Il concetto del “non-finito” nell’opera d’arte, considerato strumento di apertura al coinvolgimento percettivo del fruitore e “punto zero” della pittura, insieme alla “luce totale” e alla purezza del colore mutuata dal Rinascimento veneziano, in primis dal Tiziano, caratterizza la ricerca pittorica di Vittorio Matino (Tirana, 1943 – Schio, 2022). All’artista di origine pugliese, esponente di rilievo dell’Astrattismo italiano, che ha reso la sua vita “un inno alla pittura”, la Fondazione Biscozzi-Rimbaud dedica, a due anni dalla scomparsa, la mostra antologica “Vittorio Matino. Divampa Colore”. L’esposizione, a cura di Nathalie Vernizzi Matino e Gabriele Matino, narra, attraverso 20 grandi tele “monolitiche”, immersive e avulse dalle categorie spazio-temporali, il percorso artistico di Matino tra il 2004 e il 2013. Sono opere inedite che testimoniano – come tutta la sua poiesis del resto – la strenua difesa e l’“immersione totale” nella pittura attraverso l’autonomia del colore. Non a caso, Matino si sentiva “un felice e fortunato naufrago in mezzo al colore”, in costante tensione verso “l’inesauribilità della pittura”, che conduce ad esplorare, libero dal gioco figurativo, il mistero di mondi lontanissimi, di dimensioni sconosciute e irraggiungibili. “Per me – ha chiarito l’artista – ogni quadro rimane l’esplorazione di un mistero, un avvicinarsi al non-conosciuto, un rinnovato stupore davanti ai materiali che si fanno immagine”.
Il concetto di incompletezza dell’opera che alimenta, come “stimolo visivo”, il “continuo dialogo con lo spettatore”, quel “non-finito” inteso come il “punto zero”, “l’inizio, la nascita della pittura”, ispirato – come sottolinea il curatore Gabriele Matino – dalla celebre “Annunciazione di San Salvador” di Tiziano e reso nelle opere “Cicladi Vecellio”, permea l’intera ricerca di Matino.
Così come la concezione della “luce totale primordiale” in cui l’artista condensa l’intera gamma cromatica ed è frutto, come ricorda la storica dell’arte Nathalie Vernizzi Matino, dell’ispirazione infusa dalla luce abbagliante dei paesaggi di Otranto, dove Matino – alla ricerca delle sue radici – individuò la sua residenza estiva dai primi anni Settanta ai primi anni Novanta, divenendo punto di riferimento per il suo impegno civico, intellettuale e artistico sul territorio.
La pittura “libera” e “slegata dalla realtà” costituisce, dunque, nella poetica di Matino, lo strumento principale di indagine dell’inconoscibile. Lo testimoniano le esplosioni di colore dal denso scintillio, che irrompendo in opere quali “Stormy Sunny Sunday” del 2010, “Round Noon” del 2013 o “Viola di sera” del 2005, sembrano oltrepassare la dimensione fenomenica nell’incessante tentativo di esplorare misteriosi universi intrinsecamente inaccessibili. Tra le tonalità intense e calde adoperate da Matino è presente anche il nero, reso attraverso la sovrapposizione delle cromie, dunque concepito – come chiarisce Gabriele Matino – non come negazione del colore ma come perenne affermazione della materia e della potenza cromatica.