Giuditta che decapita Oloferne (1599–1600, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Palazzo Barberini)

Caravaggio 2025

Fino al 6 luglio 2025, Palazzo Barberini ospita Caravaggio 2025, una grande mostra dedicata a Michelangelo Merisi (1571–1610), curata da Francesca Cappelletti, Maria Cristina Terzaghi e Thomas Clement Salomon.

L’esposizione presenta ventiquattro opere, tra cui dipinti mai esposti e recentemente attribuiti a Caravaggio, articolate in quattro sezioni che coprono i quindici anni centrali dell’attività dell’artista (1595–1610), offrendo una lettura approfondita e coerente della sua evoluzione stilistica e iconografica. Al centro della mostra Caravaggio 2025 a Palazzo Barberini si trovano due opere di grande rilievo: il Ritratto di Maffeo Barberini (1598-1599), mai esposto prima, e l’Ecce Homo (1605–1606), riscoperto nel 2021 e per la prima volta in Italia. Il progetto curatoriale evita un approccio da “completismo museale”, scegliendo di lasciare nelle chiese romane le pale d’altare concepite da Caravaggio per i luoghi di culto, e invitando il visitatore a proseguire il percorso tra le testimonianze caravaggesche nel loro contesto originario, dove conservano intatta la loro funzione devozionale e percettiva.

Ritratto di Maffeo Barberini (1598-1599)

La mostra si distingue per il rigore filologico e la qualità dei prestiti, che consentono confronti ravvicinati tra opere chiave. Pur non mancando polemiche sull’attribuzione di alcuni dipinti, i curatori affrontano questi dibattiti con trasparenza, sia nelle schede che nel catalogo, mantenendo la coerenza scientifica del progetto. 

Va detto, però, che l’enorme successo della mostra rappresenta anche un limite alla sua fruizione: il continuo affollamento rischia di trasformare la visita in una sorta di processione; inoltre, in alcuni casi, l’illuminazione non è ideale per valorizzare la complessità chiaroscurale delle opere.

Il percorso si apre con i dipinti giovanili del primo soggiorno romano, in cui emerge fin da subito la rottura del Merisi con l’idealizzazione rinascimentale. Opere come il Bacchino malato (1595–1596, Galleria Borghese) e il Ragazzo che sbuccia la frutta Mondafrutto, (1595–1596, Collezioni di Re Carlo III) mostrano la sua capacità di elevare il quotidiano a materia poetica e spirituale.

I Bari (1596–1597, Kimbell Art Museum, Fort Worth)

La produzione di quegli anni, favorita dal mecenatismo del cardinale Francesco Maria del Monte, rivela la trasformazione dell’ordinario in dramma psicologico, dando origine a un linguaggio pittorico radicale. Nel Concerto (1597 ca., The Metropolitan Museum of Art, New York), la luce scolpisce volti e mani, catturando un istante di intensa concentrazione. Ne I Bari (1596–1597, Kimbell Art Museum, Fort Worth), la scena del gioco delle carte diventa teatro morale, dove l’illuminazione svela inganni e vulnerabilità. Ne La Buona Ventura (1596–1597, Musei Capitolini, Biblioteca Capitolina), la zingara rompe gli stereotipi, ritratta con un realismo quasi fotografico che le conferisce umanità e profondità emotiva.

La sezione “Ingagliardire gli oscuri” esplora la produzione ritrattistica di Caravaggio, della quale restano pochi esemplari. Uno dei momenti salienti è l’inedito confronto tra due versioni del Ritratto di Maffeo Barberini, entrambe provenienti da collezioni private. I dipinti testimoniano il rivoluzionario naturalismo di Caravaggio nel restituire l’individualità psicologica del soggetto, sottolineando l’importanza del ritratto nella sua ricerca artistica, che non si limitò a figure eminenti, ma si estese anche ai volti delle classi popolari, spesso utilizzati come modelli per le scene sacre.

Notevole è anche l’accostamento di tre opere accomunate dalla presenza della stessa modella, la celebre cortigiana Fillide Melandroni, nelle quali Caravaggio trasforma un volto reale in figure femminili di forte carica spirituale e drammatica. In Marta e Maria Maddalena (1598–1599 ca., Detroit Institute of Arts) racconta la conversione con una teatralità silenziosa, enfatizzata dal contrasto tra mondanità e spiritualità. Seguono la Santa Caterina d’Alessandria (1598–1599, Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid), austera e intensa, e il drammatico Giuditta che decapita Oloferne (1599–1600, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Barberini), dove il chiaroscuro amplifica la violenza e la potenza teatrale della scena.

La sezione “Dramma sacro tra Roma e Napoli” raccoglie le opere più mature, in cui Caravaggio concentra la sua attenzione sul tema sacro, con una forte tensione emotiva e un uso scenografico della luce. La Cattura di Cristo (1602, National Gallery of Ireland) è ambientata in uno spazio oscuro e ravvicinato, con una luce tagliente che isola volti e gesti, trasformando la narrazione evangelica in un dramma umano palpabile.

David con la testa di Golia (1609–1610, Galleria Borghese)

Nella stessa sala sono esposti tre capolavori in cui il realismo crudo e la luce rivelatrice intensificano la tragedia: l’Ecce Homo (1606-1607, Provenienza: Collezione di Garcia Avellaneda y Haro), con volti segnati dalla sofferenza e una composizione che impone allo spettatore di confrontarsi con la dignità di Cristo; la Flagellazione di Cristo (1607, Museo e Real Bosco di Capodimonte), che mostra il corpo nudo di Gesù in uno spazio angusto, espressione di un dolore intenso; e il David con la testa di Golia (1609–1610, Galleria Borghese), simbolo della fase estrema dell’artista, con il volto di Golia – probabilmente un autoritratto – segnato da una profonda sofferenza.

Il percorso include anche un confronto fra tre dipinti di San Giovanni Battista, realizzati in momenti diversi e che documentano l’evoluzione stilistica e formale di Caravaggio attraverso un unico soggetto. Nella versione del Nelson-Atkins Museum of Art di Kansas City (1602–1604), il santo è un giovane malinconico, immerso in un’atmosfera cupa e priva di connotazioni religiose; nella tela della Galleria Nazionale d’Arte Antica, Galleria Corsini (1604–1606), l’immagine si fa più ambigua: il gioco chiaroscurale smussa i confini tra sacro e profano, restituendo una figura umanizzata, spogliata di ieraticità pur nella presenza di simboli religiosi. Infine, nel dipinto del 1610, della Galleria Borghese, Caravaggio rappresenta un giovane pastorello, assorto in una meditazione silenziosa che diventa riflessione universale sul dolore, sulla solitudine e sulla condizione esistenziale, rivelando la piena maturità drammatica dell’artista.

La mostra si conclude con la sala dedicata agli anni della fuga e dell’esilio, in cui la pittura si fa cupa ed essenziale, riflesso di una lotta interiore che emerge con forza. Il Martirio di Sant’Orsola (1610, Collezione Intesa Sanpaolo) è il testamento pittorico di Caravaggio: privo di pathos, trasmette sgomento e silenzio. La Cena in Emmaus (1606, Pinacoteca di Brera) chiude il percorso con una luce più morbida e meditativa.

Nel complesso, il percorso espositivo restituisce un quadro complesso e approfondito della pittura di Caravaggio, rivelando un artista unico, rivoluzionario e diacronico, capace di trasformare radicalmente il linguaggio pittorico e di anticipare sensibilità moderne. La sua forza sta nel mostrare la verità concreta del reale, abbandonando l’idealizzazione rinascimentale per rappresentare l’umanità nella sua fragilità e complessità, con una sincerità e un’immediatezza mai raggiunte prima. La luce, nelle sue opere, non è un semplice elemento tecnico, ma una forza scultorea e rivelatrice che modella le figure e crea un intenso dialogo tra ciò che è visibile e ciò che rimane nascosto. Come un fotografo che sceglie con precisione angolazione e intensità chiaroscurale per fissare un istante carico di significato, Caravaggio utilizza l’illuminazione per attraversare i corpi e tocca le coscienze, trasformando ogni scena in un momento di verità palpabile. La sua capacità di “congelare” l’attimo emotivo, esaltandone la tensione narrativa e la psicologia dei personaggi, anticipa il linguaggio visivo della fotografia e del cinema. La pittura di Caravaggio diventa così una “grammatica” artistica essenziale, capace di accogliere la complessità umana senza filtri, fondendo sacro e profano, carne e spirito, dramma e compassione, in una sintesi profondamente moderna e universale.

×