Balbo Diodato a Copertino

“Under pressure”, a cura di Pietro Copani e Lorenzo Madaro, è la mostra di Balbo Diodato al Castello di Copertino, a pochi chilometri da Lecce, superbo maniero angioino, diretto dallo stesso Copani e in capo al Polo Museale della Puglia.

Nel corso dell’ultimo cinquantennio l’arte ha profondamente rivisto i suoi postulati. Primo tra tutti il ruolo dell’artista che da genio solitario, spesso incompreso, come nella migliore tradizione romantica, si è trasformato in individuo corale, in catalizzatore di personalità, fino a diventare, soprattutto negli ultimi due decenni, il divo dell’art system, discusso, ricercato e conteso. Mentre l’artista è divenuto plurimo l’arte da esperienza individuale si è trasformata in occasione d’incontro e di confronto, arte partecipata prima e relazionale poi. Tra i primi italiani a sperimentare forme di condivisione creativa vi è Baldo Diodato (Napoli, 1938), che nella registrazione calcata di eterogenee superfici ha saputo cogliere vite e storie. Per lui, ieri come oggi, l’arte è un processo collettivo, è la scelta del singolo realizzata da molti. Lo conferma la sua ultima personale, “Under pressure”, a cura di Pietro Copani e Lorenzo Madaro, allestita fino al 21 marzo nel Castello di Copertino, a pochi chilometri da Lecce, superbo maniero angioino, diretto dallo stesso Copani e in capo al Polo Museale della Puglia.

Under pressure. Baldo Diodato a Copertino

Il percorso espositivo, strutturato nelle vaste gallerie a piano terra del castello e articolato in una selezione di ventidue opere recenti dell’artista, di medie e grandi dimensioni, non poteva non partire con un omaggio al luogo: il rilievo  del suolo del ponte in muratura che precede l’ingresso castellare, realizzato da Diodato in collaborazione con gli studenti dall’Accademia di Belle Arti di Lecce e con la complicità degli abitanti di Copertino e infine donato allo stesso castello quale punto di partenza per una possibile, futura collezione di arte contemporanea.

Non un approdo ma un ritorno nel Salento per Diodato che vi mancava dal 2007, anno in cui ha preso parte alla rassegna “Intramoenia Extra Art”, a cura di Achille Bonito Oliva e Giusy Caroppo, presentando il suo lavoro nel piano nobile del Palazzo dei Principi a Muro Leccese. Da un castello a un altro, dunque, per tornare a dipanare un racconto senza volti ma imbastito dalla vita stessa. Lea Vergine, in occasione della mostra personale dell’artista alla Modern Art Agency di Lucio Amelio a Napoli nel 1966, l’ha sagacemente definito “meridionale, sfacciatamente barocco, decorativo, ornamentale”. Il Salento, con le sue chiese ricamate da una moltitudine scultorea, sembra essere il luogo ideale per le sue opere, connotate da un decorativismo autenticamente contemporaneo, non fine a se stesso ma intriso di vita, generato al tempo stesso dalla volontà dell’artista e dai molteplici atti di una comunità.

Under pressure. Baldo Diodato a Copertino

La ricerca di Diodato prende le mosse dal trasferimento a New York nel 1966 quando, guardando dalla finestra quadrata del suo studio al Greenwich Village, scopre la vita che pullula nel mondo reale e decide di portarla al centro della sua indagine artistica. Nascono così le prime performance nelle piazze, come quella in J.F.K. Square a Philadelphia, dove una tela, quadrata come la finestra, si trasforma in un palcoscenico di sculture viventi. Le sue opere si aprono alla creazione collettiva. Nascono i frottage su tela e poi, dopo l’arrivo a Roma nel 1992, i calchi, lavori ancora intrisi di estetica minimalista ma proiettati in una dimensione più umana, quasi narrativa. Il terrazzo del Museo Hermann Nitsch a Napoli o il suolo di Piazza Montecitorio a Roma con i suoi sanpietrini (sardonicamente definiti dall’artista “patroni dell’arte contemporanea”) divengono i suoi insoliti quanto originali soggetti. Una produzione portata avanti con coerenza e rigore da trent’anni, in cui lastre di alluminio o rame si trasformano in superfici sensibili attraverso cui registrare, in azioni collettive e coinvolgenti, l’impalpabile flusso vitale. Diodato valorizza le superfici cogliendone sporgenze e rientranze, solchi di un tracciato complesso ed esistenziale. Le pavimentazioni diventano la metafora delle vite trascorse, delle storie raccontate, delle vicende accadute. Un lavoro assai poetico che dietro la semplicità di un procedimento di registrazione grafica o segnica coglie la liricità della vita che scorre, delle relazioni strette, mantenute o abbandonate. La stessa consunzione delle superfici è direttamente proporzionale alla vita che su di esse si consumano. Forgiate con procedimenti plastici ma approdate ad esisti più prossimi alla superficie che al volume, le sue opere si collocano in un limbo tra pittura e scultura, in una posizione volutamente ibrida, perché a Diodato più che il risultato finale interessa il processo nato dall’idea. È in quel processo, coincidente con il passaggio, che avviene l’annotazione della storia individuale, che sommandosi con altri passaggi e ad altre storie individuali diviene racconto collettivo, enigmatico ed emblematico insieme. La superficie così ricavata si pone come testimonianza stabile di nomadismo condiviso, consegnando alla storia di tutti l’imperituro racconto di un luogo e di quanti, anche solo per un attimo, vi hanno transitato.

1Tombino acea Piazza Navona, 2005, calco su alluminio, acrilici, cm 94 x 94 x 5, Roma.

Under pressure. Baldo Diodato a Copertino
Fino al 21 marzo 2020
Piazza Castello – Castello di Copertino (Lecce)