Binta Diaw,1.12.44, 2022. Courtesy the artist and Galerie Cécile Fakhoury; Ph. Khalifa Hussein.

Luogo

Villa Pacchiani
Via Francesca Sud, 56 - Santa Croce sull'Arno

Data

Gen 20 2024 - Mar 03 2024
Evento passato

Ora

17:00

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Mostra

Binta Diaw. Del Cosmo e della Terra

Inaugura sabato 20 gennaio 2024 alle ore 17.00, presso il Centro Espositivo “Villa Pacchiani” di Santa Croce sull’Arno la mostra personale di Binta Diaw Del Cosmo e della Terra, a cura di Ilaria Mariotti.

La mostra fa parte di un’articolata iniziativa del Comune di Santa Croce sull’Arno realizzata nell’ambito di Toscanaincontemporanea2023 e con la collaborazione di Crédit Agricole Italia. Collaborano attivamente all’iniziativa numerose associazioni del territorio: Associazione COSSAN – Comunità senegalese di Santa Croce sull’Arno e Associazione DISSO – Diaspora senegalese per lo Sviluppo e la Solidarietà, l’Associazione Arturo, l’Associazione Carnevale d’autore, l’Istituto comprensivo Santa Croce sull’Arno, The Recovery Plan, Firenze.

Il Comune di Santa Croce sull’Arno aderisce alla rete Terre di Pisa.

Il progetto che ha portato Binta Diaw a operare a Santa Croce sull’Arno ha come obiettivo la realizzazione di processi di dialogo e convivenza tra culture diverse coinvolgendo, in un processo partecipativo, la numerosa comunità senegalese che risiede nel comune toscano. La popolazione di Santa Croce sull’Arno, piccolo centro conosciuto in tutto il mondo per la lavorazione della pelle, circa 14.600 persone, è costituita per il 23% da migranti provenienti da oltre 50 paesi richiamati negli anni da un tessuto economico estremamente dinamico e questa composizione estremamente variegata e articolata la rende una comunità interessante e complessa. Quella senegalese è una comunità assai numerosa e, come per tutte le etnie, la sua composizione vede moltissime seconde generazioni di bambine e bambini, giovani nati a Santa Croce sull’Arno

Fino al prossimo 3 marzo le sale di Villa Pacchiani ospiteranno una serie di opere significative di Binta Diaw (Milano, 1995) artista italo-senegalese, una delle voci più potenti tra le giovani generazioni di artisti afrodiscendenti; insieme a installazioni, alcune di grandi dimensioni, fotografie, video e sculture sarà presentata anche un’opera prodotta dal dialogo tra l’artista e il territorio in un’ottica di reciproca conoscenza.

Binta Diaw, che lavora con diversi linguaggi espressivi focalizza le sue opere sull’indagine filosofica dei fenomeni sociali che caratterizzano la nostra contemporaneità e nello specifico la migrazione, su questioni legate all’identità, all’appartenenza, al genere utilizzando il corpo e lo spazio. L’artista sollecita costantemente una riflessione a partire dal fatto di essere una donna nera in un mondo europeizzato attraversato da molteplici storie e caratterizzato da geografie che possono essere costantemente revisionate e reinterpretate in un’ottica consapevolmente critica.

In questa occasione gli spazi di Villa Pacchiani vengono utilizzati per evocare idealmente un paesaggio segnato da presenze di opere ambientali (come Reeni Yakar e 1.12.44) che utilizzano la terra, rievocano miti e ricostruiscono avvenimenti storici drammatici per il popolo senegalese, in sospensione continua tra poesia, storia, ricerca d’archivio, rilettura di eventi in un’ottica postcoloniale.

Le installazioni ambientali invitano il visitatore a percorrere la mostra inoltrandosi in una sorta di paesaggio fisico ed evocato, sollecitato da stimoli visivi, olfattivi e sonori insieme: tutte suggestioni, queste, che costruiscono l’immaginario dell’artista nutrito costantemente da filosofia e storia, documenti e racconti e rielaborato in potenti visioni poetiche.

Nell’installazione Reeni Yakar – les racines de l’espoir, opera del 2022, una monumentale scultura fatta di trecce di capelli sintetici cala dal soffitto e si allunga sul terreno. Potente è l’immagine delle radici, evocata dalle grandi trecce di capelli che assumono un forte valore narrativo che ha a che fare con l’identità, racconta generazioni di donne resistenti in epoche diverse. I capelli femminili sono un’estensione del corpo che le donne dei secoli passati, ridotte in schiavitù, hanno usato, acconciati con elaborati disegni, come segnali di comunicazione, mappe di resistenza e di ribellione. Nelle acconciature fatte con trecce elaborate si potevano nascondere oggetti, intrecciare piccoli oggetti che fungevano da segnali: un codice condiviso solo da particolari gruppi di persone. Le grandi trecce alludono anche alle radici delle mangrovie, rifugio di uomini e donne braccati dai cacciatori di schiavi.

L’altra grande installazione ospitata a Villa Pacchiani, 1.12.44-3 (2022), è dedicata a un episodio della storia del Novecento del Senegal. La data a cui fa riferimento il titolo è quella in cui l’esercito francese perpetrò il massacro dei Tirailleurs Sénégalais — un corpo coloniale composto da tutte le maggiori nazionalità dell’Africa occidentale francese ma che veniva chiamato così perché è stato creato in Senegal, sull’isola di Goree — che combatteva a fianco dell’esercito francese, come dura risposta alle rivendicazioni dei soldati smobilitati in transito nel campo di Thiaroye.

L’installazione è fatta di terra, semi di miglio e mais e dei tipici berretti rossi (chéchia) indossati dai Tirailleurs. Ancora una volta la terra, percorsa da solchi dell’aratro, secondo la pratica agricola, è il luogo dell’origine, allude alla vita dei soldati prima della guerra, nella maggior parte dei casi contadini, ma anche alle trincee sui campi di battaglia. Alcuni dei cappelli sono forati (saranno 44 nell’opera presentata a Villa Pacchiani) e nel tempo lasceranno spuntare una piantina di miglio o mais, alimento base delle truppe coloniali. Una voce narrante ci porge, come una sorta di archivio orale della strage, rimasta tutt’oggi senza una verità definitiva e senza un preciso bilancio dei morti, frammenti di documenti e una lista di nomi. Il musicista e griot Dudù Kouate è il compositore e l’esecutore al tipico flauto guineano della parte sonora. Quella dei griot è una casta di poeti e cantori il cui ruolo è quello di conservare e trasmettere la tradizione orale e sonora. Figura importante e per certi versi magica, il griot tiene traccia di tutti gli eventi importanti del villaggio e della famiglia e le trasmettono alle future generazioni.

Il tema della memoria, collettiva e personale, e dell’artista che rielabora in forma poetica e evocativa eventi storici significativi per la coscienza collettiva è presente anche in Strange Fruit (2022): una bandiera senegalese è legata al soffitto a mo’ di sacco riempito di macerie che la sfondano con il proprio peso.

Nella primavera del 2021 a Dakar la miccia che ha innescato gravi rivolte popolari è stato l’arresto di Ousmane Sonko, il capo dell’opposizione e candidato alle elezioni del 2024. In seguito furono adottate misure che limitavano fortemente la libertà personale: coprifuoco, oscuramento di canali

social e altre che rasentavano l’illegalità. Il contesto è un paese fortemente provato dalla pandemia e che deve fronteggiare gravi problemi sociali, altissimi tassi di disoccupazione e di inflazione, forti disuguaglianze, corruzione e in cui i giovani, in una nazione dove gli under 20 rappresentano la metà della popolazione, lamentano una grave mancanza di prospettive, 13 persone perdono la vita durante le rivolte.

Strange Fruit è un’opera che rende evidente una situazione di forte tensione, una lacerazione ormai irrimediabile, una forza costrittiva che non può più tenere insieme le rovine personali e collettive ma anche la rabbia della rivolta.

Il titolo si riferisce alla nota Strange Fruit di Billie Holiday dove lo “strano frutto” è il corpo di un nero appeso a un albero dopo il linciaggio e che oscilla nella brezza.

L’opera AFR… (2019), una scritta in corda, indaga sui limiti del linguaggio eurocentrico, in cui la parola “Africa” è spesso usata per significare un paese e non un continente fatto di 54 stati, oltre 2000 lingue e diverse etnie e gruppi religiosi. Decostruire e ripensare la parola “AFRICA” è lo scopo di quest’opera che si propone di rivedere il linguaggio oltre gli stereotipi razziali partendo da una riflessione che l’artista compie sulla propria identità.

Il tema del linguaggio torna anche in Toubab Bou Nuul (2019), una scritta creata intrecciando la bandiera del Senegal, in cui lo stereotipo appartiene alla lingua wolof e all’uso che ne viene fatto nel designare una donna nera che vive come una donna bianca. L’opera rappresenta i dubbi e i disagi delle nuove generazioni dall’identità complessa, divisa tra appartenenza ed estraneità.

Le fotografie della serie Paysage corporel (un progetto iniziato nel 2019 e ancora in corso) sono incentrate sul tema del corpo come luogo di generazione, come terreno di resistenza, di potere e di atto. In mostra Paysage corporel I e XII in una versione site specific in scala ambientale e Paysage corporel – elle n’est pas deracinée del 2022.

Il rapporto ancestrale tra i corpi femminili e la Natura, ritorna in questi lavori in cui vengono fotografate diverse parti del corpo.

Le foto sono state rielaborate con l’utilizzo del gessetto, ricalcando sulla superficie fotografica tracce di colori che trasformano le linee e le forme del corpo in viaggi, sentieri e paesaggi armoniosi e idealmente infiniti. Queste tracce sono il risultato di un processo di interrogazione, di continua ricerca interiore legata al movimento ciclico delle donne, della natura e dell’arte.

In modo radicalmente diverso il corpo della donna è protagonista dell’opera tĕrĕre (2022) stavolta in assenza: un pestello di legno e due abiti di seta, l’uno rosso (il colore della guerra e del sangue) l’altro azzurro (il colore del cielo, tenero e accogliente), uno appoggiato sul bordo del pestello, l’altro sospeso.

La storia spesso tace il ruolo delle donne oscurando l’importanza delle figure femminile che la attraversano: che siano donne che seminano i campi o guerriere e attiviste, mogli dei soldati in attesa del loro ritorno occupandosi della cura della terra e dei figli o donne che scendono nelle piazze.

Anche il video Essere Corpo (2019) esprime, attraverso l’azione performativa, il ritorno del corpo alla terra e alla natura. Una danza liberatoria in cui la natura è vista come un bene comune con radici antichissime. Una riflessione, che nasce dalla condizione di donna nera, su come la società occidentale, patriarcale e capitalista abbia sempre razzializzato le donne e la natura allo stesso livello.

‍Una nuova versione di Black Powerless è la nuova opera che Binta Diaw realizza per questa occasione con i ragazzi e le ragazze di origine senegalese, destinata alle nuove generazioni nate in Italia ed è un lavoro legato alla questione dello Ius soli.

L’attesa del compimento del diciottesimo anno per ottenere la cittadinanza italiana rende invisibili gli afrodiscendenti, e più in generale, tutte le seconde generazioni di stranieri nate e cresciute in Italia. L’installazione, costituita da calchi di pugni appesi verso il basso, trae ispirazione dal pugno alzato simbolo del movimento Black Power, con la dolorosa presa d’atto della mancanza di diritti. La colorazione dei calchi è data dal tannino che fa parte di alcuni processi di lavorazione delle pelli e che rimanda direttamente al contesto santacrocese.

L’esperienza partecipata che ha dato vita alla collaborazione con la comunità senegalese è nata dalla necessità di sollecitare una riflessione condivisa con le giovani e i giovani della comunità portando alla luce e alla loro attenzione possibili modelli di futuro, riflessioni in corso, scambi di idee, pratiche di dialogo. A tal fine, durante il periodo di apertura della mostra, verrà organizzato un ciclo di incontri dedicato soprattutto alle giovani e ai giovani di origine senegalese che vivono a Santa Croce sull’Arno che saranno invitati a dialogare, oltre che con l’artista, con una serie di altre persone, portatrici di storie ed esperienze.

Il progetto prevede attività volte alla formazione del pubblico e percorsi didattici che verranno effettuati con i ragazzi che frequentano le scuole dell’Istituto Comprensivo Santa Croce Sull’Arno.


Binta Diaw
Del Cosmo e della Terra
A cura di Ilaria Mariotti
Villa Pacchiani Centro Espositivo
Piazza Pier Paolo Pasolini – Santa Croce sull’Arno
20 gennaio – 3 marzo 2024
Inaugurazione: sabato 20 gennaio 2024 ore 17:00
Orari: dal venerdì alla domenica ore 16:00-19:00
Ingresso libero
info: Ufficio Cultura tel. 0571 389853; email: s.bucci@comune.santacroce.pi.it; www.villapacchiani.it

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