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Giulia Marchi
Giulia Marchi, La natura dello spazio logico, 2020. Panoramiche Labs Bologna. Ph_ Carlo Favero

Giulia Marchi La natura dello spazio logico

Labs Contemporary Art di Bologna presenta la personale di Giulia Marchi, a cura di Angela Madesani, dal 24 ottobre

Sono le 12 in punto del 24 ottobre quando varco la soglia della Labs Contemporary Art di Bologna, galleria la cui ricerca si muove in una diarchia che guarda sì all’arte dei grandi nomi del ‘900, quelli da manuale ma si focalizza, in particolare, sulla ricerca dell’ultra contemporaneo, generando un flusso di prospettive imperituro. 

Alessandro Luppi, il gallerista e Giulia Marchi, protagonista di una nuova personale, mi accolgono nell’etereo spazio della Labs – un’antica chiesa di cui restano laici echi percepibili, però, nella sacralità artistica del luogo – e Giulia Marchi mi porta in ‘viaggio’ con sé, tra le opere in mostra ma, in special modo, in quel suo peculiare indagare filosofico a partire da una questione fondamentale: ‘la capacità che ha il nostro corpo di occupare uno spazio non proprio’. Nella dualità dell’indagine filosofica ed estetica, Giulia Marchi affascina nel raccontare ciò che è da registrare ex ante la nascita di alcune opere in mostra, ovvero l’imprescindibile percorso di pensiero e rimando ad un altrove. 

La natura dello spazio logico, sin dalla titolazione, restituisce una serie di inanellamenti metaforici che la Marchi riferisce al mito, come quello di Ulisse e ad una speculazione di matrice wittgensteiniana. Ecco, dunque, che l’uomo e lo spazio si ritrovano nella medesima dimensione, soggetti di una limbica alterità che pone ‘luogo spaziale e luogo logico’ come i due contraltari dai quali dar avvio ad una nuova azione artistica. La Marchi decide e sceglie di abitare lo spazio niveo della Labs con tre serie di lavori, in cui scultura, segno o scrittura e fotografia analogica si (con)fondono, gemmando un missaggio che diventa poesia visiva, dichiarazione d’intento. Sono proprio le sei fotografie analogiche da lastra, omonime al titolo della mostra, ossia, il contrario, ad offrire un delicato equilibrio concettuale mediante cui attraversare il varco dell’intuizione e della lettura delle opere. 

Sei fotografie, pure, essenziali, mise en abyme, sorta di apparato effimero nostalgico, la traccia di quel che non v’è più, in grado di racchiudere un tourbillon esistenziale scandito dalla commistione di pars costruens et destruens. È l’uomo il soggetto celato, è Ulisse, è il mito, è una carta appallottolata tale da somigliare ad un cervello, e lo sono i sette elementi – i continenti della leggenda – di gesso che alludono a Dioniso ed ai Titani, in una labile e fragile sequenza, sino alla loro ritrovata unicità per mano di Apollo, come evidenziava Nietzsche, la cui eco, nello studio dell’artista è ben evidente. Il termine ultimo è il puntatore in marmo di Carrara che indica, con inusitata forza semiotica, la carta ora distesa, la medesima della seconda foto.  Tutto è rimando, tutto è circolare, tanto gnoseologicamente quanto compositivamente: lo è persino la forma che torna, sincopatamente nelle opere, la base che accoglie i lavori i quali, a loro volta, sono posti su una mensola, emblematico altare laico dell’arte. 

Lo spazio della fotografia incontra lo spazio che abita l’astante, che ognuno di noi occupa,  e i due puntatori in marmo disegnano il piano orizzontale della galleria, mentre quello verticale continua ad esser distinto dalla scansione delle opere, un dialogo tra luogo e oggetto essenziale, lineare, che, tuttavia, incontra composizioni che rimandano e raccontano labirintiche ed ondivaghe speculazioni. Già, ‘labirintiche’ perché il secondo ciclo di lavori spinge il proprio focus sul concetto, grafico, storico, archeologico, psicologico e filosofico, del labirinto. Le opere Argille e Suolo Salso, difatti, si confrontano col mito antico e riparano sotto l’egida di studi di geografia e archeologia con cui l’artista ha formato il proprio bagaglio, presentando una costruzione surreale, onirica eppure tesa al reale, sotto lo sguardo attento di Platone e Borges – maestri di vita – di labirinti antonomastici, quello di Cnosso a Creta e quello di San Giacomo Maggiore a Venezia. “Sono fermamente convinta che per poter gestire il contemporaneo con la razionalità, che non sia solo quella della capacità di capire cosa sta succedendo, occorre avere i piedi aver ben saldi in ciò è accaduto prima di noi, nel passato” asserisce Giulia Marchi, e a tale sacrosanto principio fa eco il polittico Argille, formato da cinque elementi, due grafici, di rilievo archeologico, uno letterario, con un passo dall’Eutidemo di Platone ed uno di sintesi, in grado di svelare un mistero psichico. Ad accompagnare le tre carte intervengono due rilievi analogici, matrici Polaroid lavorate in camera oscura, a svelare rilievi satellitari dell’isola di Creta; in tale processo maieutico, parola e segno, traccia e gesto, idea e sua traduzione, compiono pari passi, procedendo per affezione ed anche per diffusione capillare del sapere che, ancora, si rivela fondamentale nell’hic et nunc

La natura dello spazio logico è un viaggio in fieri, si muove tra materia, marmo, carta, pellicola fotografica e tra elementi intangibili come i rilievi satellitari, la sapienza, i rimandi ai grandi maestri che rivestono ruolo attoriale comprimario, come accade a Jorge Luis Borges – e a Dante –  nel caso dell’opera L’Artefice, polittico in marmo carrarese, con incisioni tratte dall’opera omonima, sottolineanti il concetto topico dell’errore, da intendersi come principio il cui gradiente di perturbante permette alle coscienze assopite di ridestarsi. 

Chiude idealmente – lasciando, al contrario, aperto un intero universo immaginifico – l’ultima opera marmorea che, tesa di nuovo a Wittgenstein, reca l’emblematico titolo NULL, scalfito sulla pietra e che, nel nostro spazio contemporaneo, con significato tedesco di ‘zero’  è il medesimo lemma utilizzato dai rilevatori Gps in assenza di luogo riconoscibile. Tale lavoro, che si trova nel punto più definito dell’architettura della Labs Contemporary, opposito all’ingresso che è anche l’uscita, pone in essere un corto circuito straniante, quello che freudianamente è definito filiazione del Das Unheimliche e che trascina, al contempo, fuori e dentro al labirinto, quello della mostra e quello interiore. 

Giulia Marchi legge e lega i miti di matrice plurima, sia quelli della classicità sia quelli della sperimentazione artistica – scultura marmorea, svanito gesso,  fotografia analogica – ed ognuna di queste tracce si riconosce nel pensiero di filosofi e studiosi, mentre l’impronta di tale commistione  si specchia in un recupero di purezza, in un ritorno all’origine del tutto, un tutto in cui l’errore è presente, celato e da svelare per la propria salvezza. 

La natura dello spazio logico è forse il tragitto compiuto verso una utopia della soluzione?


Giulia Marchi
LA NATURA DELLO SPAZIO LOGICO
Bologna, Labs Contemporary Art
Via Santo Stefano 38
24 ottobre – 19 dicembre 2020