Non si tratta di un semplice ritorno alla lentezza, ma di un atto consapevole di riflessione che recupera il corpo e la materia della fotografia analogica, restituendoci una visione più ricca e complessa dell’immagine. Con il loro lavoro, Centioni e Lattanzi non si accontentano di osservare il mondo interiore delle persone ritratte, ma lo esplorano, lo interpretano e lo rimodellano con una lentezza che diventa pensiero e critica del presente. Le loro immagini offrono all’osservatore l’opportunità di riscoprire aspetti della quotidianità, come l’emancipazione femminile, la seduzione, la spiritualità e la body art (tatuaggi), senza dimenticare la relazione amicale. La mostra allestita al Museo Ghergo di Montefano fino al 16 febbraio la mostra La cattura lenta di un istante, a cura del professor Vincenzo Izzo, direttore artistico dello spazio espositivo, offre un’opportunità di esplorare l’approccio contemplativo e meditativo alla produzione dei due maestri.
Fabrizio Centioni si distingue per un approccio che riscopre la fotografia come uno strumento non solo visivo, ma anche fisico e spirituale. Nel suo lavoro, il tempo sembra sospeso, riflettendosi nella profondità di un ritratto. La sua macchina fotografica itinerante, che trasforma un vecchio furgone Volkswagen in un laboratorio mobile, è il simbolo perfetto di questo ritorno alla lentezza, un atto di resistenza alle dinamiche di produzione e consumo immediato di immagini. In un’epoca dominata dalla velocità e dall’effimero, questa scelta di rallentare richiama le riflessioni di filosofi come Heidegger, per i quali la lentezza è un mezzo per recuperare la consapevolezza del tempo autentico. Non c’è corsa al perfezionismo, ma una ricerca di dialogo tra l’immagine e il suo soggetto, dove la luce diventa più una complice che una regola.
Dall’altra parte, Enrico Maria Lattanzi ci invita a riflettere su ciò che, nella vita quotidiana, resta solitamente nascosto, come la schiena delle donne: una parte del corpo umano che rimane intima e misteriosa e talvolta seducente. Questa area del corpo, che difficilmente si osserva in modo diretto, spesso nascosta dalla propria postura o dal nostro sguardo, è il simbolo di vulnerabilità e al contempo di forza poiché sorregge altre parti del corpo. Lattanzi, con l’uso di tecniche come il platino/palladio e la cianografia, rifiuta l’immediatezza digitale e ci esorta ad abbracciare una visione più lenta e profonda, dove ogni dettaglio è scelto con cura. È una ricerca che non concepisce il corpo come oggetto estetico, ma come territorio di riflessione.






Una conclusione che esponga i risultati della ricerca espressiva dei due artisti potrebbe arricchire il testo, dando un senso di compimento alla riflessione. Ecco una proposta per completarlo: L’intensità di alcune immagini ci costringe a fermarci, a prendere tempo per riflettere sul nostro rapporto con le immagini e sul loro significato. Non sono semplici fotografie, ma atti critici, messaggi filosofici, inviti a rallentare. In un mondo che scivola tra uno scroll e l’altro, Centioni e Lattanzi ci ricordano che la fotografia può ancora essere pensiero, riflessione profonda e, soprattutto, un atto fisico che ci sollecita a fermarci, guardare e pensare.
Riscoprire la materia, la chimica e la lentezza del processo fotografico diventa un atto di consapevolezza, un piccolo antidoto alla frenesia e all’effimero. Il risultato della loro ricerca espressiva è un’immagine che non si consuma in un battito di ciglia, ma che rimane, che lascia il segno, invitandoci a una visione più profonda e a un incontro autentico con i soggetti ritratti.