Nell’ambito della seconda edizione del Programma “Le Voci delle Donne”, Publica_lab di Sant’Omero (TE) presenta una collettiva curata da Carla Abril Maizon con nove artiste raccolte sotto il titolo di Tessitrici di Destini perché, parola della curatrice, le autrici invitate “non si lasciano guidare passivamente dalla vita ma scelgono di darle una propria forma”.
Le opere che presentano e che le rappresentano dimostrano come e quanto, pur non sottacendo le fragilità e le difficoltà dell’essere donna, evidenziano lo spirito costruttivo e la forza reattiva contro le avversità: è questo il filo che tesse la trama ideale della mostra, che connette le opere e le rende congiuntamente fruibili.
Ad accoglierci, esposto sulla parete esterna, l’esplicito richiamo all’epica regina itacense, figura emblematica di tessitrice perseverante, astuta, paziente e vincente: il Viaggio di Penelope. È un grande arazzo (360 x 240 cm) progettato da Claudia Villani, confezionato a più mani e in più luoghi della Sicilia con brandelli riciclati. Evoca l’energia propositiva dell’unione di forze e materiali, la possibilità di avviare un nuovo corso – con un procedimento affine alla tecnica di riuso del patchwork – dando nuova vita anche agli stracci.
Coltivare una nuova vita è la missione primaria e inscindibile della donna. Ovvio. Ovviamente è la missione più naturale e, generalmente, più cara a ciascuna anche se talvolta la maternità assume aspetti non perfettamente gaudiosi. Questo si coglie nel Semina paradoxa, la semenza paradossale, la vegetazione inaspettata, che Fatma Ibrahimi dipinge in monocromo nero sulle tre ante di un paravento. Da un lato il baccello che precipita e risalendo si apre per generare la folta, inverosimile vegetazione che invade il paesaggio sull’altro lato. C’è vita rigogliosa, traboccante, ma in un clima inquietante dove la vitalità prorompente sembra minacciare deboli certezze, fragili equilibri, causando il probabile “trauma post-partum” citato dalla curatrice Maizon.


In fragile equilibrio, sospeso a un filo, si muove ad ogni minima sollecitazione il Corpo_01 di Barbara Ventura, astrattamente riportato con veloci tratti grafici su una lunga spirale di delicata carta plissettata insieme a un testo poetico di Candelaria Romero che così esordisce: “Questa pelle è fatta di fili di seta e d’oro si sfilaccia facilmente se usata con noncuranza”. La sofisticata forma scultorea riflette la propria suggestiva fragilità nello specchio fissato a terra, ampliandosi in un accenno all’infinito in accordo col testo trascritto “…. lo specchio riflette un corpo pellegrino trame fragili di una pelle che si desta e sopravvive a sé stessa….”
Destarsi e sopravvivere: Guietiqui dell’artista messicana Antinea Jimena Pérez Castro è il video-racconto di un ancestrale viaggio onirico collettivo a scopo terapeutico compiuto nell’aprile 2022 al termine della pandemia quando era particolarmente sentito e urgente il bisogno di liberarsi dall’incubo del contagio, dimenticare i lutti e “ricongiungersi” alla consueta esistenza. La performance rivive un momento di cura paramedica e psicologica secondo antichi riti collegiali consumati in natura e con mezzi naturali nella ricca vegetazione di un giardino di Morelos, all’ombra dell’antico e poderoso Albero di Tule (guietiqui) dagli stami rosa che, secondo l’artista, “risvegliano la fantasia e il desiderio di trasmutazione”.
Oggetti di palese trasmutazione, di mutazioni necessarie, sono le Mutatis Mutanda di Rosita D’Agrosa incorniciate a breve distanza: sculture riproducenti 5 diverse mutande femminili, ciascuna realizzata con materiale differente (fiocchi di lana bianca, grovigli di tessuto rosa, rete metallica, tulle bianco, tessuto lanuginoso nero), con diversi abbozzi di vulva e diversi inserti di elementi di disagio come rose spinose o secche, chiodi, spilli. Sono tutte della stessa taglia. Il palese riferimento al flusso mestruale offre una interpretazione non convenzionale dell’intimità corporea più nascosta: il disagio legato a quei fatidici 5 giorni, il flusso ematico, lo svolgersi di quei giorni è tutto lì, nel Mutatis Mutanda. In pratica lo scorrere del tempo comporta dei mutamenti necessari, induce a cambiare le cose che vanno cambiate. Come il cambio giornaliero degli slip.
Tolti gli slip, spogliata del tutto, in pose contorte e inusuali: così si ritrae Harita Asumani nel II e III dipinto qui esposti e appartenenti al trittico I’m in a Strange Position. E’ unica e invadente la figura, colta in una posizione strana, instabile ed erotica, in una combinazione di precarietà e gioco, incertezza e ironia. E’ indefinito l’ambiente: solo una base e uno sfondo assolutamente piatti e monocromi con una danza casuale di fiori e foglie di fanciullesca essenzialità. In tal modo le figure sono “immerse nell’euforia della loro esistenza”, secondo la volontà dell’autrice.
Diversa volontà esprime e dimostra Lisa Eleuteri Serpieri impegnata in un progetto di ricerca sulla percezione e rappresentazione del mondo femminile in base allo “sguardo dell’uomo” che genera una concezione maschilista, tuttora dominante, per il quale il corpo femminile è considerato “un territorio da conquistare, dominare, possedere”. Il suo Land bodies II raffigura un allineamento prospettico di gambe e piedi nudi espressi con tinte delicate. La resa visiva sfocata, un esibire celando, sembra voler dissimulare la bellezza di quelle nudità nel tentativo di sviare l’attenzione e le mire di conquista.
Daniela Di Lullo nella serie Climax elabora altrimenti il proprio corpo e lo riversa su tele dipinte a olio di vario formato. Le piccole (30×30 cm) riportano dettagli con una resa minuziosa dei particolari, esito di un esame approfondito di sé e dell’intenzione di manifestarsi. La tela più grande (80×80 cm) è un monocromo violaceo, uno spazio indefinito, popolato da ombre solitarie, vaganti in un limbo senza tempo. Climax induce a considerare il rapporto tra il singolo e gli altri, a riflettere sulle certezze individuali che svaniscono negli ingranaggi del sociale.

Non svanisce, anzi si afferma con vigoria di immagini, e colori la Molecola Libera Indigena realizzata da Paola Tassetti con una commistione di serigrafia, inchiostro, pastelli e olio su tela. Il torso mutilato di un’antica statua femminile evolve nella esplosione degli organi che sprizzano oggetti variopinti e di vario genere, una metamorfosi surreale che allude alla missione generatrice della donna, alla potenza dell’atto creativo, alla ricchezza del risultato.
Ognuna delle opere in mostra è come un panno diversamente concepito e tessuto che si confronta e si lega agli altri con il filo sottile ma resistente delle doti femminili, anche se instabili, ignote o ignorate. Nell’insieme rispettano l’intento della curatrice Carla Abril Maizon in quanto, grazie alle all’unicità di ognuna e nonostante le singole diversità, con-figurano la tela ancestrale e mai finita delle pulsioni, delle fragilità, delle risorse e delle contraddizioni che animano il pianeta donna.