L’antica tecnica dell’affresco, una tecnica pittorica, tanto affascinante quanto complessa, gode di una storia millenaria e si distingue dalle altre tipologie di pittura murale, in quanto il pigmento puro in polvere, mescolato con l’acqua, viene applicato sullo strato di intonaco, appena disteso e ancora umido; tramite la carbonatazione della calce, la superfice, nel suo asciugarsi, chiude in sé il colore, sigillandolo in un abbraccio eterno.
Nonostante l’affresco sia rinomato per la sua durabilità nel tempo, richiede ritmi esecutivi di grande celerità. Inizialmente, si procedeva per “pontate”, ovvero dall’alto verso il basso, stendendo l’intonaco per fasce orizzontali corrispondenti all’intera lunghezza della parete: nonostante ciò, pur se artista e bottega eseguivano le scene contemporaneamente, era quasi impossibile finire tutto a fresco e, pertanto, era solitamente d’obbligo far ricorso a stesure a secco – determinando la coesistenza di pittura a fresco e a secco nella stessa opera –. Nel Duecento si giunse al passaggio dalle “pontate” alle “giornate”: l’intonaco fresco non veniva applicato in una sola volta, seguendo la lunghezza del ponteggio, ma in modo graduale, a seconda dell’area scelta per essere dipinta in una specifica giornata di lavoro. Questa pratica permise al maestro di bottega, da quel momento, di pianificare al meglio le scene e i dettagli da dipingere, garantendo l’esecuzione solo a fresco. Nonostante la sicurezza del progetto, l’esito rimane incerto, come spiega Giorgio Vasari ne Le Vite, poiché «i colori, mentre che il muro è molle, mostrano una cosa in un modo, che poi secco non è più quello». (Giorgio Vasari, Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, a cura di Luciano Bellosi e Aldo Rossi, Einaudi, 2019, p. 65-66)
Anri Sala, nella sua opera, ripropone la tecnica dell’affresco, con la sua superficie solida e marmorea, a cui aggiunge autentici frammenti di marmo cipollino, radica e tartaruga – dopo esser stato a contatto per intere giornate con i marmisti, discutendo sulla scelta e la modalità di esecuzione –. Nella serie Surface to Air, le velature dell’affresco si fondono armoniosamente con i frammenti di marmo in una composizione unitaria, dove i toni freddi e pastellati di blu e di viola rimandano agli stagni e ai paesaggi nebbiosi di Claude Monet. La liquidità del pigmento dissolto e intrappolato nella calce incontra la solidità minerale della pietra, ma nonostante questa durezza apparente, le opere di Sala risultano sorprendentemente soffici, nuvole nel cielo albeggiante, ma pronte alla tempesta, sinuose e spigolose allo stesso tempo. Sono lavori che descrivono l’inevitabile mutamento delle cose: come il magma che, gradualmente, si solidifica, assumendo gradazioni sempre più scure; come le onde del mare, sorprese un secondo prima di infrangersi contro uno scoglio. Rappresentano il racconto delle ere passate, delle ininterrotte stratificazioni che danno forma all’universo.
Nella serie Legenda Aurea Inversa, l’artista si rifà al ciclo di affreschi che Piero della Francesca realizzò per la Cappella Bacci, nella Basilica di San Francesco ad Arezzo, ispirandosi ad alcuni episodi della Legenda Aurea, raccolta medievale di Jacopo da Varazze in cui vengono narrate le vite dei santi. Sala cattura con precisione numerosi dettagli – il gesto di una mano, il nitrito di un cavallo – facendo combaciare i contorni dei soggetti con le forme e le venature dei marmi applicati. Osservando le opere si assiste alla metamorfosi del colore rinascimentale nel suo negativo: i volti, una volta rosei, assumono sfumature di blu e di verde, lividi rivelatori di tensioni e sforzi; le zone precedentemente oscure si trasformano in zone di luce, le parti luminose si tingono di oscurità. Rifacendosi al concetto fotografico, l’opera diventa una sorta di finestra metatemporale che, sintetizzando in modo unico ed espressivo se stessa, offre uno sguardo profondo sul passato e sulla sua reinterpretazione artistica.
Nonostante questa tecnica pittorica sia spesso associata a un’opera inamovibile, Fragmentarium I (Morning) e Fragmentarium II (Afternoon, Afternoon Slightly After/Radica) sono frammenti di affreschi, strappati e presentati su cavalletti brillanti realizzati su misura, all’interno di un’ambientazione che richiama un museo archeologico. Reperti e resti che, recuperati dai siti di scavo, rappresentano le “giornate in frantumi”, l’evoluzione narrativa del processo creativo, il susseguirsi delle fasi e delle stratificazioni che plasmano il tutto.
L’esperienza offerta da Anri Sala coinvolge tutti i sensi, andando oltre la mera soddisfazione visiva dello spettatore. Il suono della tibia permette di percepire il sibilo dell’aria, riportando con forza l’eco dei corpi, ora vuoti e cavi, di Pompei, i loro ultimi respiri, la lava che placida scende dai fianchi del Vesuvio. La melodia trascina la Galleria Alfonso Artiaco in un viaggio verso luoghi e tempi remoti, dai ritmi lenti e pazienti, in perfetta sintonia con lo spirito dell’antico affresco.