ARCO Lisboa

Come la Rivoluzione Digitale cambia l’Arte

Dal 25 marzo al 2 aprile 2023 al Cavalieri Art Hotel di St. Julian si svolge la prima edizione di MAD WEEK, la Settimana dell’Arte e del Design di Malta, a cura di Michele Citro.

Nel primo episodio di The Sandman, il celeberrimo fumetto di Neil Gaiman, il signore dei sogni si risveglia nudo e in gabbia, prigioniero di un mago che lo ha intrappolato e privato dei suoi preziosi strumenti, in cui aveva racchiuso frammenti di se stesso, e di cui si serviva per controllare, e ricreare, il suo dominio. La prima parte della storia consiste proprio nella ricerca di questi oggetti, durante la quale Sandman si procura i nemici la cui ostilità finirà, negli ultimi episodi della saga, per decretare la sua fine. Una fine che, a dire il vero, ha più che altro le sembianze di un volontario distaccarsi del protagonista dall’idea stessa di eternità. Sandman non muore vittima di quanti lo contrastano; muore perché non ha più voglia di vivere, di sottrarsi all’inevitabilità del destino: se un sogno non finisce, nessun altro può iniziare. Non a caso il primo passo verso la sua radicale rinuncia alla vita è il comprendere che gli strumenti possono essere la peggiore schiavitù. Sandman se ne accorge quando, distrutto da un avversario il suo rubino, egli si sente forte come da tempo immemorabile non si sentiva: il rubino imprigionava una parte del suo sé che, con la rottura della pietra, gli veniva restituita.

Ora, la domanda da un miliardo di dollari è: come ci sentiremmo noi qualora, per qualche strano accidente, le nostre protesi telematiche – computer, orologi, cellulari – cessassero improvvisamente di funzionare? A questo pensavo preparando il mio intervento per la prima edizione della MAD WEEK, la Settimana dell’Arte e del Design di Malta, che si svolgerà dal 25 marzo a 2 aprile 2023 presso il Cavalieri Art Hotel di St. Julian. La rassegna, ideata ed organizzata da Michele Citro in sinergia con il management del Cavalieri ed il Valletta Higher Education Institute, ha come tema “THE VIDEO GAME. Come la Rivoluzione Digitale cambia l’Arte. E Viceversa”. “Un termine, video game”, dichiara il curatore, “che, in questo caso, non definisce unicamente i sistemi interattivi videoludici (i comuni videogiochi, per intenderci), quanto, piuttosto, il più recente — dopo pittura, fotografia e cinema/televisione — mezzo di comunicazione, informazione e formazione visuale di massa, basato su tecnologie digitali. Il video-gioco, dunque, è sineddoche di tutti quei device (dispositivi elettronici) che realizzano, materializzano e diffondono il concetto di una HMI— Human-Machine Interface, in italiano Interfaccia Uomo-Macchina — Inter-Attiva diretta ed immediata,  quali computer di ultima generazione, smartphone, tablet, console videoludiche fisse e portatili di diversi tipi e con diversi gradi di immersività, visori VR, software applicativi di realtà aumentata, ma, anche, motori di ricerca, social e metaversi. La diffusione massiva di queste tecnologie ha determinato e continua incessantemente a determinare, con una gradualità sempre più accelerata, una vera e propria rivoluzione delle modalità di percezione dell’immagine o, lato sensu, delle immagini e, di conseguenza, delle modalità con cui le rielaboriamo, prefiguriamo, restituiamo, disponiamo nello spazio e nel tempo, significhiamo/giustifichiamo, ci interagiamo o le rendiamo interattive”. Che il video game, nell’accezione intesa da Michele, ci abbia cambiato, e continui a cambiarci, è indiscutibile.

Prima però di immaginare come saremmo se tutto questo scomparisse, è forse il caso di comprendere cosa siamo diventati. È appunto quanto fa, nel volume che accompagna l’iniziativa, un manipolo di intellettuali, accademici, curatori, art counselor, avvocati, artisti e designer chiamati a rifletter-si e a riflettere su e questo fenomeno importantissimo del nostro essere “nel” mondo, “con” il mondo e “per” il mondo. Già la sola lista degli interventi – a parte il mio, in cui mi limito a riferire di un’avventura di cui sono stato testimone: il metaverso dell’Acquario Romano – incute soggezione. Si comincia con Le due D da far rimare: digitalizzazione e dialogo della filosofa Adele Fraracci, cui seguono Dissolvenza versus Frammentazione di Alessandro Guerriero e Giacomo Ghidelli, Arte digitale interattiva di Giuseppe Simone Modeo, Enigmi artistici nell’era del virtuale: l’artificiale e il non fungibile di Jacek Ludwing Scarso, Incorniciamenti digitali: entrate e uscite dalle soglie dei videogiochi di Anna Bassi e Francesco Toniolo, “Non è solo un gioco”: quando il cinema si ispira al videogame di Guido Mastroianni, L’economia dell’arte nella cornice digitale di Gianluca Iaione. Il tutto introdotto da Michele Citro, che ha anche curato la selezione delle 81 opere di 29 artisti italiani e stranieri (Eleonora Alabiso, Elia Alunni Tullini, Annalisa Apicella, Katarzyna Bak, Fabio Bini, Andrea Boyer, Cinzio Cavallarin, Luigi Citarella, Peppe Cuomo, Emanuela De Franceschi, Yvonne Ekman, Leonardo Giampieri, Angelo Giordano, Valeriano Lessio, Serena Lugli, Metaleone, Fulvia Morganti, Giuseppe Palermo, Pasquale Palese, Angelo Palladino, Riccardo Pasquini, Nicola Pellegrino, Adriano Sambito, Corrado Sassi, Max Serradifalco, Fernando Spano, Domenico Striano, Silvio Zago, Qionghui Zou) che si focalizzano sulle influenze del progresso digitale sulla cosiddetta “arte tradizionale”.

Una mostra “non digitale”, ma che risente del digitale e di come quest’ultimo abbia determinato una trasformazione — conscia, ma spesso anche inconscia — del nostro modo di pensare. Se svincolato dal reale – ma non è il caso, si è detto, della mostra di Michele – il bello digitale tende pericolosamente ad appiattirsi, direbbe Byung-Chul Han, in strisciante autoerotismo. E tuttavia, in un mondo in cui il digitale si appresta a diventare, in un certo senso lo è già, lingua di tutti, le opportunità sono maggiori dei rischi. Come ha scritto di recente Baricco, “Non è il Game”, vale a dire il mondo digitale, “che deve tornare all’umanesimo. È l’umanesimo che deve colmare il ritardo e raggiungere il Game. Una restaurazione ottusa dei riti, del sapere e delle élite che colleghiamo istintivamente all’idea di umanesimo, sarebbe una perdita di tempo imperdonabile. Abbiamo invece fretta di cristallizzare un umanesimo contemporaneo, dove le orme lasciate dagli umani dietro di sé siano tradotte nella grammatica del presente e immesse nei processi che generano, ogni giorno, il Game”. La fine di Sandman per il momento può attendere. Ne riparliamo alla prossima partita (con un’intelligenza artificiale?).

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