Grazie a questo progetto di rigenerazione cittadina l’Urban Value by Ninetynine (società che si occupa di rendere funzionali e attivi spazi urbani in disuso organizzando eventi per il pubblico) con il patrocinio del Comune di Roma e Atac insieme con Gemar® come partner ha reso temporaneamente attiva un’area dismessa nel cuore della Capitale.
Il nome scelto per l’esposizione Let’s Fly rivela il profilo divulgativo e pop della mission. L’operazione rivolta ad un pubblico ampio e indirizzata a giovani e famiglie con bambini è ben presentata da un pannello esplicativo iniziale, mentre la descrizione delle singole installazioni può essere letta solamente attraverso l’utilizzo del QR Code. Se il titolo dell’esposizione rende bene la dimensione di svago provata dal fruitore durante la visita, è necessario invece ragionare sulla terminologia utilizzata per definire lo spazio espositivo come museo. Più Wunderkammer che istituzione impegnata nel raccogliere in modo sistematico e cronologico espressioni artistiche d’importanza storica, l’allestimento presenta le installazioni site specific come elementi quasi esclusivamente ludici. Lo scopo principale dei lavori esposti non sembra essere il raggiungimento di un equilibrio estetico, che possa mettere insieme in modo armonico suono, immagine, interattività e contenuto, ma si risolve soprattutto nella sollecitazione dello spirito infantile dello spettatore attirato dall’opportunità di mettere in campo la sua anima narcisista con selfie in risposta alle possibilità di gioco proposte dalle opere in mostra. Se Never Ending Story del duo Motorefisico, Living Forest di Katerina Blahutovà e Deposito Vittoria del collettivo Penique Productions propongono uno spazio immersivo (una dimensione in cui i riferimenti geografici sono indefiniti, realizzata con specchi e palline colorate; una foresta di funghi gonfiabili giganti tra i quali svetta un grande coniglio bianco, che ricostruisce metaforicamente l’ambientazione della favola di Alice nel paese delle meraviglie; una stanza del Deposito impacchettata alla Christo), Canopy dello studio d’arte Pneuhaus, Swings e la Balloon Street di Lux richiedono una partecipazione fisica e interattiva del visitatore. In collaborazione con la Bike Powered Events, gli artisti americani invitano il pubblico a pedalare su statiche biciclette in modo da generare l’energia necessaria per gonfiare alberi simbolici che prendendo vita si illuminano circondati da un suono crescente.
Osservare la relazione che il pubblico instaura con le altalene sormontate da palloni colorati e con i piccoli set allestiti nella Balloon Street può risultare interessante per capire le reazioni divertite degli spettatori. Attirati da divanetti colorati e da balloons di varie forme, i fruitori posano come modelli tra quadri realizzati da palloncini che raffigurano la Gioconda di Leonardo o L’urlo di Munch. Divertiti dalla possibilità di reinterpretare l’espressione angosciata del quadro dell’artista norvegese e di diventare i protagonisti principali di una scena teatrale o cinematografica amatoriale, gli osservatori sembrano non accorgersi del prezzo del biglietto tendenzialmente superiore alla media. La facilità con cui viene acquistato il titolo d’ingresso sembra stridere con la concezione democratica del luogo a dimostrazione che in fondo per mettersi in mostra e divertirsi con leggerezza si può sempre fare uno strappo alla regola. Let’s fly pone degli interrogativi importanti ai professionisti del settore invitati a ragionare sui desideri e le necessità di coloro che si recano a visitare un museo. Certo, non tutto può essere allegria e spensieratezza, ma ripensare al coinvolgimento del pubblico pare essere una chiave per rendere più attuali e attrattive esposizioni di diverso spessore. Inoltre, in quest’occasione ci si accorge di quanto l’allestimento possa incidere sulla percezione finale che si ha del lavoro artistico. Immaginare, infatti, la grande installazione rossa Knot, realizzata da Cyril Lancelin – che replica simbolicamente un nodo di maglia-, il gonfiabile ciclopico (The Goof) di Filthy Luker, il carrarmato (Tank) o il grande albero di Natale (Christmas Tree), realizzati da Lux con palloncini colorati, in un diverso contesto espositivo, più attento al format, comporta in questa situazione una riflessione necessaria relativa allo spazio che contiene l’opera, alla sua cura e alla sua progettazione.
In questo senso, appare azzeccata la scelta di porre al centro del percorso espositivo l’installazione immersiva dell’Hypercosmo del collettivo Quiet Ensamble che nella sua ideazione concentra l’anima del Balloon Museum. L’opera si presenta come un luogo onirico dove il fruitore ha la possibilità di tuffarsi in una piscina di palline che si colorano di differenti cromie a seconda della luce proiettata. Una barca simbolica staziona in questo spazio magico, capace di suscitare stupore infantile anche negli adulti. Sedie a sdraio permettono di riposare tra le note di uno spartito sonoro ipnotizzante, cadenzato da una performance visiva che chiude l’esperienza di visita. Nuotando tra le sfere, il pensiero ricorda attimi di gioia vissuti in giovane età presso l’area ricreativa di un noto marchio di arredamento. Ignorare la voce fuori campo che annuncia la fine dello spettacolo è un consiglio per vivere appieno momenti di vero relax.