L’artista Franco Guerzoni inizia un’esplorazione del mondo dell’archeologia nei primi anni Settanta, con particolare attenzione alla stratificazione della cultura e all’idea di “antico” come sottrazione e perdita.
Il titolo di questa mostra, suggestiva e dalle molteplici poetiche, fa Intravedere solo apparentemente l’opera che viene deviata inconsciamente rispetto all’esperienza del vedere.
La funzione degli occhi è quella di intravedere sempre, deduce nell’opera una percezione commisurata all’attenzione e al tempo dell’osservazione, alla collocazione da dove si guarda.
L’artista suggerisce che “Tutto in realtà si intravede come frammenti disordinati, rivelatori però della tensione verso l’immagine in movimento che da sempre mi accompagna”.
È un’immagine che non cerca quiete, che prova a narrare con un gesto delle mani che si adoperano nel loro fare: sopra e sotto la superficie, sentita nella sua intensità.
Guerzoni si esprime attraverso un’angolazione con cui tenta di avvicinarsi alle cause che gli fanno preferire una visione obliqua rispetto a quella frontale. L’ esecuzione del suo lavoro utilizza la lentezza del fare: il dipinto si rivolge all’intorno con i suoi elementi sporgenti verso la ricerca di sguardi non legittimi che cercano nelle ondulazioni e nelle cavità profonde un fascino della scena dell’antro, sua suprema aspirazione.
Il dipinto è un semplice oggetto del desiderio che si sposta, si trasforma come materia organica vivente e che non pronostica l’ordinaria collocazione verticale: si muove, si sposta, ruota intorno dove meglio può accogliere le giuste attenzioni per percepirne l’immenso.
Lo sforzo che l’artista compie è quello di narrare una piccola storia fatta di imprevisti; un teatro sul piano strutturale o formale dell’oggetto quadro.
Intravedere prende spunto da questo guardare intorno, scrutare e osservare con approfondita e attenta vigilanza, mirante a scoprire qualcosa di nascosto nell’opera. L’intenzione dell’artista è quella di rievocare gli innumerevoli sguardi che gli sono stati riconosciuti come omaggio dell’osservatore.
Gli sguardi si possono, si devono imbattere tra l’opera e l’osservatore che potrà esplorare le stratificazioni del lavoro nel suo spostamento, un lavoro del quale non è tuttavia dato conoscere un effetto finale.