Gerhard Merz
Fabio Weik
Fabio Weik, Pàra Dòxa. Galleria Lampo, Milano. Foto Rina Bekshiu

Fabio Weik – Parà Dòxa. Conflitti di interesse 

Fabio Weik presenta il suo ultimo ciclo di opere nella mostra Pàra Dòxa, a cura di Anna Vittoria Magagna, fino al 26 ottobre a Galleria Lampo.

È la necessità di raccontare l’emergenza bellica in atto a spingere Fabio Weik, artista multidisciplinare classe 1984, da sempre fortemente impegnato in tematiche sociali e influenzato da mass media e cultura di massa, a creare la serie di opere che popola lo spazio post-industriale di Galleria Lampo. In particolare, l’artista fa riferimento al doppio fronte apertosi col conflitto russo-ucraino in Europa e a quello israelo-palestinese in Medio Oriente, attingendo però anche alla propria esperienza diretta di zone di guerra. 

Il titolo scelto, dal greco παράδοξος(nel significato di “contro-opinione”, quindi “verità che si oppone al senso comune) restituisce all’artista quel ruolo sociale storicamente assegnatogli di narratore e testimone. Significativo il fatto che il tema affrontato da Fabio Weik, ossia la guerra con il suo impatto distruttivo, sottolinei anche l’altro grande ruolo storico dell’artista: colui che crea in risposta alla distruzione che segue le gravi crisi mondiali. Il percorso che viene offerto al visitatore è un’indagine sulla natura paradossale dei conflitti e delle dinamiche che regolano la più grande delle tragedie umane. Il primo (e più assurdo) paradosso sul quale l’artista vuole concentrare la nostra attenzione è quello della vita nella morte: la guerra distrugge, annienta e uccide, e tuttavia richiede a coloro che risparmia di adottare delle strategie di sopravvivenza necessarie affinché la coesistenza antitetica di questi due stati della natura umana possa realizzarsi.

La strategia narrativa adottata da Fabio Weik prevede infatti la ricostruzione di un territorio di guerra, realizzato disseminando lo spazio di installazioni realizzate con filo spinato: srotolato e appeso, attorcigliato attorno a strutture ad arco rosa (di quelle utilizzate in occasione degli ormai popolarissimi baby shower) come in Confine Circolare (2024), addirittura a complemento tecnico degli olii e delle serigrafie appese alle pareti. Sotto le installazioni, file di pietre a secco sono disposte in fila, ad indicare i confini che avrebbero delimitato le abitazioni rurali dei villaggi occupati e distrutti; qui, i nuovi confini vengono segnalati da chilometri di filo spinato o da metri di dissuasori anti-pneumatico installati a difesa delle basi militari che, talvolta, rimangono lì anche decenni dopo la fine del conflitto, diventando parte integrante del paesaggio post-bellico. Ironicamente, l’artista dipinge alcune di queste pietre, o intere bobine di filo spinato, di toni accesi di blu e rosa, i colori legati all’infanzia (altro riferimento alla coesistenza forzata di vita e morte in guerra), che vengono riprese anche nella palette utilizzata per gli olii e le serigrafie in mostra.

E proprio nelle opere a parete Weik introduce i deus ex machina dell’intero ciclo narrativo, soggetti “naturalmente paradossali” che affascinano l’artista per le tecniche di sopravvivenza che hanno sviluppato nel corso dell’evoluzione che sfidano le leggi della fisica: vale a dire le sule, uccelli marini dalle curiose zampe blu, e i pesci volanti. Mentre i primi riescono a lanciarsi come razzi in picchiata tra le onde per procurarsi il cibo, i secondi hanno una conformazione fisica che permette loro di planare sull’acqua in meravigliose evoluzioni aeree per sfuggire ai predatori. Eppure, nonostante l’evidente diversità, i due animali sono accomunati da una caratteristica incredibile: la forza che sviluppano le sule per gettarsi in mare è la stessa misurata nei pesci volanti quando balzano fuori dall’acqua. Il paradosso secondo cui un predatore può avere caratteristiche simili a quelle di una preda è il motivo per cui Weik li sceglie come metafora della capacità di adattamento di fronte al pericolo, che spinge ad affrontare situazioni ostili per puro istinto di sopravvivenza. 

Le immagini delle sule e dei pesci volanti sono riportate su tele e lamiere stampate, alternando la tecnica dell’olio su tela a quella serigrafica, che “impreziosite” da cornici di filo spinato e dissuasori costringono lo spettatore ad uno stato di tensione continua, lo stesso che tiene in scacco la popolazione coinvolta in un conflitto. Curiosamente, il più alto numero di vittime di guerra non è causato da attacchi diretti o bombardamenti, ma dal materiale pericoloso che viene abbandonato e occultato tra la polvere e i detriti e che inevitabilmente finirà per ferire e uccidere, spesso per malattie e infezioni, la popolazione civile. Weik vuole quindi ricreare quella tensione che costringe a tenere tutti i sensi all’erta, e perciò a coinvolgere tutta la sfera istintiva, introducendo l’ennesimo paradosso: le opere in mostra, alle quali verrebbe naturalmente voglia di avvicinarsi per poterle esaminare, sono in realtà “respingenti”, attraenti ma pericolose al tempo stesso. 

Accanto alla serie di lavori realizzati ad hoc per la mostra, l’artista ne inserisce una “bonus”: Fluidostatica (2023), appartenente al ciclo di stampe su coperte isotermiche realizzate a partire dalla ricerca nata con Ermeneutica, una serie di progetti nata nel 2019, culminata poi nella personale Gold Track presso la galleria Verrengia nel 2023. L’opera raffigura un moto ondoso realizzato tramite l’utilizzo di A.I., che ha creato l’immagine a partire dagli input forniti dall’artista. Il mare, secondo lui, rappresenterebbe la fine (reale e metaforica) del conflitto, ma anche un modo per riportare lo spettatore al punto di partenza, dandogli una via di fuga ideale dall’orrore e dalla tensione. 

L’ultimo paradosso si rivela nitido alla fine del viaggio, ed è quello che ci fa riflettere sulle difficoltà e sulla reticenza legate alla narrazione del conflitto: mai come ora siamo di fronte ad un’emergenza bellica che sta pericolosamente sfiorando le dimensioni di uno scontro mondiale, ma allo stesso tempo non siamo in grado di esprimere una “contro-opinione”, frenati dall’insorgere di argomenti che, invece di essere tematiche di opinione pubblica, si trasformano in tabù, col risultato di distogliere lo sguardo da tutto ciò che risulta scomodo. Fabio Weik, al contrario, esamina scientificamente il dolore, il rovesciamento delle dinamiche sociali, l’annientamento dell’empatia e della pietà umane, raccontando la crudezza della barbarie con delicate venature di dolcezza estetica.

Fabio Weik
Fabio Weik, Parà Dòxa, 2024. Foto Rina Bekshiu

Fabio Weik
Parà Dòxa
a cura di Anna Vittoria Magagna
Galleria Lampo – via Valtellina 5, Milano
fino al 26 ottobre 2024