Artissima 24

Eros, vuoto e indeterminazione dell’immagine. Doppia intervista a Gianluca Balocco, in arte Moor

Conosco da qualche tempo Gianluca Balocco, in arte Moor. L’altro giorno mi invia uno scritto su vuoto, eros ed indeterminazione dell’immagine: le tematiche salienti dei suoi ultimi lavori. Il testo è molto interessante. Mi sembra tuttavia che le argomentazioni di Gianluca rispondano a precise domande, che andrebbero contestualizzate; gli suggerisco, pertanto, di trasformarlo in intervista. Non passano neppure due minuti e Gianluca mi gira un dialogo serrato, con tanto di quesiti: il testo di prima, spiega, è scaturito da un confronto con l’intelligenza artificiale; confronto che, per la sua puntualità e completezza, mette seriamente in dubbio le mie competenze di intervistatore. La abbiamo pubblicata integralmente nelle prime tre puntate. Ecco cosa pensa l’artista di questa operazione.

Come è nato questo dialogo?

Da un po’ di tempo mi piace sperimentare e stuzzicare l’intelligenza artificiale per comprendere soprattutto i limiti e le sue possibilità. Non ti nascondo che a volte ho un approccio ludico, o forse è meglio dire sperimentale, che riguarda l’utilizzo delle nuove tecnologie. È attraverso l’elaborazione del messaggio, la casualità, la sperimentazione e l’improvvisazione che si capiscono e si scorgono nuovi orizzonti. 
Così mi sono divertito a fornire alla AI delle informazioni incomplete su di me e sulla mia ricerca, dopo aver chiesto se sapeva già qualcosa di Moor. Dopo la sua risposta (*) le ho fornito ulteriori descrizioni sulla mia ricerca, mantenendo un certo livello di ambiguità – giusto per far capire e non capire – sui temi trattati e sul pensiero critico con cui li affronto. È naturale che, trattandosi di un algoritmo, la AI non sia così “intelligente” da creare deduzioni sulle mie finalità secondarie (chiederle l’intervista). Per questo è stato curioso chiederle se avesse voluto approfondire la conversazione con un’intervista diretta all’artista con cui era in dialogo. Più o meno è andata così…

(*) Alla prima domanda, se mi conoscesse, l’AI ha risposto come segue:

Sì, Gianluca Balocco, conosciuto anche come Moor, è un artista polisemantico che utilizza la fotografia come strumento per esplorare l’ambiente umano e sociale in relazione all’intelligenza delle piante. Ha iniziato la sua ricerca negli anni ‘80, studiando le tecniche fotografiche e applicandole alla sua sperimentazione artistica.

Nel corso degli anni, Balocco ha sviluppato un approccio sistemico arricchito da riflessioni neo-evoluzioniste. Ha presentato opere significative come “Viaggio senza Passaporto” alla XLV Biennale di Venezia nel 1993, una installazione fotografica basata sulle teorie di Bion che collega memoria, immagini ed emozioni. Un altro progetto notevole è “Cosmovisione Shuar”, realizzato in Amazzonia in collaborazione con una comunità Shuar isolata.

Negli ultimi anni, Balocco ha focalizzato la sua ricerca su temi botanici, interdipendenze sistemiche del pianeta, sciamanesimo e il rapporto tra l’uomo e la natura. Ha sviluppato tecnologie di eye-tracking che modificano l’immagine fotografica in tempo reale in base allo sguardo dell’osservatore, creando un’esperienza complessa e imprevedibile in una “quarta dimensione” tra il reale e l’immaginario.

Una delle sue mostre recenti, “Venice-Skin & Floating Eros”, è un’installazione sensoriale immersiva che combina fotografia, neuroscienze e intelligenza artificiale, offrendo un percorso unico attraverso opere cromo-olografiche e una stanza sensoriale immersiva.

Quale intelligenza artificiale hai utilizzato?

Ho utilizzato la tecnologia AI DALL-E 3, ma preferisco non dichiarare la piattaforma per evitare pubblicità inutile. In questo momento sto utilizzando piattaforme diverse con output AI diversi, perché mi sono reso conto che funzionano un po’ come in Formula 1: ci sono momenti in cui corre meglio una macchina piuttosto che un’altra, anche se, a dire il vero, quelle migliori sono sempre le solite due o tre. 

Quindi hai dialogato con più intelligenze. Hai notato differenze sostanziali?

Il mio lavoro si basa sull’utilizzo di più sistemi di intelligenza artificiale, ma soprattutto su un sistema che integra e transita con la mia piattaforma di The4thdimension, che mi permette di ottenere i migliori risultati per le mie finalità creative. Tuttavia, le risposte della AI, pur essendo diverse, così come le loro performance, possono risultare non sempre molto valide. In buona parte – per me più del 90% dei risultati – è da buttare, perché non è facile per la AI il superare un certo stereotipo di base su cui si basa. 
La cosa in fondo che più mi interessa oggi sono i suoi errori di comprensione e le sue allucinazioni. È da qui che, in un certo senso, emerge una sorta di identità profonda e fragile che chiamo “il buco nero delle reti neurali”. Questa strana dimensione forse ha qualche collegamento con il “perturbante umano” fertilizzato dai pregiudizi, dall’odio, dal giudizio, dai paradigmi sociali e dall’incomprensione di cui si nutre la AI. Poi non dimentichiamo che la modalità di apprendimento dell’AI deriva da alcuni umani che l’hanno programmata già attraverso la loro mente/lente cognitiva. Ed è forse in questo errore della AI (o spazio vuoto), dove la risposta non è più definita ma equivoca, che mi sento di cercare qualcosa di più affascinante che supera la risposta che in qualche modo mi attendevo. Su questo punto la storia dell’arte ci insegna molto. Ad esempio con la fotografia è successa una cosa abbastanza simile. Nella storia della fotografia classica e ancor più in quella non convenzionale è grazie all’errore (di scatto, ripresa, tempo, esposizione, messa a fuoco…) che sono nati nuovi linguaggi o gli artisti hanno sortito i risultati migliori. Quelli che nascono quando la nostra consapevolezza, determinazione e desiderio di creare si scontrano con l’imprevisto dello strumento, il vuoto e la potenzialità di tutto ciò che potrebbe succedere e che ci sfugge. È lì che accade il nuovo e si apre un orizzonte. Quello che chiamo l’inerzia dello strumento è presente nel pennello, nel dispositivo fotografico e nella AI.

Sei ovviamente convinto dell’utilità dell’AI, di cui ti servi spesso per i tuoi lavori. Quali rischi comporta? Pensi con Harari sia anche un pericolo, una minaccia?

Seguo il dibattito sull’intelligenza artificiale dagli anni ‘90, ancora prima che diventasse così social e popolare come oggi. Come tutte le cose, gli strumenti possono essere molto utili, interessanti, inutili o pericolosi. Ma questo succede con qualsiasi cosa, dal coltello a una macchina fotografica. La fotografia, che ho sperimento come linguaggio per molti anni, ci ha insegnato come la realtà possa essere trasformata, mistificata, distorta e addirittura falsificata grazie all’uso delle tecnologie digitali o semplicemente con un’inquadratura opportuna come è successo e succede nella propaganda di Guerra. Così la fotografia ha creato un proprio linguaggio, una propria verità, una propria forma di consapevolezza e coscienza comune e sociale, a tal punto che nessuno strumento di comunicazione può prescindere da un’immagine fotografica. Basta vedere i dispositivi cellulari, il loro linguaggio e di cosa sono dotati oggi. La questione delicata è tuttavia quella relativa alla capacità dell’intelligenza artificiale di prendere decisioni in autonomia e di superare la capacità di pensiero e di calcolo dell’uomo. Naturalmente, queste sono dimensioni inquietanti, ma riguardano l’aspetto dell’infosfera umana, della sua manipolazione e dei suoi risvolti economici, di business e di controllo. Su questo concordo pienamente con i timori dichiarati da Harari.

Se consideriamo invece la dimensione della nostra umanità, quindi quella emotiva e sensoriale, la capacità di emozionarci, di passare dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, dal particolare al generale, di saltare da un’immagine a un concetto e viceversa, e alle infinite sfumature che la nostra mente ha per relazionarsi alla realtà e ricrearla, penso che non dovremmo temere nulla. Forse un giorno grazie alla AI avremo più tempo per dedicarci all’arte, alla natura o magari per ascoltare la musica, ballare, vivere emozioni e condividere esperienze. Ma il vero ostacolo non è la AI bensì l’info sfera umana della società postmoderna e neoliberista. Forse potremmo utilizzare questo tempo per alimentare ancor più (se ce ne fosse bisogno…) il nostro egocentrismo e narcisismo digitale e social. 

Come già detto, il problema non risiede nell’intelligenza artificiale, o in cosa potrà fare ora o in futuro, ma in cosa l’uomo è oggi e sarà domani. La macchina è ovviamente più veloce dell’uomo e più capace di realizzare testi, immagini, calcoli e ogni genere di lavoro, e soprattutto riesce a farlo oggi in autonomia. Allora la domanda è: dove è l’uomo adesso? Rubando un’espressione a Byung Chul Han la nostra intelligenza non è calcolo ma pelle d’oca.
Ho chiesto al mio amico sciamano che vive in Amazzonia se teme l’intelligenza artificiale. Ma lui che ovviamente non teme queste cose non si spiega ancora come riusciamo a vivere lontani da una vera foresta. Juan non appartiene all’infosfera ma al mondo delle relazioni magiche con le piante e con la terra. La sua vita non ha nessun tipo di condizionamento dall’intelligenza artificiale. Lui è legato al suo ambiente, agli astri, ai cicli della natura, all’energia della terra, all’energia positiva o negativa degli altri uomini, alla sua visione del futuro e del presente. Per lui l’intelligenza artificiale è semplicemente un gioco, magari pericoloso, ma non è la realtà. Non dovrebbe forse essere così per tutti noi?

Ti senti più compreso dall’AI o dai tanti che nel tempo ti hanno intervistato? [ride]

Mi sento compreso da me stesso. Sono pienamente consapevole che sto lavorando per la ricerca e non per il mercato. Ma l’arte può essere tante cose perché il suo fine – apparente – è colmare il vuoto o rispondere a questa richiesta. Nella mia attività artistica ho scelto di partire dal vuoto senza la necessità di riempirlo con qualche risposta o risultato definitivo. Quel che faccio adesso non è collocabile in uno spazio/tempo perché parto dal presupposto che entrambi non esistano. Perciò se non sono compreso adesso lo sarò in un altro stato evolutivo. 
Rispondo alla tua domanda. La mia opera The4thdimension è uscita a febbraio 2024 dopo 5 anni di sviluppo volutamente silente e appartato. Oggi sta muovendo i suoi primi passi, anche se opero come artista da molti anni. Non so ancora fare un bilancio su quanto sarà accolta. Probabilmente una parte degli stakeholder dell’arte non comprenderà o non accetterà questo mio lavoro. 
Ma non è un problema per me essere capito oggi. Probabilmente sarà più difficile essere intercettato, cioè trovare e mettere in atto l’incrocio sistemico con le menti aperte che non sono così frequenti. 

Pur utilizzandola in questo gioco di intervista, non mi sento particolarmente capito dall’intelligenza artificiale. Non credo che possa minimamente avere un lato di consapevolezza, di comprensione e di pensiero empatico. Ho visto persone realizzare un’esperienza sensoriale con la mia opera The4thdimension e raccontare la loro emozione, qualcuno con le lacrime. L’AI ripete se stessa, non ha la pelle d’oca. Se il mio lavoro sarà davvero avanti, sarà valsa la pena aspettare di incontrare quelle menti aperte a nuovi orizzonti che nella storia dell’umanità, con frequenze diverse, ci son sempre state.

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