Tra gli anni ‘70 e ’90 all’interno del Castello Brown, il gallerista Daniele Crippa si è occupato dell’allestimento di mostre d’arte rimaste nella storia, dove tra i nomi più illustri figurano Arman, Afro, Capogrossi, Casorati, Dova, Festa, Gilardi, Manzoni, Mitoraj, Parmiggiani, Pomodoro, Rotella, Scanavino, Schifano, Vedova e molti altri. La precedente mostra dell’estate 2021, dedicata a Elio Marchegiani, ha dato il via alla ripresa delle mostre al castello, con un calendario rilanciato dallo stesso Daniele Crippa. La curatela di Corrispondenze è affidata all’ispiratore dei Martedì Critici, Alberto Dambruoso che ha deciso di far dialogare questi due artisti, entrambi toscani, sia per il lungo rapporto di reciproca amicizia e stima che li lega, sia per i numerosi richiami e rimandi che si possono notare tra i lavori, se pur molto differenti, dei due protagonisti.
Riccardo Guarneri è un pittore che appartiene a quella grande dimensione che tra l’altro dà il nome a questa rivista, ossia quella del segno e viene giustamente riconosciuto come un Maestro del colore. Inizia a dipingere nel 1953 aderendo alla pittura informale, dopo molti anni dedicati all’attività musicale che continuerà costantemente a influenzare i suoi lavori. In questo periodo, si dedica all’uso della grafite e dei colori ispirati alle atmosfere nordiche, come le terre, i bruni e i grigi. Successivamente, le sue ricerche lo condurranno all’utilizzo sempre più preponderante dell’acquarello e dell’acrilico per arricchire la sua tavolozza cromatica con nuovi colori. Ha partecipato a due Biennali di Venezia, nel 1966 e nel 2017 e alla Biennale di Parigi nel 1967. Osservando i lavori di Guarneri, si nota come quelle che a primo impatto, l’occhio riconosce come forme geometriche, in realtà tendono ad annullarsi, trasformandosi in pure trasparenze luminose, in tracce cromatiche e segniche appena visibili. Sembra che la musica classica abbia scelto di incarnarsi all’interno delle sue opere per mostrarsi al mondo sotto le vesti di una sostanza diversa. Le note musicali mutano, si espandono e assumono l’aspetto di delicate sfumature di colore, i suoni acuti si depositano là dove gli acquarelli si sovrappongono, mentre quelli gravi scelgono i luoghi di maggiore trasparenza delle tele, per dare vita a maggiori dilatazioni melodiche. Ecco che, questo ritmo così persuasivo, delicato e a tratti ipnotico alimenta tutti i suoi lavori e convince lo spettatore a trattenersi davanti a quelle opere definibili come “a lento consumo”, per cercare di comprenderne tutti i significati e percepire la melodia che vi si nasconde e che muta insieme alle variazioni di luce, atmosfera e colore. Personalmente, ho avuto la fortuna oltre che di frequentare l’artista, anche di conoscere la splendida persona che lo definisce e trovandomi spesso davanti alle sue creazioni, la prima cosa che ho riscontrato è la grandissima capacità che ha di “catturare l’aria, l’ossigeno”. Nei suoi azzurri e verdi, si percepisce tutta l’inconsistenza e la freddezza dell’atmosfera invernale, mentre nei suoi violetti, gialli e rosa si sente la leggerezza della brezza estiva. Siamo davanti a un paesaggio dell’anima, dove ognuno di noi riconoscerà sé stesso in una diversa sfumatura. La sua costante ricerca della luce e delle sue variazioni è una delle prime corrispondenze che lo legano ai lavori dell’artista Gioni David Parra, che effettua questa ricerca non più sul bidimensionale ma sul tridimensionale. Parra lavora solitario, slegato da qualsiasi appartenenza a gruppi e tendenze artistiche, eliminando la distanza e l’apparente opposizione tra pittura e scultura, per rivisitare in chiave unica e singolare, la millenaria tradizione legata all’uso di un materiale nobile come il marmo e ricercato come la foglia d’oro. Inoltre nei suoi lavori, emergono gli stessi riferimenti di Guarneri ai Maestri del 400-500 toscano, come Simone Martini, Masaccio e Piero della Francesca che costituiscono un’ulteriore corrispondenza tra i due. Nel suo caso vediamo come la monumentalità del marmo va a ridursi ed elevarsi, per assumere le forme di lame di luce, BladeLight, specchianti, metamorfiche, tanto da apparire talvolta come formate da riflettenti schegge di vetro. Esse si dispongono armoniose, su tele monocrome dipinte con colore a olio o rivestite con tessuti monocromi, sprigionando una melodia potente, sicura ma mai discordante. Anche quando una o più lame si spezzano, mostrando tutta l’importanza, il peso di quella foglia d’oro che va a risarcirla, a cicatrizzarla rivelando al mondo, il vero materiale che costituisce queste “armi” di marmo o granito, ossia la luce stessa. Altra corrispondenza tra i lavori dei due artisti, la troviamo quando osserviamo i NoCube di Parra, dove quelli che da lontano possono apparire come dei cubi di marmo specchianti, da vicino rivelano forme seducenti e ipnotiche, che scardinano l’apparente geometria, così come le forme presenti sulle tele di Guarneri, non saranno mai geometriche ma fuggono dalle logiche della rigida costruzione. Passando poi a osservare il MatterMusic, dove la luce del marmo di Carrara e della foglia d’oro, si deposita sullo spartito musicale, ecco che la mostra Corrispondenze resterà nella storia dell’arte, come importante testimonianza di due generazioni diverse che dialogano tra loro in una affascinante e ininterrotta ricerca che spazia tra musicalità, cromatismi e ricerca di luce.
Riccardo Guarneri, Gioni David Parra
Corrispondenze
dal 4 giugno all’10 luglio
Castello Brown, Portofino
www.museodiportofino.it