Alla Galleria Richter Fine Art, fino al 15 maggio 2023, è possibile visitare la mostra personale Sotto un cielo tutto azzurro che presenta una nuova selezione dei dipinti degli ultimi tre anni di Giulio Catelli. Sono paesaggi interni in un itinerario di ambienti, figure e situazioni quotidiane – afferma Tommaso Richter. Ciò esplicita il modus operandi dell’artista, nell’affermazione riportata nel testo critico di Maria Vittoria Pinotti, secondo la quale il nostro sfiora il tema del giardino, di una finestra, di una veduta qui di faccia, in cui “si racchiude la geografia di un mondo davvero ridotto ma dove ogni cosa ha luogo”. A rammentare l’assunto è il fascino della sede della Galleria che conserva la storia di un vissuto nel suo duplice spazio, in cui le travi a vista in legno replicano l’atmosfera di un luogo intimo, immerso nel caratteristico dedalo di vicoli sorti nel tessuto urbano, in quell’ansa del Tevere di dietro Castel Sant’Angelo.
Sotto il cielo/tutto azzurro sono due versi tratti da Il cielo è tutto azzurro, componimento poetico, la cui narratività di linea sabiana dichiara una coesione tra l’essenzialità lirica e la repentinità nella rappresentazione della realtà, privata di uno spirito analogico-simbolico. Nel legame fondato con il lavoro in mostra albeggia finanche una gaia e pagana istintività gioiosa. Nel dinamismo autobiografico si cela l’abnegazione a un dominante titanismo per il riparo nel comporre con un germoglio esistenzialista pagine di cose comuni. L’artista opera una contemplazione spontanea per la sua propria naturale inclinazione al silenzioso colloquio con la semplice realtà delle cose. Si dilata lo spazio tra le diverse sovrapposizioni degli orizzonti perseguiti dalle linee, foggiando un’area che è possibile valicare e respirare dall’interno. La tenuità ariosa della pittura chiarisce, nel riconoscimento immaginifico, l’accendersi di quei momenti che Goethe chiamava diastole e sistole. Nel soffio ora si anima lo scenario della memoria, ora è possibile vagliare una risoluzione di svolgimento nella nostra attiguità temporale. L’autonomia della forma o del racconto rappresentati non lascia in secondo piano il contenuto. Le figure sono depositate al ciglio come conseguenza felice di una selettività percettiva, operata da un’osservazione allenata a incorporare le sembianze nel nostro quotidiano, trascurate per inscienza. L’ombra coopera con lo sguardo nel tracciare il soggetto e nel plasmarne il suo alter. Ci ricorda quell’attitudine di cui Cicerone parla nell’Accademica II, secondo la quale «i pittori vedono nelle ombre e nelle sporgenze molto più di quanto vediamo noi». La tradizione assimilata è tradita dalla materia che sorge tramite l’aderenza al dialogo con un tempo circostante, consumato lentamente nel suo fluire giornaliero. Nella sinuosità dei versi dell’andamento pittorico si scorge il carisma colto di una raffigurazione immediata del fenomenico che attraversa un trascorso condiviso, carico di una linea circostanziale che, dai ricordi d’infanzia, si spinge fino all’attimo vigente. Risultanza coerente ne è l’intervallo della storia tutta, non rappreso ma veicolato da una dimensione tutta interna che, dal sentire individuale, si riappropria dell’esterno. L’attenzione al descrittivismo analitico viene abiurata da una solerzia che consente uno slancio verso l’imperfezione, soglia del mistero della psiche e dell’inatteso. La traduzione delle forme dalla realtà sembra donare un’assenza di peso corporeo e delimitarne una riduzione alla sintassi pittorica dei valori specifici di linea, colore e superficie. Il colore, dotato di una propria consistenza, si fa forma. La spontaneità dello stesso è suggerita dalle variazioni della luce, sincronicamente interna ed esterna, e il suo corpo è modulato dalla tensione emotiva trattenuta nella trama della tela. Ciò non distoglie dall’individuare come le vedute siano compiute per profondersi mentalmente nella loro misura intrinseca. La sintesi dei paesaggi marchigiani liciniani si fonde con il silenzio reboante delle composizioni di De Pisis. Le figure, la cui presenza è meno densa nell’esposizione e limitata alla prima sala, si accingono in atteggiamenti routinari, emancipandosi – nei loro tratti essenziali – dall’architettura del fondale. Consentono di lambire quel limpido pragmatismo metafisico che abita gli interni e gli ambienti più disparati della nostra vita. Questi divengono frammenti suggestivi di pittura, in cui la sensazione di libertà doma una celata malinconia.
Si desume un’arte che, parallelamente alle opere di maestri come Vuillard e Bonnard, si pone l’intenzione di costruire un legame personale con un mondo sconosciuto. Così ragazzi, citazioni di fugaci reminiscenze, rimembrano quel nostro terreno nativo e istintuale. Nell’opera Martina fa una capriola si genera una catalizzazione verso lo sguardo di meraviglia nello scoprire un ribaltamento di prospettiva nell’inopinato, poco prima di compiere il salto. Il giallo arancio e il verde creano un accordo cromatico da cui si libra un’armonia interna, riflesso di quella interiore. In Bagnella, la tonalità si riduce alle vibrazioni dell’azzurro che accorda il paesaggio all’espandersi del cielo, e dell’ocra della vegetazione del lido che si ordina quasi come quinta, o come una finestra poetichissima. La sporgenza montuosa che si colloca nell’orizzonte si ritrova nel gioco illusionistico del tendone di Terrazza J.C. University. Quasi un tramonto che travolge l’animo in un calore rosa pastoso. Lo spazio si anima e si allarga nella scena all’aperto di Al parco (a Villa De Sanctis), in cui due uomini, colti di spalle, incorniciano l’interloquire tra due ragazzi raffigurati in lontananza e in quel punto di fuga che è soggetto precipuo della rappresentazione. Gli oggetti tendono a una grande fusione con il tutto. Altro momento ordinario è raccontato nell’opera Palestra che chiude il gruppo di opere esposte nella prima sala. Il percorso prosegue con l’opera Palmetta sul muro azzurro, in cui la geometria frastagliata dell’azzurro rompe e trasforma la seduttività della pittura di Hockney. Negli interni di La Pippi a luglio durante un simposio di pittori e di Pranzo con Miky, le due tele, una di grande, e l’altra di piccolo formato, disposte frontalmente, ci riconducono a quell’indole positiva e impulsiva che identifica una presenza fraterna. Nel lavoro La piantina, l’apertura sulla strada separa e unisce lo studio dell’artista con il tessuto urbano. Il punto di vista rialzato permette la fruizione dell’inquadratura totale. In queste e nelle ultime tre opere All’inizio della primavera, La Strada e Paesaggio si ode quella che Ruggero Savinio chiama la voce della pittura.
GIULIO CATELLI | SOTTO UN CIELO TUTTO AZZURRO
con testo critico di Maria Vittoria Pinotti
fino al 15 maggio 2023
GALLERIA RICHTER FINE ART – Vicolo del Curato, 3 – Roma
Durata mostra: dal 28 marzo – al 15 maggio 2023
Orari: dal lunedì al venerdì dalle 15 alle 19, o su appuntamento