La mostra, curata da Marta Silvi, dal titolo HE FAILED TO SAVE THE ONE HE LOVED MOST, è un paesaggio interiore, in cui ritroviamo diversi temi esistenziali, coniugati sempre dalla profonda sensibilità dell’artista. Nelle opere domina la natura, intesa come complesso di tutte le cose esistenti nell’universo, come forza attiva, creatrice e distruttrice, come essenza di un essere, indole, come paesaggio. “I lavori, a prescindere dal medium impiegato, esasperano lo sguardo ammirato verso la natura circostante come una via di conoscenza alternativa all’indagine e alla pretesa di empatia” ci dice Silvi. Ci dice anche che “L’artista è interessata al rapporto/conflitto/tensione che si innesca tra il limite della misura umana e il tentativo di dare una forma finita a cose incomprensibili”, ed è proprio questo che diffonde una certa, leggera quanto suadente metafisica, all’esposizione. Questo filtrare la realtà per andare oltre essa lo ritroviamo in tutti i lavori in mostra.
Ghiţă, voyeur dei fenomeni naturali e quindi anche umani, attraverso lo sguardo esplora delle vie di conoscenza antiche quanto difficilmente comprensibili nella loro totalità. Le opere pittoriche sono enormi, monumentali, e in effetti alcune sono proprio un monumentum a degli attimi biografici, a ciò che sta nel profondo dei seriosi bambini rappresentati, i suoi figli, che assumono una valenza cosmica nella loro pura consapevolezza. Una messa in mostra delle profondità dell’animale umano, oltre l’apparenza, in cui è facile perdersi. L’opera THEY BELIEVED THAT THE MERE TOUCH WOULD HELP THEM HEAL FROM ANY ILLNESS ritrae il religioso San Luca, Valentin Feliksovič Vojno-Jaseneckij, arcivescovo e chirurgo: la croce e il bisturi si fondono, e questo in terra sovietica, nel palesamento del rapporto tra natura e mistica, nel topos della cura, elemento imprescindibile della mostra, che aleggia in ogni angolo dello spazio, e che nel bel mezzo di una pandemia, acquista una significazione ulteriore.
I 4 piccoli disegni sono sketch, lampi istintivi di meta-analisi e meta-ricerca che hanno come soggetto i fiori. Quasi automatici, vanno a formare, insieme, un fragile verso poetico del mondo che va oltre il fiore così come va oltre Ghită, ma che da essi nasce e vive attraverso l’occhio e il segno. Sotto di essi, perturbante, l’opera There was a beautiful vase at her home/the truth resides in the object, not in the word: “la verità risiede nell’oggetto”, ma l’opera è l’oggetto esperito da Ghită, che diviene di nuovo filtro del mondo. Discorso diverso è quello della serie Closed Circle: una ricerca concreta sullo spazio-tempo che non si perde mai in voli pindarici di facile attuazione. Una riflessione che resta aderente alla realtà malgrado il suo aspetto astratto (o forse proprio grazie a questo), e che pone questioni non indifferenti sulla realtà e sulla verità che si nasconde in essa.
Le proiezioni video, invece, leggere quanto la luce, contraddicono il medium (ad eccezione di una) e sono molto più piccole dei lavori pittorici, quasi che l’intimità presente sotto la materia, in modo velato, si fa qui concreta, nella visione ipnotica e personale di brevi video che si avvicinano, per composizione, ad un’astrazione dinamica. Paesaggi in cui la dimensione temporale catapulta nella verità, di nuovo, e l’attrito tra essa e l’estetica folgorano le profondità dell’osservatore.
“L’atto di fede è completo, quanto impenetrabile, e va a collocarsi nel mistero del quotidiano che da sempre il lavoro di Iulia pone al centro dell’attenzione” (Silvi), in questa frase si condensa l’intera mostra, sistema sinestetico ma visivo, concreto ma metafisico, estremamente intimo ma esistenziale. Sottile quanto basta, ambiente che parla sottovoce, stimolatore del profondo, dispositivo alla ricerca di verità sfiorate, proprio come una poesia.
Iulia Ghiţă – HE FAILED TO SAVE THE ONE HE LOVED MOST
a cura di Marta Silvi
dal 12 al 26 aprile 2021
AlbumArte
Via Flaminia, 122 – Roma
Orario: dal martedì al sabato, ore 15.00 – 19.00 (su appuntamento)
Prezzo: gratuito
tel: 06 2440 2941
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