Massimiliano Alioto, Decadence Montecitorio, olio su tela, 70x80 cm, 2021

Arte e “discriminazione”: Massimiliano Alioto

Ahimè, non sono Jackson Galaxy, musicista di notte, comportamentista per gatti di giorno. Non so come aiutare i padroncini dei cuccioli artigliati e zannuti ad educare i loro “cari” a non sporcare il canapè. Jackson Galaxy – mio figlio è un suo fan sfegatato – lui sì che ci sa fare: prendi una lettiera più grande, compra la cuccia riscaldata, sposta in soggiorno il tiragraffi. Rimedi efficacissimi. Almeno se paragonati alla tecnica crudele di mio nonno: ogni qual volta il mangiatopi non rigava dritto, lo afferrava per la collottola e sfregava delicatamente il suo musetto sulle margheritine. Roba da telefono azzurro! Se il vostro bimbo al nido subisse lo stesso trattamento, come reagireste? Pedagogia, ci vuole. Noi umani – presumo anche i felini – abbisogniamo di un continuo training emotivo. Qualora qualcuno ci metta alla porta, come minimo proviamo a scassinarla. Qualcosa del genere è accaduto di recente con l’introduzione del green pass: misura di salute pubblica a mio modo di vedere utile – sono plurivaccinato da prima dell’estate – ma la cui imposizione ha determinato l’insorgere di polemiche feroci, con tanto di dimissioni di direttori di museo e di mostre cancellate. Ne ho quindi discusso con Massimiliano Alioto, uno dei primi artisti a inscenare una protesta netta – l’annullamento di una personale – che gli ha guadagnato, oltre a una benevola menzione di Camillo Langone tra i suoi eccellenti pittori, ostracismi e risposte feroci. Il solito artista a caccia, come ha suggerito in un post al vetriolo Luca Beatrice, dei proverbiali quindici minuti di celebrità? Lungi da me schierarmi. Certo è che, prescindendo dalle difficoltà che le restrizioni impongono, specie con riferimento ai turisti stranieri, a una realtà travagliata come quella dei musei, l’“io non posso entrare” di fronte a uno spazio comune, sia esso chiesa, biblioteca o ambiente espositivo, è un concetto decisamente problematico, su cui vale la pena ragionare.

Di solito preferisco le domande a cui non c’è risposta a quelle che non si possono fare. Nel tuo caso, però, l’eccezione è dovuta. Perché hai deciso di annullare la tua ultima mostra?

La mia mostra #trappulp, in programma presso il Palazzo Ducale di Presicce il 16 agosto 2021, visto il DPCM ultimo emanato dalla Presidenza del Consiglio che prevede per l’accesso agli eventi culturali al chiuso l’uso del green pass, ho deciso di annullarla per non discriminare nessuno. 

In che senso “discriminare”?

L’obbligo di green pass per i musei non ha niente a che fare con ragioni epidemiologiche: le misure di prevenzione adottate sin dall’inizio dell’emergenza in teatri, musei e gallerie che prevedono ingressi contingentati, segnaletica a terra unidirezionale, mascherine ed altro hanno retto ovunque. Non ci sono stati focolai. Tra l’altro ricordiamo che chi si vaccina può essere contagiato e contagiare quanto e come chi non si vaccina, che il vaccino non è obbligatorio e che il tampone ha un prezzo che non tutti possono permettersi. Dunque, stando così le cose, chi ha disponibilità economiche può procedere a colpi di tampone senza esporsi alle incognite delle reazioni avverse da vaccino, chi non ha tali possibilità è costretto, se vuole partecipare alla vita sociale, ad andare incontro a un rischio. Questo per me, per la mia coscienza è discriminazione di Stato, condannata dalla Costituzione. E a chi mi ha criticato aspramente, giungendo ad augurarmi non solo la morte lavorativa ma anche quella fisica, rispondo che, annullando la mia mostra, non ho tolto nulla a nessuno se non a me il guadagno.

Il tuo gesto ha qualcosa in comune con quello del direttore della Cappella Sansevero di Napoli?

Non solo con Fabrizio Masucci, presidente e direttore del Museo Cappella Sansevero, anche con Maria Gabriella Capizzi del Museo Archimede e Leonardo di Siracusa, con la casa editrice Uno e Macro edizioni, abbiamo in comune la percezione di una repressione della cultura, la volontà di non piegarci a una scelta che percepiamo come politica e non sanitaria.

A quanti ritengono che i musei debbano educare al senso civico, tu risponderesti dunque che il loro compito, come quello dell’arte, o della scienza, o di qualsiasi forma di conoscenza riflessiva sia allontanarli dal conformismo di chi aderisce al dogma in modo acritico, senza alcuna consapevolezza delle ombre?

Esatto. Se c’è una cosa che l’arte, la cultura in genere e le scienze non devono fare è proprio aderire a dogmi politico-religiosi, devono essere sopra le parti. Il senso civico lo si matura dove c’è qualcuno che pone dubbi e riflessioni critiche. Ma la censura impone evidentemente l’annullamento di qualsiasi analisi critica.

Una delle preoccupazioni di Agamben e Cacciari, quella solitamente ignorata nelle innumerevoli repliche alle loro recenti affermazioni, è appunto questa: che il vaccino si trasformi in una sorta di simbolo politico-religioso, incoraggiando una deriva antidemocratica. 

Si Agamben e Cacciari sono stati i primi a centrare la chiave di questa deriva antidemocratica rimarcando i trascorsi storici degenerati poi con il nazismo e l’apartheid. Mi stupisce che le loro penne siano tra le poche del mondo della cultura a ribellarsi, c’è chi si è fatto comprare e chi si gira dall’altra parte. Mancano all’appello tanti critici d’arte, galleristi e artisti. Chi come me si è esposto ha subito mobbing lavorativo e sociale proprio da queste ultime categorie. Questo dimostra quanto oggi il valore dell’arte e della cultura stia sconfinando davvero in una deriva antidemocratica.

Nei tuoi ultimi lavori hai denunciato sovente il declino della nostra società: immaginando, ad esempio, i luoghi dell’arte in rovina e consumati dalle erbacce.

Decadence è una serie di quadri che parte dal lontano 2005 che non ho mai smesso di dipingere, di volta in volta, al passo con i tempi. Il primo dipinto fu Decadence shopping centre, era il 2005, prendevano piede sempre più i grandi centri commerciali che mettevano in crisi le piccole botteghe di paese; nella mia riflessione pittorica, ho distrutto questi mostri del business, facendoli divorare dalla natura. Ho continuato negli anni distruggendo il Vaticano, il museo Maxxi, la Fondazione Prada, la Camera dei Deputati e tanti altri simboli del potere globalista.

Un’altra tua serie molto forte è la collezione di busti satirici di uomini illustri. A proposito, com’è finita l’accusa di plagio che ti ha contrapposto al Maurizio nazionale?

Durante il lockdown ho realizzato una serie di dipinti dal titolo #trappulp che prendono di mira, ironizzando, un po’ come feci nella cinquantacinquesima Biennale di Venezia del 2013, la società contemporanea, così assuefatta da social network, qualunquismi, fake news e in overdose di citazioni. La realtà virtuale, dove tutto sembra possibile in un groviglio di conoscenze, utopie e paradossi, unita alla rivoluzionaria intelligenza artificiale, che spinge sempre più l’uomo a una sorta di globalismo virtuale e al distanziamento sociale, portandolo per mano verso una nuova meta nella scala evolutiva, inevitabilmente dischiudono scenari mai esplorati e ricchi di incognite. Per quanto riguarda la diffida a Cattelan, ho lasciato perdere. Mi sono reso conto che il suo è un altro mondo. Che va avanti così, tra uno scopiazzamento e l’altro, al solo scopo di sorprendere ricchi annoiati nei loro salotti di lusso, che niente hanno a che spartire con la ricerca, la passione e la cultura. Un mondo in cui io non sono certo l’unico donatore di idee. Comunque sia, in una tela della serie #trappulp ho ironizzato anche su Cattelan, tra l’altro divertendomi tantissimo. Lo ho dipinto vestito da membro della banda Bassotti con la maschera abbassata: giù la maschera.

Qual è, a tuo avviso, il limite più grande del panorama artistico attuale? È proprio vero, come si sente ripetere spesso e volentieri, che l’arte italiana sia tutta da buttare?

Abbiamo grandi artisti di tutte le fasce d’età che nulla hanno da invidiare agli artisti stranieri; manca però il supporto editoriale che è sempre rivolto ai grandi business delle solite grandi gallerie internazionali che comprano tutti gli spazi di divulgazione; manca di fatto la cronaca dell’arte, con qualche piccola eccezione. L’arte soffre della sindrome del grande centro commerciale di cui ti dicevo poco fa, per cui la piccola bottega, se solo si azzarda a offrire un prodotto di qualità, viene all’istante divorata dal mega shopping centre.

Prendi una boccata d’aria, abbiamo quasi finito. Progetti per il futuro?

Ho tantissime idee per il futuro ma la prima cosa da fare sarà mettere in scena appena possibile la mostra che ho annullato, approfitto di questa sospensione per ampliarla con nuovi dipinti ancora più critici. Per me sarà una grandissima conquista.