Quando hai scelto la pittura?
Ho sempre disegnato. Realizzavo ritratti come se fosse un gioco, attratta dall’essere umano, sperimentando l’acquerello, scoprendo le trasparenze, le tonalità cromatiche e la sovrapposizione dei colori. Ogni giorno qualcosa mi riconduceva alla realtà dell’immagine.
Non ho scelto di utilizzare questa tecnica senza prima sperimentarne altre, come la video arte, la fotografia e la performance. Sono stata molto avida nel creare un tutt’uno delle varie esperienze, concependo le mie tematiche.
Hai avuto dei maestri?
Tutti abbiamo dei maestri, inutile negarlo e questi maestri sono i grandi artisti che hanno segnato la mia formazione, tra questi gli impressionisti francesi e i veristi italiani che hanno come cifra estetica l’espressione tonale; e mi riferisco alla cromia, che è molto importante nel mio processo pittorico. Gli iperrealisti americani invece mi hanno influenzato negli anni accademici, nella resa più fotografica, psicologica e concettuale della figura. Direi che ho rubato non solo qualcosa che avesse a che fare coi colori, ma anche con la gestualità simbolica che caratterizza molte arti performative.
Il tuo soggetto è il corpo. Da cosa nasce questa scelta?
La mia natura stessa è stata la fonte dove approvvigionarmi di esperienza nella trasformazione, vivendo il corpo dal suo interno. Questi cambiamenti sono il passaggio del tempo. Attraverso il corpo leggo gioia, dolore, passione, tutti quei tratti che ci rendono umani e che, inevitabilmente, creano segni sulla pelle. Cercare una forma di rappresentazione di un’anima, attraverso un corpo, è forse la mia velleità artistica. Infatti in molte mie opere il corpo è materia priva di spazio e tempo, dove gl’occhi sembrano interrogare e allo stesso tempo rispondere a chi osserva.
Le donne pittrici nella storia sono state meno rare delle donne poeta o delle donne architetto. Esiste secondo te una pittura femminile, specifica e riconoscibile?
In realtà, in seguito a delle mie ricerche di natura espressiva nel mondo artistico, ho riscontrato delle caratteristiche che possono essere individuate come “femminili”, determinate però da problematiche di natura culturale e sociale che ancora oggi si possono constatare, e quindi anche dalla scarsa considerazione della donna nel tempo. Ma parlare di differenze di genere ormai è diventato controproducente per la nostra evoluzione.
Un tempo le donne non cantavano ma la storia ci ha regalato Farinelli, non potevano firmare libri a meno che non lo avessero fatto con il nome maschile di George Sand e Plautilla, figlia del Briccio, oggi riconosciuta come prima donna architetto della storia italiana, fu portata dal padre fra le corti e gli ambienti ricchi di cultura come un piccolo Mozart.
Per la pittura, potremmo citare Artemisia Gentileschi, che io adoro e a cui mi ispiro per la sua forza nel superare il primo processo per la violenza subita, ma anche per la sua indipendenza, ottenuta successivamente con il suo lavoro pittorico. A mio parere ognuno di noi è una voce in ogni possibile campo espressivo, dove solo i contenuti e non già il sesso devono emergere.
Come viene alla luce un tuo lavoro?
Il mio lavoro emerge da uno studio fotografico in cui cerco di intuire il peso dell’anima di ogni soggetto, puntando su una fisicità armonica che si mostri potente in chi osserva; ciò significa che ogni dettaglio è fondamentale, ogni sfumatura determina un’eventuale impressione nello spettatore, a cui lascio la possibilità di interrogarsi su uno sguardo che, più che affermare o determinare qualcosa, si pone come una domanda.
Che cosa sono per te la natura e l’incanto?
Posso dire che la natura e l’incanto sono il principio del nostro stupore di osservatori. Cerchiamo di conservare le dinamiche costruttive della natura nella sua perfezione, facendole nostre nella riproduzione e cercando di trasmettere la stessa potenza nelle forme e nei colori in una visione in cui l’incanto si sposa con la nostra dimensione umana. Fiori, insetti, foglie e ora fiumi sospesi e fantasiosi cerchi trasparenti, sono finestre per ricreare giardini onirici e culle dove il pensiero si acquieta.
Come è cambiata la tua pittura nel tempo? Mi pare che il tuo linguaggio sia diventato sempre meno fotografico…
Posto che parto sempre dalla fotografia, fosse solo per entrare in contatto con la mia modella/o per capire l’espressione della sua fisicità, la mia pittura è partita effettivamente dal voler riprodurre realisticamente questo elemento, in connubio con una gestualità che tanto mi affascina nel cogliere l’attimo potente e talvolta drammatico, anche nella semplice posizione di una mano o nelle linee eleganti di un viso. Nei periodi che sono trascorsi ho apportato sempre cambiamenti, lasciandomi trasportare dagli eventi della vita e dandomi la possibilità di filtrarli attraverso molte immagini simboliche, con una tecnica che da fotografica è passata, non senza una crisi stilistica, ad una pittura acquosa e trasparente per poi approdare a poco a poco, con studio e ricerca e osservazione delle opere d’arte antiche e moderne, alla creazione di un film pittorico cangiante e gestuale. Tra realismo e atto istintivo mi ritrovo più dentro questa tecnica per me meravigliosa.
Un’ultima domanda. Perché dipingere nell’era dell’Nft, dell’elaborazione grafica e dei metaversi?
Mi sono formata in ambito analogico: per me sono fondamentali la costruzione del colore, il suono del pennello sulla tela, l’odore che emana dai materiali e l’aspetto alchemico che ne scaturisce. Di sicuro guardo a queste nuove forme espressive con curiosità, ma allo stesso tempo con distacco.



