Le sculture di Aron Demetz sono il risultato di ricerche e sperimentazioni continue che egli porta avanti da oltre vent’anni, figlio di quella generazione più giovane di scultori, dotati di straordinario talento, ormai affermatisi sulla scena artistica internazionale. Dalla genesi scultorea classica il suo lavoro si è andato evolvendo verso forme espressive e modalità tecniche contemporanee, coniugandone motivi stilistici ed elementi linguistici di forte impatto emozionale a immancabili riferimenti a quella purezza formale e figurale dell’antico.
La mostra invita ad un coinvolgente attraversamento del suo universo creativo, centrato sulla figura umana, diretta promanazione della materia con cui è stata creata, racconto del suo incontro con il gesto dell’artista – artefice, in un dialogo costante, in una filiazione inarrestabile di pensieri, di parole che diventano forme, figure umane, scarnite, essenziali, volutamente incompiute, ferite dal contatto col mondo, dalla vita, esse stesse vita che nasce, si consuma nella sua simbolica fragilità, si rigenera. Demetz, nei boschi della Val Gardena, in ascolto del silente richiamo della natura, sceglie gli alberi in cui ritrovare le sue figure dritte, svettanti, ieratiche, solenni nella loro fissità scultorea, forse racchiuse ab inizio nel loro corpo, nel legno tenero o nodoso che si offre alla sua mano, una mano che con naturale maestria esecutiva ne svela l’anima, ne scopre l’essenza vitale che preme, si fa spazio, erompe con forza rivendicando la sua porzione di “diritto autoriale”. Il legno è materia viva ed è la materia che Demetz predilige, quella da cui ricava le sue figure umane di altezza naturale che incontrano lo sguardo dell’osservatore, irretendolo e trasportandolo in un viaggio di conoscenza e di appropriazione visiva che giustifica e motiva il vero significato di Autarkeia del titolo. Autarchia non è da intendersi come autosufficienza, ma autodisciplina rigida, autoregolamentazione delle proprie energie fisiche e mentali finalizzate verso il raggiungimento di un obiettivo, ossequio coerente e tenace alle proprie leggi interiori che conducono verso quei valori etici ed estetici che l’opera traduce, sperimentando lungo il proprio cammino un continuo di stazioni e di conquiste attraverso cui rimodulare e direzionare il proprio viaggio creativo.
“Autarkeia” è anche il titolo emblematico della imponente e affascinante installazione che occupa un’intera sala del Marca, chiara metafora del destino dell’uomo, dell’artista stesso, coinvolto in un cammino complesso, non lineare che racchiude l’ombra e la luce, la natura e l’artificio tecnico, in cui le figure umane, uomini e donne, scolpite nel legno avanzano in direzioni differenti, ignare del futuro, coscienti del passato, degli ideali classici evocati dalla loro pelle levigata in alcuni punti, mentre in altri ricoperta di lunghi filamenti di legno, in un che di selvatico che riecheggia uno status primitivo, di animalità che convive nell’umano. In tempi più recenti, Demetz ha ampliato e arricchito la sua prassi sperimentale operando, oltre che con il legno, con altri materiali quali bronzo, vetro, gesso, nella consapevolezza che ognuno di essi possieda caratteristiche peculiari uniche che ne determinano il processo operativo specifico attraverso cui egli rende visibile il suo pensiero e la sua parola diventa nell’opera discorso compiuto. In mostra, si possono ripercorrere varie fasi del suo lavoro, che ne esaltano l’indomita ricerca e l’inesauribile esigenza di sperimentazione, fino alle opere più recenti.
In “Iniziazione”, quattro adolescenti portano in processione un idolo che riproduce loro stesse in scala ridotta, in un rito di passaggio da un’età all’altra scandito dalla forza del loro sguardo vuoto e smarrito;
“Purificazione”, presenta un uomo in ginocchio, raccolto nell’intimità del proprio pensiero, in una dimensione spirituale tanto profonda da tendere al trascendente; entrambe le opere traducono la religiosità del quotidiano, della tradizione come memoria collettiva, l’idea del sacro e insieme uno scavo nella propria dimensione spirituale, nelle proprie umane inquietudini. Nell’esplorazione visiva delle opere esposte, l’occhio di chi osserva incontra “Mudra”, creatura leggiadra e altera, ne incrocia gli occhi cerulei, fissi verso quell’infinito che si condensa nel suo sguardo immoto, ed è rapito in esso, in una sorta di incantamento che si infrange giungendo alla base della scultura, laddove il residuo del tronco tradisce le sue radici e il suo essere fragile diventa ancora più etereo e intimamente umano. Altri occhi, nelle sale del MARCA, si offrono alla visione, altre figure umane cercano sguardi con cui mettersi in comunicazione, con cui instaurare un muto dialogo, figure combuste e ricoperte di salvifica resina ricavata dagli alberi, figure scarnificate, ridotte alla scheletrica struttura portante su cui ricostruire una nuova pelle , figure in cui vive la memoria del tempo e “su cui – spiega l’artista- si può costruire di nuovo e anche da un albero morto può nascere qualcosa, come per esempio i funghi. Tutto questo, in fondo, racconta la vita.”