L’alluvione di Valencia in Spagna è solo l’ultima catastrofe naturale allarmante che si dispiega nella lunga lista delle alterazioni che l’uomo, nella sua continua non curanza verso l’ambiente, è stato in grado di generare. Sono sintomi che la Natura rivela sempre più frequentemente, senza soluzione di continuità, come risposta organica al nostro sguardo cieco e abietto. Altre esemplificazioni italiane tangibili in materia sono state le città allagate e i paesi spazzati via da acqua e fango nella regione dell’Emilia-Romagna, colpita negli ultimi diciotto mesi da quattro eventi climatici estremi.
L’organizzazione non governativa ambientalista e pacifista italiana Greenpeace dal 1971, data della sua fondazione a Vancouver, prova a intervenire costantemente nella sensibilizzazione dei cittadini in tema di catastrofi ambientali. E questa volta decide di dialogare attraverso la pratica artistica di Alessandro Calizza, artista romano che pone il suo lavoro, tra le diverse direzioni implicite alla sua poetica, verso un contemporaneo che tocca l’ossigeno e la possibilità di esserci e di esistere con una propulsione critica e attiva verso la società odierna. Non è stato esente, dunque, all’allineamento con la richiesta di Greenpeace.
Alla domanda “E ora chi paga?”, l’artista ha risposto con un’installazione immersiva che è stata esposta il 15 e il 16 novembre, a Piazza Vittorio Emanuele II, a Roma, in occasione del “Climate Pride”, manifestazione nazionale per la giustizia in risposta all’inerzia delle politiche internazionali, con oltre cinquanta associazioni che si sono unite in una street parade, chiedendo azioni concrete ai leader mondiali, a partire dall’abbandono delle fonti fossili.
Il nostro, ancora una volta, attraverso il suo intervento, spinge verso la consapevolezza del cambiamento. Ha utilizzato oggetti recuperati dalle zone recentemente colpite da eventi climatici estremi, come Traversara, nel ravennate, devastata dalle alluvioni di settembre 2024, e lo stato del Rio Grande do Sul, in Brasile, sconvolto dalle alluvioni di aprile e maggio 2024. Questi sono testimoni delle perdite delle comunità colpite che sono rimaste prive di ogni bene materiale e immateriale, di affetti importanti, dalla propria casa ai ricordi del proprio vissuto personale. E, come è ben noto, gli eventi climatici estremi non toccano solo l’individuo, bensì gli interi ecosistemi che vedono come conseguenza primaria l’economia locale che diviene dipoi globale.
L’artista afferma come “L’installazione E ORA CHI PAGA? vuole attivare un corto circuito che porti le persone a riflettere, con rinnovata attenzione, su temi che troppo spesso passano in secondo piano sia sui grandi media che nel nostro quotidiano. Allestiti in un tragico show room, gli oggetti recuperati si animano, parlano, raccontano la loro storia e il destino delle vite che simboleggiano. A grandi lettere puntano il dito contro governi e multinazionali, gli impuniti responsabili di tutto ciò, e ci ricordano che queste tragedie hanno un costo, ma che siamo noi a pagarlo”.
I governi tardano nel far perseguire, con rigore, le misure strette necessarie a salvarci da una crisi ambientale sempre più urgente. Se ne parla oramai da decine e decine di anni ma nessun intervento sembra essere stato determinante tanto da arrivare alle coscienze delle popolazioni che abitano con privilegio il nostro pianeta.
Il sodalizio con l’arte si ripete, questa volta con grande determinazione, portando alla luce la ricostruzione di un salotto con oggetti-simbolo del vivere routinario. Per chi ha vissuto quelle ore terribili ed è sopravvissuto, lo sguardo pullula di una carica emotivo-emozionale non indifferente nell’assorbire come un luogo di scambio di opinioni, di affezione e di dialogo quotidiano si sia trasformato in uno showroom vuoto e colmo del trauma della tragedia con i segni rimasti visibili. Per noi – che non siamo stati vittime di un accaduto così fortemente traumatico – rimane solo l’ennesimo tentativo di sollecitazione al mutare le nostre abitudini definibili, oggi, non solo più con il termine “sbagliate” ma “autodistruttive”.
Tuttavia, il processo continua a manifestarsi come inesorabile. Non è sufficiente, dunque, il protocollo adottato sino ad oggi; il nostro ecosistema è ormai danneggiato e richiede più attenzione e pensiero attivo da parte dei leader mondiali e di tutti i singoli cittadini.
Dal comunicato dell’esposizione, si riporta un estratto che mette in evidenza i dati del rapporto:
“Quanto costa all’Italia la crisi climatica? – Alluvioni e frane, dieci anni di eventi meteo estremi”. Il rapporto illustra i crescenti costi economici della crisi climatica in Italia, in particolare di alluvioni e frane che colpiscono il nostro Paese, evidenziando un quadro allarmante per il futuro. Tra i risultati principali, è emerso che dal 2013 al 2020, le Regioni italiane hanno segnalato 22,6 miliardi di danni legati a frane e alluvioni, per una media di circa 2,8 miliardi di euro di danni l’anno.
«Siamo noi a pagare il prezzo della crisi climatica, talvolta con la vita o con la perdita di persone care, di ricordi, di patrimoni culturali, di legami con la nostra casa e con le radici che ci connettono alle nostre comunità» – sottolinea Federico Spadini, campaigner Clima di Greenpeace Italia.
«A pagarne il prezzo dovrebbero invece essere i veri responsabili: i governi… che fanno di tutto per rimandare la transizione ecologica, di cui abbiamo urgente bisogno, e le grandi aziende del petrolio e del gas … che continuano ad alimentare il disastro climatico con le loro emissioni fuori controllo».
E ora chi paga?
E ORA CHI PAGA?
Alessandro Calizza
15-16 novembre 2024
Piazza Vittorio, Roma
In collaborazione con Greenpeace Italia