Il progetto 0;0 mira a creare uno spazio diffuso ed interdipendente fatto di più luoghi, dai quali vengono recapitati stimoli meccanici frutto del movimento delle persone nello spazio, traducibili in una scenografia di luce, fumo e suoni all’interno dell’ambiente espositivo. L’opera è una mappatura umana del movimento – di cui tiene memoria – ed è un riflesso istantaneo dello stesso attraverso una sequenza spazio-tempo da cui prende vita un’architettura immateriale e metafisica, immersa in un spazio limitato fisicamente ma concettualmente dedito alla sperimentazione e privo di confini.
Il curatore Davide Silvioli in questa intervista chiarirà alcuni degli aspetti di questo ramificato progetto, che tocca numerose note del campo artistico, espositivo ed umano.
Arianna Gabrielli: Sebbene la dominante architettonica e spaziale del progetto, esso si caratterizza invero per uno spesso sostrato estetico e mentale. Lo definisci “come un sistema nervoso diffuso e condiviso”, suggerendo appunto un’analogia tra la struttura meccanica dell’opera e la rete di neuroni della mente umana che ugualmente registrano e riportano i dati dell’essere. L’impronta umana – sia essa fisica che mentale – a quanti livelli si riflette sulla natura del progetto?
Davide Silvioli: Paragonare il lavoro concepito dall’artista in questa circostanza a una sorta di sistema nervoso equivale, così come te hai riconosciuto, a coglierne un’analogia sia nella morfologia ramificata dell’opera che nelle sue funzioni, sia circa la trasmissione di informazioni che la loro memorizzazione. Nella formulazione di questa espressione risulta chiaro il debito nei confronti di McLuhan, il quale apostrofò la comunicazione telematica come una “estensione del nostro sistema nervoso centrale”. Difatti, il lavoro in questione, proprio come un sistema nervoso, stabilisce connessione fra zone dislocate, trasmettendo segnali da una parte all’altra. Questa considerazione, dunque, risponde alla proprietà dell’operazione della Paltrinieri di porre reciprocità fra luoghi differiti nello spazio e nel tempo. In termini fisici il fattore umano riveste un ruolo fondamentale, poiché sono le persone, con il loro passaggio, ad azionare l’automatismo che parte dal sensore specifico per concludersi con l’emissione del fumo nel rispettivo lucernario. Secondo una lettura più teorica, l’elemento umano rappresenta la variabile che, esclusa dal controllo della stessa artista, consente all’opera di esprimere, con la pertinenza dovuta, il senso d’impermanenza tipico del passaggio e del transito, quindi quanto di più effimero si possa concepire.
AG: Il binomio materialità ed immaterialità è un’altra componente importante dell’opera. Che legame intercorre tra la luce, il fumo ed il suono e qual è la loro potenzialità a livello artistico e concettuale?
DS: Nonostante, a primo impatto, la presenza dell’apparato tecnico, appositamente mantenuto visibile e modulato su scala architettonica, possa risultare prevalente, questo costituisce la controparte materiale necessaria per la manifestazione dell’immateriale. Tale binomio, nella fattispecie, si risolve secondo un rapporto di complementarietà. Laddove la struttura espositiva, l’articolazione dell’installazione e le componenti meccaniche impiegate identificano il supporto hardwere del lavoro, l’imprevedibilità del passaggio delle persone e il conseguente cambiamento dell’atmosfera dentro lo spazio espositivo ne rappresentano la parte softwere. Pertanto, la complessità a fondamento di questo intervento, che pone interoperabilità fra dinamiche intangibili e involontarie, diventa percepibile, in mostra, solo grazie alla sinergia fra le funzioni che le apparecchiature utilizzate sono necessariamente chiamate a esercitare e la percentuale di arbitrarietà che sovrintende la frequenza delle presenze captate dai sensori. La volontà di rispecchiare tale indeterminazione motiva la rete di correlazioni fra le sostanze e gli stimoli impalpabili che ultimano l’opera, quali la luce ambientale all’interno di Sottofondo che muta in risposta alla regolarità con cui il fumo viene emesso nei lucernari, causando il suono delle macchine adoperate che segnalano lo svolgersi di questo sistema di corrispondenze.
AG: Con questo progetto lo spazio espositivo vive in e di più luoghi, diventa uno spazio diffuso in cui riceve segnali di input dall’esterno e ne rilascia di propri. Questo accento sulla sua natura condivisa sembra quasi un voler riappropriarsi di tutti quei segnali di presenza di cui è stato lungamente privato o limitato negli ultimi anni a causa degli effetti della pandemia, ed anche questo essenziale dipendere delle coordinate “Spazio” e “Tempo” l’una dall’altra per la riuscita del progetto sembra suggerire questa direzione. Fino a che punto credi che il progetto sia stato o non stato influenzato dalle dinamiche degli ultimi tempi?
DS: Indubbiamente, ogni opera d’arte è foriera dei caratteri culturali del proprio tempo, che, come un corredo genetico, ne permeano la genesi. La permeabilità che nel progetto 0;0 destituisce la rigidità con cui usualmente si interpretano le dimensioni dello spazio e del tempo, anziché provenire dalle ripercussioni sociali collegate alla gestione della pandemia, è da ricondursi alla sensibilità che la ricerca della Paltrinieri riserva nei confronti di problematiche disciplinari di effettiva attualità, di dominio tanto della scienza quanto della filosofia. Per esempio, nel primo caso, si fa appello alla teoria della relatività generale, che decreta quanto spazio e tempo sono indissolubilmente concatenati fra loro, e a quella dei sistemi complessi, mirata ad studiare la propagazione non lineare degli eventi. Nel secondo caso, il lavoro rinvia al problema del contingentismo, secondo cui in una relazione di causa-effetto non vi è un legame di necessità assoluta, e al principio di surdeterminazione, che argomenta come un singolo fenomeno sia sempre l’esito del concorso di una pluralità accadimenti disallineati. Ebbene, nel modo subliminale solito all’arte di ricerca, 0;0 restituisce secondo tali accenti concettuali un ritratto della contemporaneità.
AG: Gli spazi espositivi sono tradizionalmente luogo di memorie storiche, artistiche ed archeologiche, ma con questo solo show il luogo della mostra diventa principalmente luogo di sperimentazione della memoria antropologica, del vivere del pubblico attraverso lo spazio fisico e mentale di questo artist-run space. Come credi che si stiano evolvendo gli spazi espositivi attualmente – in particolar modo gli spazi indipendenti – e che peso viene dato alla materia umana accanto a quella artistica in questi luoghi?
DS: A partire da dall’esperienza di 0;0 è oggettivo constatare che questa installazione, così concepita e così allestita, si sarebbe potuta realizzare solamente a Sottofondo studio. Ciò, innanzitutto, poiché si tratta di un lavoro davvero site-specific, ossia concretamente e strettamente configurato sull’identità strutturale del sito ospitante, tale da renderne impraticabile altrove una replica esatta, arrivando a riscattare, infine, questo termine dalla vaghezza affibbiatagli da una comunicazione dell’arte spesso imprecisa sul piano critico. In secondo luogo, si riscontra che l’operazione dell’artista, letteralmente diluita nelle connotazioni edilizie della location, innervandole fino a divenirne prima protesi e poi esoscheletro, ha previsto un’invasività sull’architettura che in un museo ministeriale, in una sede vincolata o in una galleria tradizionale sarebbe stata limitante se non addirittura proibitiva. Pertanto, gli artist-run space o le realtà cosiddette “indipendenti” avranno, nella progressione della ricerca artistica contemporanea, un peso qualitativamente tanto maggiore quanto saranno in grado di sopperire, con la competenza richiesta, alle inevitabili mancanze del sistema dell’arte istituzionale.
AG: Quali potrebbero essere le potenzialità future di un progetto di questa portata che vede l’interconnessione di spazio e tempo, umano e meccanico, fisico e metafisico?
DS: Nel merito dell’evoluzione della sperimentazione dell’artista, 0;0 rappresenta il principio di un proprio indirizzo di ricerca, che, tuttavia, richiede altri momenti di verifica, al fine di potersi realmente definire come linguaggio. A tal proposito, l’interconnessione citata in sede di domanda appare perfettamente idonea a sondare le particolarità di una speculazione che non soffre, né tecnicamente né tematicamente, la separazione delle categorie. L’intervento qui intrapreso lavora mediante lo spazio sullo spazio stesso, dà voce all’eventualità dell’effimero tramite la necessità del macchinario, crea aderenza fra il tangibile e l’impalpabile, individuando punti di contatto fra concetti convenzionalmente ritenuti in antitesi. Dunque, le prerogative che collocano l’installazione presentata a Sottofondo Studio all’interno del raggio d’azione della critica d’arte contemporanea e di quello della ricerca nel campo delle arti visive, è relativo a una questione d’approccio. Alice Paltrinieri, infatti, persevera un modus operandi espressamente interdisciplinare, in grado di intercettare alcuni degli aspetti più futuribili, tuttora sotto osservazione, della pratica artistica odierna. Fra i più interessanti da lei perseguiti, si annoverano il valore determinante dell’architettura sulla conformazione finale dell’opera, la concezione di un intervento artistico unico e diffuso insieme, il fatto di lavorare – simultaneamente – su ambiente interno ed esterno, la capacità di far convivere materiali, sostanze e dispositivi tecnici dissimili nel perimetro di una medesima operazione, l’adozione di un metodo allografico, delegando la definizione dell’opera a fattori altri, che prescindono dal suo stesso controllo. D’altronde, solo quando il risultato di un procedimento disattende quanto prescritto dall’applicazione del procedimento stesso si è di fronte a una scoperta e si hanno le condizioni per avviare davvero una nuova ricerca. 0;0 si muove verso questa direzione.