Dopo un lungo soggiorno in questo piccolissimo paese del beneventano, Irene Macalli, artista che in più occasioni ha posto attenzione sui temi della ruralità, dello spopolamento e declino delle tradizioni popolari, propone ai pietrarojesi (in dialetto “petriani”) la realizzazione di una grande bandiera da issare nel punto più alto del paese. La scelta di un drappo bianco, attraversato da striature colorate ideate dalle donne del luogo nella fase di creazione, è in opposizione alla scelta operata dall’Italia della bandiera arancione come simbolo dei borghi italiani da valorizzare. Questo piano di promozione, che spesso comporta una degradazione del territorio costituita da forti ondate turistiche esclusivamente in pochi mesi all’anno, oltre che una riduzione della cultura a puri stereotipi, secondo l’artista non fa che rimarcare l’abbandono di alcuni luoghi piuttosto che altri. Il criterio economico seleziona cosa più essere valorizzato (nella cosiddetta “alta stagione”, poi torna tutto come prima) e ciò che puo essere ancora una volta escluso e lasciato indietro.
La bandiera di Macalli è una risposta a questa selezione. Essa è vessillo di resilienza, la cui trama colorata conserva le storie, le gioie e le lacrime di tutti quei paesi e quelle zone del mondo poste ai margini che, nonostante la programmata esclusione, continuano a modo proprio a rigenerarsi, con fatica, spesso non riuscendo a sopravvivere.
Petraroja, con i suoi 508 abitanti, è uno dei tantissimi comuni italiani che sta vivendo un logorante processo di spopolamento, oltre che di innalzamento esponenziale dell’età media della popolazione. Ciò ha comportato la chiusura di tutti i servizi – collocati ad oggi nei comuni limitrofi – che non fa altro che rimarcare l’isolamento a cui sono costretti tantissimi paesi nel cuore dell’Italia. La lunga e lenta tendenza all’abbandono (o meglio dire alla scomparsa) delle aree interne è un fallimento della società contemporanea che privilegia l’accentramento economico e culturale nelle grandi metropoli, lasciando indietro i piccoli comuni. Eppure, da sempre, questi luoghi sono cuore pulsante e linfa vitale del nostro Paese, le cui radici affondano nella tradizione contadina e popolare che si struttura su un profondo legame di scambio sinergico con la terra. Tornare nelle aree interne significa allora ripartire dal rapporto con la natura, la rinnovata costruzione di una relazione silenziosa e rispettosa con essa.
In questo senso, il progetto site specific di Irene Macalli, mettendo al centro i legami orizzontali che resistono in quelle terre – tanto tra le persone, quanto tra la collettività e il territorio – non si pone solo come progetto artistico fine a se stesso, ma decide di essere un’opportunità per rinsaldare ciò che il tempo ha logorato. Questa trasfusione di speranza in un corpo sociale abbandonato non è una dinamica che va cercata dall’esterno: la risposta è gia in seno alla storia del luogo.
Il progetto Ccà sotto ‘nun ce chiove si è configurato in un primo momento come residenza artistica per poi, dal 12 agosto al 1 settembre, diventare vera e propria officina creativa che ha coinvolto tutti gli abitanti, soprattutto donne. L’artista, soggiornando nel piccolo borgo e apprendendone le storie, gli usi e i valori locali, ha fatto sì che dal 19 al 24 agosto siano stati elaborati dei laboratori artistici aperti in cui è stata realizzata insieme l’opera site specific della bandiera.
Il giorno dell’inaugurazione essa è stata issata a sei metri di altezza sulle pendici della Civita di Petraroja, il punto più alto della località beneventana, in cui l’opera è ancora presente.
Ciò che era invisibilizzato, il borgo scomparso tra le alture del Matese, ora si è dotato di uno strumento di visibilità. La bandiera non è solo un semplice tessuto al vento, bensì è un’opera collettiva, voluta e tanto attesa, destinata ad essere storia presente e futura.