Fuori dal tunnel: Andrea Concas

Fondatore e CEO della startup dell’arte Art Backers e di Art Rights, piattaforma per la gestione e certificazione delle opere d’arte e di ArtCollateral, primo escrow agent per l’Art Lending, autore di libri, docente e speaker – ogni giorno parla e scrive di Arte & Innovazione come divulgatore e tramite ProfessioneARTE, community online per i professionisti del mondo dell’arte – Andrea Concas lavora incessantemente per allargare il pubblico dell’arte e per offrire ad artisti, collezionisti, professionisti dell’arte il supporto necessario: colmando, il più delle volte, un vuoto preoccupante.

Un paio di anni fa parlavi del mondo dell’arte come di “un far west, una landa desolata, non digitalizzata, indietro di almeno cinque anni, in pratica un’infinità, rispetto ad altri settori”. Cosa è cambiato in questi ultimi due anni?
La pandemia ha determinato una grande accelerazione: per quanto concerne il digitale, non siamo propriamente diventati una città ridente, ma di sicuro grandi passi avanti sono stati fatti in termini di digitalizzazione dei beni culturali, tanto a supporto della fruizione, quanto della vendita, della commercializzazione delle opere d’arte. Molti professionisti si sono affrettati a cercare soluzioni che compensassero la fisicità perduta. C’è di sicuro una maggiore sensibilità, e una maggiore consapevolezza. 

In ogni “corsa all’oro” che si rispetti – prendo la metafora dal tuo L’arte post Coronavirus. Ripartire con il digitale: le strategie per i professionisti dell’arte (Piemme, 2000) – ad arricchirsi non sono tanto i cercatori puri, ma i Paperon de’ Paperoni …
È una visione molto romantica [sorride]! In realtà della nuova ricchezza, a guardar bene, traggono giovamento tutti. Una volta che ci siamo trovati nell’impossibilità di stabilire contatti diretti, e i modelli di business ad essi legati hanno smesso di funzionare, l’unica soluzione era il digitale. Tutti, allora, abbiamo provato a utilizzare al meglio questa risorsa: attraverso i social, le online viewing room, la realtà aumentata nei siti di fiere e gallerie. Il digitale deve supportare l’esperienza dell’arte, non certo sostituirsi ad essa. In queste ore, per dirne una, assistiamo alla carica degli NFT. 

Gli NFT sono in effetti, dopo i Bitcoin, l’ultima miniera da scavare.
Siamo finiti in un tunnel! [ride]

La mia preoccupazione è che si costruiscano infrastrutture gigantesche che di sicuro rimarranno, ma non si sa se e come verranno utilizzate.
Neppure la Cripto Art è sostitutiva dell’arte esistente. Sarà un di più. Un di più che, tra l’altro, in questo momento, abbisogna di essere normato. Attualmente il fenomeno della Cripto Art è legato a doppio filo, come accennavi tu stesso, a quello delle criptovalute. È, soprattutto, una realtà che non è stata ancora fatta oggetto di processi di valorizzazione culturale: di critica, di curatela. Tuttavia, la battuta di Christie’s dell’opera di Beeple per sessantanove milioni di dollari può leggersi come un vero e proprio battesimo, un accesso al mondo dell’arte dalla porta principale. Perciò mi sembra quanto mai opportuno predisporsi a un utilizzo frequente e strutturato di tecnologie che esistono, costano sempre meno e possono offrire innegabili vantaggi ai professionisti del settore. 

La criptonite, quindi, può attendere.
L’epidemia incide sul sistema in modo molto più incisivo rispetto all’avvento della Cripto Art. La vera rivoluzione non risiede nella tecnologia, ma nel processo.

Tornando coi piedi per terra – coi piedi, intendo, ben piantati in un contesto giurassico, almeno rispetto all’America, come quello nostrano – che ne pensi dell’arte italiana? Tonelli, Mattioli, Politi, spergiurano che è morta. Tu però ti ostini a lavorarci. Non sarai mica convinto del contrario?
Le care persone che hai citato, però, prendono ancora lo stipendio per occuparsene, non credi? Dal punto di vista culturale è sicuramente viva. Da quello del valore economico, quest’anno siamo scesi a una percentuale inferiore all’un percento del mercato mondiale. Non veniamo neppure citati nei report. Di sicuro il nostro patrimonio pubblico non è sufficientemente valorizzato. E qualcosa in più occorrerebbe farla per gli artisti emergenti. Non è però da escludere che i processi di modernizzazione in atto favoriscano un ricambio generazionale di assoluta importanza. Segnali incoraggianti non mancano. È sempre più chiaro che per ottenere risultati concreti sono indispensabili competenze strutturate: si parla, ad esempio, più di digital strategy, di marketing strategy e meno di social media management, perché si è capito che i social media sono soltanto una parte della strategia complessiva. Non basta mettere online le opere per venderle. E lo stesso vale per gli NFT.

In questo senso i tuoi (tanti) lavori possono intendersi come uno sforzo ponderato e senza paura per “democratizzare” l’arte: un’offerta a largo raggio di prodotti che prima erano per pochi.
L’accessibilità al mondo dell’arte è una mia priorità. Non da ora mi sforzo di garantirla attraverso webinar, video gratuiti, articoli e libri per cercare di coinvolgere un pubblico che non è riuscito ad “entrare” dentro l’arte o vuole semplicemente capire come funzioni, cosa faccia un gallerista o perché un’opera d’arte abbia un valore maggiore rispetto a un’altra. Se il mercato si fa sempre più internazionale e legato al digitale, acquisire certe conoscenze non è un optional, ma una necessità. Ne è un esempio concreto il Direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt, da sempre attentissimo alla digitalizzazione dell’arte e con il quale ho avuto il piacere di fare il primo accesso del museo fiorentino sul social della voce – ClubHouse – per parlare non solo di ripartenza dei musei, di accessibilità, di nuove progettualità, ma anche di skill digitali ormai imprescindibili per una grande istituzione.

Non avevo dubbi.
Il punto è che più alto è il livello di accesso – un vero e proprio sbarramento – meno persone si potranno approcciare. La gente che, durante i vari lockdown, si è confrontata online con artisti e curatori, probabilmente, a pandemia finita, frequenterà anche musei e gallerie.

Chissà. Anche i tuoi libri Chatbot nascono, se non sbaglio, per raggiungere un pubblico che solitamente non si occupa di arte.
Il mio ultimo libro su Frida è primo su Amazon e sesto nella classifica nazionale, per un libro d’arte era da molto che non si raggiungeva questo traguardo. Per questo sono davvero orgoglioso del lavoro fatto, nato da un progetto interamente italiano, nelle cui pagine, continuamente aggiornate, puoi leggere notizie, vedere un video, rispondere a un quiz. 

E la buona vecchia critica d’arte, quella che in passato decideva della sorte di un artista, conserva ancora un ruolo, che non sia quello, ancillare, di badante specializzata? 
C’è ancora spazio, ci mancherebbe. Di sicuro la situazione è molto fluida. Citavamo prima il fenomeno degli NFT. Pensa che in questo momento la curatela delle opere è gestita dal sito! Ruoli per critici e curatori ce n’è quindi in abbondanza. Ma occorrono pure professionisti in grado di adattarsi ai nuovi contesti, soprattutto digitali. Senza, s’intende, trascurare il mondo dell’arte canonico, che ha superato guerre e pandemie. 

Un eccesso di professionalizzazione non implica un accademismo di ritorno, il rischio, intendo, di trasformare l’arte in un lavoro come un altro?
L’accesso all’arte, a differenza di quanto accade con altre professioni, non è normato. Per diventare medico bisogna laurearsi, ma per diventare artista? La verità è che la valenza culturale può dimostrarsi sul campo. Oppure sul mercato.

D’accordo. Mi pare però che tanto parlare di professionalità e mercato ci distragga da una tematica essenziale: quella del rapporto con altre discipline. Da che mondo è mondo, non esiste l’arte al singolare, esistono le arti: la letteratura, la musica, il cinema.
Ognuna di queste discipline ha modi di racconto e fruizione differenti, e mercati differenti. È proprio a causa di questa generalizzazione che i musei sono chiusi.

La mia domanda però era un’altra. Pensi che per un artista sia più importante avere competenze di tipo economico-legale o frequentare un musicista o uno scrittore?Per carità, l’artista deve fare l’artista. Ma l’immagine dell’artista bohemienne oggi non regge. All’artista a inizio di carriera che vuol vivere della propria arte si richiedono non solo grande attenzione alla ricerca e allo sviluppo della propria ricerca artistica, ma ora più che mai competenze peculiari, anche legali. Almeno sino a quando non sarà abbastanza strutturato da costruire uno staff che possa supportarlo in quegli aspetti.