Dodici tele di grandi dimensioni accolgono lo spettatore che accede all’interno dello Spazio Field sito al primo piano di Palazzo Brancaccio, uno storico edificio neoclassico presente su via Merulana, ove è ospitata “Fiume Affatato” di Gioacchino Pontrelli (Salerno, 1966 – vive e lavora a Roma), a cura di Claudio Libero Pisano. Dislocate lungo le pareti della prima sale le opere pittoriche dell’artista salernitano immergono l’osservatore in una nuova realtà ove celebri riferimenti di illustri artisti del passato – da Caravaggio a De Chirico, da Schifano a Boetti a Cerone – lo invitano a riflettere sulla storia dell’arte che da secoli accompagna Roma quasi affidandole l’appellativo, a mio avviso legittimo, di Capitale dell’Arte Italiana. Il ciclo pittorico è accompagnato, nella sala adiacente, da un susseguirsi di lavori pittorici disposti secondo un allestimento particolarissimo – dalle opere posizionate a terra a quelle disposte su una lunghissima parete e inframezzate da pittura riprodotta su carta – col fine di invitare l’astante ad una paziente osservazione: quasi a consigliargli una visione prolungata distesi sui divanetti collocati al centro della stanza. La pittura romana, tradizionalmente intesa come pratica artistica dai lunghi tempi sia di produzione sia di osservazione, si apre qui al personale racconto di Pontrelli che la reinterpreta inglobando anche il biondo Tevere che l’attraversa e la caratterizza.
Per approfondire il progetto ho avuto il piacere di intervistare l’artista: Gioacchino Pontrelli.
Maila Buglioni: «In Fiume Affatato, progetto Unlimited sito al piano nobile di Palazzo Brancaccio, ti sei misurato con uno spazio molto caratterizzato realizzando un grande ciclo pittorico: dodici tele di grandi dimensioni che raccontano il lungo itinerario artistico che caratterizza da sempre la storia dell’arte romana. Raccontaci come e quando è nato questo ciclo e quali sono stati i tempi di produzione.»
Gioacchino Pontrelli: «L’idea è nata qualche anno fa, ma l’occasione di esporre i lavori a Palazzo Brancaccio ha accelerato le ricerche e la focalizzazione dei lavori da realizzare per il progetto. In questa occasione, anche se non è nella mia natura, ho lavorato come sosteneva Schifano: prima pensando molto ma poi realizzando l’opera rapidamente.»
M. B.: «Obiettivo del ciclo è omaggiare Roma ed i grandi pittori – da De Chirico a Caravaggio, da Schifano a Boetti e non solo – che l’hanno resa grande dal punto di vista artistico. Quali sono i motivi che ti hanno spinto a produrre questo omaggio alla Capitale visto la tua provenienza da Salerno?»
G. P.: «Si tratta di un omaggio agli artisti ma anche di un ringraziamento a questa città, con la quale ci siamo reciprocamente adottati e accettati. Sono arrivato qui con la mia famiglia a nove anni e non sono più riuscito ad andarmene. Quando ho iniziato le mie ricerche per questo progetto, non avevo intenzione di utilizzare le opere di altri artisti, ma poi man mano che studiavo ho capito che era anche grazie a loro che questo corto circuito di vita e di bellezza aveva senso. Ho sperimentato di persona che Roma è un luogo dove, se ci stai un po’ di tempo, diventa facile cascarci dentro. Gli artisti inclusi nella mia ricerca, arrivati a Roma per fermarsi o anche solo di passaggio, hanno ricevuto tanto, e allo stesso tempo hanno lasciato un importante patrimonio a tutti noi.»
M. B.: «Perché hai deciso di intitolare la mostra Fiume Affatato?»
G. P.: «Uno dei punti che ho avuto subito chiari è stato che il titolo della mostra dovesse essere riconoscibile, così come il progetto. Ipotizzavo Mamma Roma o Otto e mezzo, ma era complicato non cadere nella banalità. Poi ho pensato al fiume, all’acqua che scorre da prima che nascesse Roma, sorta di occhi in movimento che conservano la memoria, le storie e i segreti, e che lo faranno per sempre. Curiosamente la soluzione finale me l’ha data una vecchia canzone romanesca.»





M. B.: «Nella sala adiacente, invece, osserviamo moltissimi tuoi lavori: tele allestite secondo una modalità al di fuori del comune e accorpate per essere osservate a lungo, magari comodamente sul divano collocato al centro. Esemplari sono la serie di opere disposte sulla lunga parete o i piccoli lavori che ripercorrono uno dei temi da te molto impiegati come gli interni disabitati ma colmi di mobili da design dipinti come fossero nature morte… Qual è il tuo invito nei confronti dell’osservatore? Cosa ti aspetti che gli permanga?»
G. P.: «Dopo tanti anni di riflessione sul mio lavoro, e dopo aver creduto di capirne qualcosa, mi è rimasto un unico punto fermo: tutto quello che ho dipinto non è altro che una sorta di autobiografia emozionale, un racconto del momento emotivo e sentimentale. Le immagini sono solo funzionali a creare uno stato d’animo per raccontarmi.»
M.B.: «Ora vorrei parlare con te della tua pratica pittorica che Claudio Libero Pisano definisce nel suo testo critico “Una pittura che non sa mentire è scoperta, vulnerabile e pericolosamente fragile” per poi proseguire e scrivere “Il suo rapporto con la pittura da sempre è personale, psicologico e onirico”. Pisano ci rivela la tua pittura come fosse un viaggio, un percorso verso il tuo mondo interiore ove strati di colore si rivelano all’occhio solo grazie ad una meditata osservazione. Mentre Cecilia Casorati afferma che la tua arte “è duplice: non è soltanto un particolare sguardo sul mondo […] è anche un’espressione composta, capace di strutturarsi in maniera autonoma rispetto al mondo, come dimostrano i quadri che l’artista dedica – o sottrae – al Tevere.” Ti ci ritrovi in queste riflessioni?»
G.P.: «Assolutamente! Mai come in questo caso mi sono riconosciuto in ciò che è stato scritto del mio lavoro, e penso che entrambi i testi provengano non da speculazioni critiche e curatoriali, ma da una conoscenza personale costruita nel corso degli anni, oltre che dalla capacità di mettersi al servizio dell’osservatore per raccontare il lavoro con grande sensibilità ed empatia.»

M. B.: «Dipingi da parecchio tempo: già negli anni Novanta eri presente nel panorama artistico romano anche se allora a privilegiare erano ancora grandi artisti del passato che ci hanno abbandonato negli ultimi anni lasciando larga strada alle generazioni future mentre la tua generazione (quella nata negli anni ’60) non ha avuto le giuste degne approvazioni. Tanti gli artisti pittori degni di essere definiti tali ma rimasti nella penombra. Pensi che oggi sia arrivato finalmente il tempo di una vostra rivalsa? D’altronde in questi ultimi anni la pittura è tornata molto in voga, tante sono le gallerie in cui è ben rappresentata nelle mostre..»
G.P.:«Hai ragione, è andata così, ma sono convinto che proprio la storia restituisca la sua verità, raccontandoci che la pittura, come le altre cose dell’arte e della vita, può passare di moda; ma poi le mode ritornano e nuovamente ripassano. Posso dirti che io e tanti altri artisti abbiamo sempre lavorato, con la pittura o con altri media, e siamo oggi ancora qui. In particolare, la pittura negli anni Novanta, dopo la transavanguardia e gli artisti di San Lorenzo, a Roma è stata relegata a un ambito secondario e abbandonata dalle gallerie importanti, da molta critica e molti curatori. È rimasta preda di gallerie commerciali che non hanno aiutato la buona pittura e la ricerca, contribuendo a produrre cose brutte. Da qualche anno le cose sembrano evolvere in altra direzione, lo vedo dalla nuova generazione di artisti che stanno affermando con forza una loro identità improntata marcatamente sulla pittura.»
M.B.: «Progetti futuri? Puoi anticiparci qualcosa?»
G.P.: «Ho un progetto in Zambia appena partito e poi stiamo lavorando affinché Fiume affatato non si fermi a Roma.»

“Fiume Affatato” di Gioacchino Pontrelli
A cura di Claudio Libero Pisano
fino al 29 maggio 2022
Spazio Fiedl – Palazzo Brancaccio
Via Merulana, 248 – 00185 – Roma RM
email: info@spaziofield.com
website:http://www.spaziofield.com