Il ritratto ha un potere segreto, è l’atto di riportare qualcosa alla memoria, forse soltanto il silenzio di qualcuno. Oggi, però, ogni istante sembra destinato a scomparire nell’oblio digitale, ci aggrappiamo freneticamente all’immagine di noi stessi, cercando di affermare la nostra esistenza in un mare di transitorietà.
Può un volto dipinto o fotografato racchiudere l’essenza immortale dell’essere umano? Non è forse il ritratto un varco tra mondi, una conversazione silenziosa tra l’anima dell’artista e quella del soggetto, che travalica il tempo e lo spazio, rendendo eterna la loro connessione?
Queste questioni possono trovare risposta visitando la mostra Vis-à-vis, Ritratti moderni e contemporanei dove dialogano le opere degli autori settecenteschi Pier Leone Ghezzi, Sebastiano Ceccarini, Carlo Magini con 25artisti contemporanei: Evgeny Antufiev, Eduardo Arroyo, Matthew Attard, Luigi Bartolini, Joseph Beuys, Marco Cingolani, Michelangelo Consani, Fabrizio Cotognini, Enzo Cucchi, Thomas De Falco, Antony Gormley, Maggi Hambling, Diango Hernández, Leiko Ikemura, Jiri Kolar, Carlo Maratta, Mark Manders, Annette Messager, Fulvio Morella, Roman Opalka, Laura Paoletti, Vettor Pisani, David Reimondo, Klaus Rinke, Kiki Smith, insieme agli autori del ‘900 fra cui Nanda Vigo, Osvaldo Licini, Aligi Sassu.
«C’è talvolta, nel volto e nel contegno d’un uomo, un’espressione così immediata, si direbbe quasi un’effusione dell’animo interno, che, in una folla di spettatori, il giudizio sopra quell’animo sarà un solo», scrive Alessandro Manzoni ne I promessi sposi, un romanzo che possiamo definire di “corpi comunicanti”: uomini e donne che si incontrano e si scontrano continuamente “a viso a viso”, scrive Manzoni, o a Vis-à-vis, come il titolo della mostra che ci illustra come i corpi si muovono, gesticolano, si osservano reciprocamente e interagiscono, in un confronto silenzioso tra identità umane, subendo una metamorfosi straordinaria attraverso i secoli, rispecchiando le evoluzioni culturali, filosofiche e tecniche della società.
«Immersi in cambiamenti costanti e ubiqui, a volte è difficile alzare lo sguardo e rintracciare nel volto di uno sconosciuto il carattere, la cultura, la storia di un individuo o addirittura di una comunità. Negli ultimi decenni artisti e studiosi si sono interrogati sull’identità e la logica delle immagini, sulle modalità dell’atto iconico, sulla complessità delle relazioni che si innescano tra opere e visitatori in svariati contesti tra cui anche quello museale. L’allestimento di questa mostra è esso stesso un ritratto di ciò che si espone e di come lo si presenta al visitatore. L’arte contemporanea s’innerva nelle collezioni permanenti in dialogo con la ritrattistica settecentesca nell’intento di promuovere un’occasione di lettura inedita. Il cortocircuito che si è generato coinvolge l’intero Palazzo, dalle sale delle mostre temporanee alla Pinacoteca d’Arte Antica e Moderna, fino al Museo della Carrozza. Ogni sezione fa storia a sé, approfondendo da più angolazioni la caleidoscopica visione del volto, facendo emergere il rapporto che intercorre fra le pratiche del ritratto e la rivelazione dell’identità di un singolo individuo o di una comunità.», racconta la curatrice Giuliana Pascucci, che mi ha generosamente accompagnata in questo viaggio tra le sale di Palazzo Buonaccorsi.
Il ritratto
Secondo Umberto Eco dipingere un volto sembra affine alla costruzione di una frase, è difficile sottrarsi all’idea che un ritratto sia pur sempre un soggetto a cui si aggiungono dei predicati, una sostanza a cui si aggiungono accidenti.
Due sono i modi di concepire il ritratto: la storia e il romanzo. Il primo rende con fedeltà, con rigore, il contorno e il modellato del soggetto, senza che questo escluda l’idealizzazione, la quale può consistere per i naturalisti illuminati nello scegliere l’atteggiamento più caratteristico, quello che esprime più compiutamente le abitudini interiori e in aggiunta sa dare a ogni particolare importante un’enfasi conveniente, mettendo in luce tutto ciò che in natura è rilevato, risentito e primario. L’altro metodo tende a fare del ritratto un quadro, un poema con ogni suo elemento. Qui l’arte è più difficile in quanto più ambiziosa. Si deve saper distendere intorno a una testa i morbidi vapori di una calda atmosfera, o farla emergere dalla profondità di un crepuscolo.
Il ritratto, come forma d’arte, ha subito un’evoluzione significativa dal 1700 a oggi, riflettendo cambiamenti culturali, filosofici e antropologici. Ogni periodo storico lo ha interpretato in modi che rispecchiano le priorità e i valori della società dell’epoca.
“L’invenzione della libertà”, nel ‘700, è preparata dal vasto movimento dell’Illuminismo e in Italia, per la sua tradizione classica, per l’autorità esercitata dalla Chiesa, per la struttura tradizionale della società, le resistenze sono più forti e le nuove idee sull’arte sono costrette a farsi strada attraverso le vecchie. A Roma domina l’Accademia e in questa fase storica il ritratto è prevalentemente un mezzo per affermare il prestigio sociale e la posizione economica dell’individuo raffigurato. Diventa comune per la nobiltà e la borghesia emergente commissionare ritratti per immortalare se stessi e le proprie famiglie. Artisti come Thomas Gainsborough e Sir Joshua Reynolds in Inghilterra, Jean-Baptiste-Siméon Chardin in Francia e Anton Raphael Mengs in Germania sono noti per la loro abilità nel catturare non solo l’aspetto fisico ma anche la personalità e lo status sociale dei loro soggetti.
Nell’era contemporanea, il ritratto continua a evolversi, influenzato dalle tecnologie digitali e dai cambiamenti sociali; l’avvento dei social media l’ha democratizzato, permettendo a chiunque di creare e condividere autoritratti (selfie), e ridefinendo il concetto di identità e di rappresentazione. Anche la realtà virtuale e l’intelligenza artificiale stanno aprendo nuove frontiere, permettendo la creazione di ritratti interattivi e immersivi che sfidano le nozioni tradizionali di soggetto e spettatore.
Antropologicamente, il ritratto costituisce un archivio visivo delle diversità umane, documentando le differenze e le somiglianze tra le culture, acquisendo il potere di umanizzare elementi lontani nel tempo e nello spazio, creando un ponte tra il passato e il presente.
Tutto questo possiamo rintracciarlo addentrandoci nel Percorso espositivo di Vis-à-vis, Ritratti moderni e contemporanei…
Il piano 0 ospita il “faccia a faccia” tra la ricerca dell’identità umana e l’approfondimento sulla ritrattistica di Pier Leone Ghezzi (1674-1755), che osserva le regole del gioco accademico nella pittura “da chiesa”; ne esce con i quadri di costume, gli affreschi nella villa Falconieri a Frascati e, soprattutto, con le caricature. La caricatura di Ghezzi non è fisionomica né moralista né satirica. Si potrebbe definire epigrammatica perché condensa in pochi tratti ciò che fa riconoscere, tra le tante, una data persona: il naso lungo, il mento sfuggente, il modo di camminare. Con lui entra nell’arte italiana l’arguzia, la qualità che gli illuministi inglesi chiamano wit. L’arguzia non è umorismo, tratto di spirito, battuta, è l’operazione della “mente attiva” che afferra, associa e sintetizza fatti e caratteri anche molto diversi e lontani.
I suoi Autoritratti, tra cui l’Autocaricatura “di me medesimo”, si riflettono sull’autoritratto Opalka 1965/1 – ∞, dell’artista franco-polacco Roman Opalka, che racconta: «Tutto il mio lavoro è fatto solo per descrivere e contare l’inesorabile flusso del tempo, dal primo momento a un momento infinitamente futuro. Ciò che mi devasta è la nostra piccolezza: se esistiamo in un istante, il momento dopo potremmo non essere più nulla.»
Anche Mark Manders tenta di mappare la propria individualità mediante oggetti econ Isolated Bathroom / Composition with Four Colors, prestito della collezione Maramotti, realizza in 4 anni una scenografia a cui si può pensare come un dipinto tridimensionale, dove introduce una figura che rappresenta l’idea di fragilità, che sembra fatta di creta umida, creando una tensione tra serenità e violenza: non ha gli arti ed è brutalmente attraversata da un pezzo di legno, abbandonata in una stanza da bagno, un momento congelato come il riflesso del pensiero di una persona.
Altri “incontri” sono rappresentati dalle opere di due artisti marchigiani di successo a Roma: l’Autoritratto di Carlo Maratta (Camerano 1625 – Roma 1713) e l’omaggio a Van Gogh di Enzo Cucchi le cui creazioni spesso riflettono un mondo onirico e surreale, esplorando temi come la condizione umana, l’irrazionalità e il simbolismo. Prende parte del movimento della Transavanguardia, insieme ad altri artisti come Sandro Chia, Francesco Clemente e Mimmo Paladino, contribuendo a rinnovare l’arte figurativa, opponendosi alle tendenze minimaliste e concettuali degli anni ’70 e ’80. Il suo lavoro è caratterizzato da un profondo senso di narrazione visiva e da una connessione emotiva e culturale che risuona con il pubblico.
Tra le sale mostre temporanee troviamo anche le opere di Eduardo Arroyo, Anthony Gormley, Jiri Kolar, Annette Messager, Laura Paoletti e Klaus Rinke.
Al piano 1, nelle sale della collezione d’arte antica, si propone il ri-conoscimento di sé e dell’altro attraverso l’incrocio di sguardi tra il pittore fanese Sebastiano Ceccarini e gli artisti Evgeny Antufiev, Fabrizio Cotognini, Leiko Ikemura, David Reimondo e Kiki Smith.
Sebastiano Ceccarini, (Fano, 1703 – 1783), si fa notare, sin da giovane, per le sue doti artistiche. A Roma assume uno stile derivato dalla gentilezza espressiva dei grandi pittori classicisti come Guido Reni, Carlo Maratta e il Domenichino. Protetto da papa Clemente IX, lavora assiduamente in collaborazione con i conterranei Giuseppe Ghezzi e Pier Leone Ghezzi in importanti commissioni ecclesiastiche. Diventerà un grande ritrattista in grado di rivaleggiare con i più stimati pittori del suo tempo. Proviene da una famiglia di orafi e gioiellieri, che ha sicuramente influenzato e arricchito la sua formazione artistica. L’arte orafa delle Marche, specialmente a Fano, è nota per la sua eleganza e precisione, e Ceccarini ha probabilmente integrato queste influenze nella sua pratica creativa più ampia, arricchendo la sua capacità di lavorare con dettagli complessi e forme eleganti, qualità che si riflettono nella sua pittura.
Immerse nell’aura eloquente dei ritratti femminili di Sebastiano Ceccarini, prendono vita le video-installazioni di David Reimondo, che, in modo assertivo, narrano come quelle barriere invisibili costruite dall’incomunicabilità contemporanea separano le persone. Questo artista genovese, che vive a Milano, dichiara: «Il mio lavoro si concentra sull’individuo, recuperando l’intima soggettività che può anche diventare contributo alla collettività. Creo teorie immaginarie che traduco in linguaggio attraverso diversi media.»
In un’altra stanza, la magia placida e sottile della luce mattutina crea un ponte tra la tenerezza, la purezza e la grazia infantile della Madonna con il Bambino di Carlo Crivelli e l’opera di Leiko Ikemura, Light Face, una testa reclinata in vetro i cui dettagli sottili tracciano un armonioso equilibrio tra l’umano e il divino presente nella stanza.
La ricerca sulla ritrattistica continua con Fabrizio Cotognini, un artista di Civitanova Marche, nato a Macerata nel 1983, il cui lavoro si distingue per un’affascinante esplorazione del tempo e della memoria, fondendo passato e presente, creando opere che dialogano con la storia dell’arte tramite un linguaggio visivo meticoloso. Utilizzando un processo di decostruzione e ricostruzione, l’artista invita lo spettatore a riflettere sulla fragilità e la transitorietà della condizione umana.
Con la sua mostra di ritratti più piccola del mondo, Attempt to create the smallest painting exhibition in the world, distribuisce, come in una performance teatrale, delle miniature di ritratti minuziosamente parafrasate dal suo “nuovo gesto”. Anche lui, come Sebastiano Ceccarini, durante la sua formazione, ha studiato l’arte orafa rendendo quest’attenzione ai dettagli un suo modus operandi. In questo caso lo spazio museale è protagonista attivo, dove si abbattano tutti i limiti percepiti; ci invita a farlo il cane in bronzo al centro, seduto, vigile, che guarda “oltre”, in attesa, mentre custodisce tra le zampe un teschio, l’autoritratto dell’artista, segno ricorrente nelle sue opere.
Al piano 2, tra le collezioni civiche del ‘900 maceratese, si attivano i dialoghi tra Matthew Attard, Luigi Bartolini, Marco Cingolani, Maggi Hambling, Diango Hernandez e Carlo Magini (1720-1806), nipote di Sebastiano Ceccarini, pittore fanese noto per la sua zelante attenzione ai dettagli delle scene che ritraggono la vita quotidiana, le pietanze, gli oggetti d’uso comune e per le sue buone attitudini come “pittore di figure”.
Tra le sue opere approdano gli “spazi” dipinti da Marco Cingolani, nato a Como nel 1961, che con Conferenza Stampa cattura l’attenzione dello spettatore raffigurando un momento d’intensa interazione tra oratori e pubblico, mediata da microfoni, telecamere e registratori. L’autore invita lo spettatore a riflettere sulla natura della comunicazione moderna e sul ruolo dei media nella costruzione della realtà, esplorando le dinamiche di potere insite nei processi comunicativi, evidenziando come l’informazione sia spesso filtrata e manipolata. La sua opera mette in luce la difficoltà di discernere la verità in un’epoca caratterizzata dall’iperinformazione e dalla proliferazione di narrazioni contrastanti mentre Maria Lauri Fittili, con in mano un libro, ritratta da Carlo Magini, sembra guardare divertita quel caos.
«I disegni selezionati di seguito sono il risultato di un’esplorazione in cui ho tentato di disegnare il mio autoritratto con la tecnologia di eye-tracking. Per questi progetti specifici, ho indossato il visore monoculare di eye-tracking Pupil Core, mentre disegnavo me stesso guardando uno specchio.», racconta Matthew Attard, artista maltese la cui pratica si distingue per la fusione sofisticata di media e tecniche, che spaziano dal disegno alla scultura, dall’installazione all’arte digitale. Self-portrait with an eye-tracker èun loop video digitale con eye-tracking, che si moltiplica riflettendosi sulla Piramide di specchi di Nanda Vigo (1936-2020), la “maestra di luce”, capace di unire l’arte, l’architettura e il design, esplorando la connessione tra lo spazio e il tempo proprio attraverso la luce. Un’architetta degli anni ’60 che è riuscita a emergere nel suo settore, nonostante i pregiudizi di genere di quell’epoca.
Al piano -1, che accoglie il Museo della Carrozza, Fulvio Morella, con il suo Autoritratto per persone non vedenti rivela come “con le mani non solo fai, ma conosci il Mondo”. Secondo lui mediante l’arte si possono superare i limiti definiti da una parziale conoscenza della realtà. La sua formazione in ingegneria meccanica, unita a una profonda passione per l’arte e il design, ha dato vita a un approccio unico che sfida le convenzioni, esplorando nuove frontiere espressive.
In una nicchia, tra le carrozze ottocentesche, emerge il neon della scultura Hermes, di Vettor Pisani, (1934-2011), artista italiano noto per il suo contributo fondamentale all’arte concettuale e all’avanguardia, figlio di un ufficiale di Marina e di una ballerina di strip-tease. La sua opera è caratterizzata da una complessità concettuale e da un uso sofisticato dell’ironia e del simbolismo, densa di riferimenti che spaziano dalla mitologia classica alla storia dell’arte, dalla filosofia alla psicoanalisi. Pisani è particolarmente interessato a decostruire le narrazioni dominanti e a identificare le contraddizioni intrinseche della realtà sociale e culturale. Nota è la sua performance dal titolo Il coniglio non ama Joseph Beuys, ovvero La Natura non ama l’Uomo, del 1975, presso la Galleria Sperone di Roma, che dedica all’artista tedesco, anche lui esposto con la Pala nelle sale del museo della carrozza.
In lontananza emerge uno scorcio di assonanze di colori, è l’opera di Thomas De Falco che sceglie di intrecciare fili per celare qualcosa di privato, la complessità e il dolore della vita. Lui è un artista italo-francese, conosciuto per le sue installazioni tessili realizzate con la tecnica del wrapping. Crea arazzi ispirati all’antica arte della tessitura con telaio verticale. La sua tecnica deriva da una ricerca che parte dalla pittura del ‘500 e del ‘700 per raggiungere Marx Ernest, da cui proviene lo studio del colore rosso.
Nel corridoio, a terra, a interrompere il passaggio, c’è l’opera L’estate del 1564 fu straordinariamente lunga e fresca: senza precedenti, una narrazione visiva che ci racconta come il vincolo tra umani e animali sia complesso come quello tra individui. L’artista è Michelangelo Consani, nato a Livorno nel 1971, che si distingue per la sua capacità di intrecciare narrazioni storiche, utopiche e quotidiane.
È evidente che con Vis-à-vis i Musei Civici Palazzo Buonaccorsi intendono proporre una mostra che rinnovi la tradizionale modalità espositiva, offrendo al contempo la possibilità di far conoscere il proprio patrimonio fuori dalle Marche e di portare nelle Marche lo sguardo contemporaneo di collezionisti, istituzioni, artisti, stampa nazionale e internazionale. In questa prospettiva si inserisce anche il ricco programma di interventi e di relazioni con le istituzioni del territorio promosso in concomitanza con la mostra.
Buonaccorsi Rings Up nasce dalla collaborazione con la Pinacoteca Civica Marco Moretti di Civitanova Alta e la collezione del Novecento di Palazzo Ricci a Macerata. Il titolo ricorda il semplice gesto di suonare il campanello di casa, che preannuncia l’incontro, la manifestazione del desiderio umano di relazione e di riconoscimento.
Rilevante sarà anche la collaborazione con l’Università e l’Accademia di Belle Arti di Macerata per la realizzazione di una serie di eventi autunnali che promettono di arricchire e ampliare l’esperienza del museo. Questo progetto mira a favorire un’intesa vivace e stimolante tra il patrimonio artistico esposto e le riflessioni accademiche e critiche. Saranno previste, inoltre, passeggiate guidate e momenti immersivi che offriranno ai partecipanti l’opportunità di esplorare le collezioni rendendone visibile la ricchezza e permettendone una comprensione più profonda e contestualizzata.
Il museo come “spazio critico”
La mostra si è realizzata grazie alla visione e alla sinergia che si sono create tra i curatori Elsa Barbieri, Massimo Francucci e Giuliana Pascucci, sapendo orchestrare un dialogo avvincente tra le opere dei grandi maestri del passato e le creazioni di artisti contemporanei d’importanza nazionale e internazionale. Questo pone i Musei Civici palazzo Buonaccorsi in una prospettiva di apertura verso nuove forme di innovazione e di contaminazione.
Guardando le grandi realtà del MoMa, del Guggenheim, del Tate comprendiamo che il museo del presente non costituisce più esclusivamente lo spazio della conservazione, dell’accumulo e dell’esposizione, ma ha la necessità di accogliere un’arte rinnovata e contestualizzata all’attualità, di diventare uno “spazio critico”, di confrontarsi con il vivente e i mutamenti costanti di una società in continua evoluzione, con il vissuto, con il progresso politico, culturale e sociale di una comunità sempre più di massa, allo scopo di rendere partecipe il pubblico dei distopici aspetti della realtà contemporanea, stimolandolo a nuove riflessioni e a una visione costruttiva e critica di ciò che lo circonda.