I periodi di residenza sono stati tre: il primo fino a dicembre 2024, poi da gennaio a marzo 2025, il terzo è previsto da aprile a settembre 2025. La storica Casa degli Artisti riconferma pertanto la destinazione originaria: un luogo con vocazione interdisciplinare e internazionale per connettere l’arte e la società. Ripercorrere la sua storia è davvero affascinante.
La Casa è nata nel 1909 per volontà di una famiglia di imprenditori del settore tessile che aveva dato un forte contributo allo sviluppo economico di Milano. I Bogani avevano ampie vedute e ne proposero la realizzazione con lo scopo specifico di poter ospitare ateliers per scenografi, fotografi, scultori, pittori. Il Comune di Milano negli anni Trenta la espropriò per poter avviare una riqualificazione del quartiere di Brera. Le attività continuarono nel secondo dopoguerra, ma solo nel 1978, grazie a una storica dell’arte, Jole De Sanna, e a due artisti, Luciano Fabro e Hidetoshi Nagasawa, l’istituzione divenne una sorta di incubatore per i giovani artisti, in buona parte provenienti dall’Accademia di Brera. Dopo un periodo di semiabbandono, dovuto al degrado strutturale, il Municipio 1 di Milano, seguendo le indicazioni della Soprintendenza, ha provveduto al restauro e oggi la Casa, riaperta nel 2020, è affidata ad un’Associazione Temporanea di Scopo composta da cinque realtà no profit: ZONA K, That’s Contemporary, Atelier Spazio XPO’, NIC Nuove Imprese Culturali e Centro Itard Lombardia, Future Fond, partner esterno. In occasione dell’Open House Research Approach, la Casa è aperta al pubblico per far conoscere alcuni dei progetti di AAA Atelier Aperti per Artista. In questa circostanza, presentano il loro lavoro: Mariangela Bombardieri, Sacha Turchi, Sei Iturriaga Sauco, Andrea Amadei, Nicola Di Giorgio, Olivia Vighi, Manuel Contreras Vázquez.
Attraversare gli spazi occupati dalle installazioni, dai video, da documenti, da dipinti di grandi dimensioni, ma anche popolati da suoni, è un’esperienza sensoriale che alimenta nello spettatore un senso di meraviglia. Si tratta di progetti estremamente diversi tra loro. Mariangela Bombardieri presenta AURIS, mine-antiuomo/reliquiario, e SPĪRITŬS, un dispositivo capace di conservare il respiro di un essere vivente corredati da video e disegni di grande suggestione. Sacha Turchi ha affrontato con “Muta” il tema dell’identità soffocata: diverse tipologie di imbracature scultoree, cucite a mano in fibra d’ortica, stanno accanto ad una muta che sembra una sorta di crisalide, un calco del corpo stesso dell’artista. Nello spazio occupato da Sacha, luci, profumi e suoni si fondono in un intreccio tra passato e presente. Completamente diverso il mondo di Andrea Amadei, un artista filosofo. Andrea si è chiesto che cosa ne è dell’umano nell’era digitale. La sua ricerca vuole indagare profondamente l’ontologia dell’essere quasi nel tentativo di voler scavare ogni tipo di codificazione per individuare ciò che resta dell’umano. E, incredibilmente, il risultato, le immagini ottenute, sembrano apparentarsi con i prodotti più raffinati del linguaggio del segno, ci portano al grafismo dei futuristi, agli intrecci di Dorazio, al dripping di Pollock. Sei Iturriaga Sauco ha realizzato videosaggi transmediali in collaborazione con Eduardo Bello, un creatore visivo. The Cry of Sirens, installazione phygital, realizzata in collaborazione con la scultrice Monika Grycko, affronta il tema della relazione tra uomo e natura in cui la componente musicale ha un ruolo importante. La residenza di Olivia Vighi le ha permesso di lavorare sul tema del polittico, realizzando grandi tele in cui il colore si stratifica, si cancella, si smargina, affrontando il tema del diagramma di forze che sottendono ogni rappresentazione. Manuel Contreras Vasquez, musicista/performer ha realizzato un lavoro articolato in più direzioni incentrati sia sull’approccio cartografico che sulla realizzazione di un progetto di liuteria straordinariamente innovativo che ha portato alla realizzazione di un grande strumento aerofono. Nicola Di Giorgio con “Le frasi non finiscono mai” ha affrontato l’idea di “opera aperta” teorizzata da Umberto Eco. Le cartoline, i ritagli, le scatole di archiviazione sono finalizzate ad esplorare mondi inattesi.
Un fitto public program accompagna l’Hopen House che il 31 marzo culminerà con un incontro incentrato sul tema della ricerca intesa come pratica-azione che si genera e si rinnova nel gesto stesso dell’indagare.





