere, sia nata in Italia, a Porto Ercole, proprio come la donna – Simonetta Vespucci – amata dal fratello del Magnifico e forse dallo stesso Botticelli… In realtà Venere come l’amore nasce quando e dove vuole. Magari rimane nascosta, sottotraccia, per poi riaffiorare in un gesto, in un sorriso, o in una piccola conchiglia: portata a riva da chissà quali correnti e venutaci incontro, nella vetrina di un negozio, attraverso chissà quali canali commerciali.

Crediti foto: Emanuele Antonio Minerva ‐ Ministero della Cultura

Mi spiego meglio. Esiste una conchiglia, chiamata proprio Cyprea che, guardata dal basso, dove si apre per accogliere il mollusco, ha la forma del sesso femminile. È da questa conchiglia, originaria di Cipro che, come un seme, si origina la bella mostra curata da Giorgio Calcara, con la direzione artistica di Stefania Pennacchio, visitabile sino al 26 novembre 2024 presso il Museo del Foro Romano: un luogo quanto mai appropriato, se si pensa che la rassegna è allestita proprio nel chiostro rivolto verso la cella di Roma eterna, parte dell’antico tempio di Venere a Roma, il più grande e monumentale edificio della Roma imperiale, dedicato, altre alla personificazione della città, alla dea Venus Felix, portatrice di buona sorte. Del resto, non è forse la parola stessa Roma, basta leggerla al contrario, l’anagramma di Amore? In questo spazio colmo di memorie, quattro artisti ciprioti (Vassilis Vassiliades, Panikos Tembriotis, Lefteris Tapas, Eleni Kindini) e quattro italiani (Gabriels, Rosa Mundi, Nicola Verlato, Stefania Pennacchio) riflettono sul concetto greco di kalokagathia, vale a dire sull’unione indissolubile di bellezza e bontà, sottolineando, tra l’altro, il legame tra la bellezza del passato e la sua interpretazione moderna, oltreché tra l’Italia e Cipro, i paesi da cui provengono gli artisti coinvolti. Afrodite diventa così il simbolo di un’arte universale, capace di travalicare i confini spaziali e temporali, dimostrando come il mito possa ancora parlarci senza correre il rischio – almeno è questa la speranza di artisti e curatori – di essere frainteso. Se anche voi, come chi scrive, siete annoiati dalle pulcinellate post mortem e dall’amore “glande”, non vi resta che correre a Roma e lasciarvi cadere nella rete di Afrodite.