A trent’anni dalla scomparsa di Alfred Eisenstaedt e a ottant’anni dal celebre V-J Day in Times Square, la mostra si propone non come semplice tributo, ma come un’ampia e profonda ricognizione sull’opera di un autore che ha trasformato la cronaca visiva in linguaggio universale. Attraverso oltre 170 fotografie – molte delle quali inedite al grande pubblico – il percorso espositivo restituisce la straordinaria ampiezza della sua visione, invitando a ripercorrere un intero secolo attraverso lo sguardo di chi ha saputo coglierne con rara sensibilità l’anima più autentica.
Nato nella Prussia nel 1898, Eisenstaedt si avvicina alla fotografia da giovanissimo. Dopo aver lasciato l’Europa a causa delle persecuzioni naziste, trova negli Stati Uniti il luogo dove il suo sguardo può pienamente fiorire, grazie anche alla lunga collaborazione con “Life Magazine”, di cui fu tra i primi e più celebri collaboratori. La sua carriera, lunga quasi un secolo, ha attraversato eventi cruciali della storia moderna, ma ciò che distingue il suo lavoro è la capacità di andare oltre la documentazione, per indagare con eleganza l’emozione, la gestualità, il non detto.
Alfred Eisenstaedt non cercava l’eccezionale, ma l’essenziale. Ogni suo scatto è il frutto di una visione attenta e discreta, capace di trasformare momenti ordinari in immagini cariche di intensità. Lo dimostra l’iconica fotografia del marinaio che bacia una giovane donna a Times Square il giorno della vittoria sul Giappone: non un semplice gesto, ma la condensazione visiva di un sentimento collettivo, una dichiarazione di euforia e speranza. Allo stesso modo, l’immagine dei camerieri in smoking che si protendono curiosi per osservare la pattinatrice Sonja Henie, mentre lei rimane fuori campo, rivela la sua straordinaria capacità di raccontare l’evento attraverso lo sguardo degli altri, svelando il significato profondo nascosto nei dettagli marginali.
Il percorso della mostra segue una scansione cronologica e tematica che accompagna il visitatore lungo l’intera parabola creativa del fotografo: dagli esordi nella Germania degli anni Trenta – dove ritrasse, con intensità inquieta, figure come Joseph Goebbels – ai vivaci scenari americani del dopoguerra; dalle suggestive immagini del Giappone post-nucleare alle opere più tarde degli anni Ottanta, dense di consapevolezza e sintesi formale. In ogni fase emerge una coerenza profonda: lo sguardo di Eisenstaedt resta fedele alla vita, alle sue sfumature, al dialogo silenzioso tra il fotografo e il mondo. Accanto agli eventi storici, la mostra dedica ampio spazio ai suoi ritratti, tra cui spiccano volti che hanno segnato l’immaginario del Novecento: Marlene Dietrich, Marilyn Monroe, Albert Einstein, J. Robert Oppenheimer, Sophia Loren. Ma più che celebrare il personaggio, Eisenstaedt ne indaga l’umanità. La sua fotografia non costruisce icone, ma restituisce persone: sorprese in un gesto, in uno sguardo, in una pausa che ne rivela la verità.
Due sezioni tematiche completano l’allestimento: una dedicata all’Europa pre-bellica degli anni Trenta, l’altra all’Italia del dopoguerra. Quest’ultima restituisce, con intensità e finezza, l’immagine di un Paese attraversato da profonde trasformazioni sociali e culturali, dove i gesti quotidiani, i volti, e i paesaggi in evoluzione diventano testimoni visivi di un’identità in divenire. Nelle fotografie italiane, lo sguardo di Eisenstaedt si fa al tempo stesso analitico e poetico: al rigore documentario si affiancano sfumature liriche e una sensibilità compositiva che talvolta richiama la pittura ottocentesca – come nei delicati scatti dedicati alle ballerine, che evocano l’eleganza sospesa di Degas – o si apre a suggestioni ironiche e surreali, in dialogo sottile con le avanguardie europee.
«Quando scatto una fotografia, cerco di catturare non solo l’immagine di una persona o di un evento, ma anche l’essenza di quel momento», dichiarava Eisenstaedt con la semplicità disarmante che contraddistingueva anche il suo lavoro. Ed è proprio questa ricerca dell’essenziale a rendere le sue immagini ancora oggi straordinariamente attuali: nate per la stampa periodica, pensate per la fruizione immediata, esse resistono al tempo e trovano piena legittimazione nello spazio espositivo e museale.
La mostra diventa così anche un’occasione per riflettere sul destino della fotografia contemporanea. È il segno di un cambiamento nel nostro modo di percepire l’immagine e di una rinnovata sensibilità verso ciò che la fotografia può raccontare: non solo i fatti, ma la loro risonanza emotiva e simbolica. In questo senso, la retrospettiva torinese non è soltanto un omaggio a un grande fotografo; è un invito a ripensare il rapporto tra arte e realtà, tra documento e interpretazione. Eisenstaedt ci insegna che la grande fotografia nasce quando l’obiettivo riesce a penetrare la superficie delle cose, per restituirci il mondo non com’era, ma come lo abbiamo vissuto.
