Al Palazzo dei Diamanti di Ferrara, la retrospettiva dedicata ad Alphonse Mucha si avvia alla conclusione, offrendo l’ultima opportunità per immergersi nell’armoniosa fusione tra l’eccellenza artistica del maestro boemo e la raffinata sensibilità curatoriale di Tomoko Sato. L’allestimento, esemplare nella sua concezione museale, ha saputo coinvolgere un pubblico eterogeneo, dal conoscitore esperto all’occasionale fruitore d’arte. La visione della curatrice va oltre la semplice esposizione didascalica, creando una narrazione fluida e avvolgente che introduce lo spettatore nel complesso universo di un artista la cui profondità sfida ogni facile categorizzazione. Mucha è rigorosamente contestualizzato nella sua epoca storica, rivelandone la sua poliedricità senza indulgere in riduzioni semplicistiche. Attraverso una meticolosa selezione di 140 opere – tra dipinti, disegni, fotografie, manifesti e oggetti d’arte applicata – l’esposizione svela l’eccezionale versatilità di Mucha, non solo come pittore e illustratore, ma anche come fotografo, scenografo, progettista d’interni, creatore di gioielli e innovativo designer di packaging. Autentico plasmatore di stile agli albori della modernità, Mucha intesse nel suo linguaggio visivo influenze disparate e feconde: dai Preraffaelliti alle xilografie giapponesi, dagli elementi naturali alle decorazioni bizantine e slave. Il risultato è un idioma visivo peculiare e immediatamente riconoscibile, battezzato come “Le style Mucha”. La curatrice mette in luce la complessa fisionomia di Mucha, evidenziando il suo profondo impegno intellettuale e spirituale che travalicava la mera sfera artistica. Mucha operava come precettore, filosofo e pensatore politico, animato dalla ferma convinzione nel potere dell’arte come strumento di progresso umano e pacificazione sociale, e da un fervore patriottico concretizzatosi a partire dal 1910.
Il percorso espositivo si snoda attraverso l’intera produzione dell’artista, dagli esordi nella Parigi bohémienne della Belle Époque fino ai frutti maturi della sua attività in patria, dove dedicò il suo ingegno al servizio della nazione. La mostra si apre con un’evocazione delle radici morave di Mucha e prosegue con la sua folgorante ascesa al successo, emblematicamente sancita dai celebri manifesti realizzati per Sarah Bernhardt che, insieme ai pannelli decorativi con figure femminili eteree e sensuali, divennero presto l’archetipo dell’emergente Art Nouveau. Le sale successive approfondiscono la sua eminente figura nel contesto dell’Esposizione Universale di Parigi del 1900 e la sua fama oltreoceano, con un focus particolare sulla ricezione americana che lo consacrò come «il più grande artista decorativo del mondo». L’ampia sezione conclusiva della retrospettiva è dedicata alle opere significative provenienti dal monumentale ciclo pittorico dell’Epopea Slava, riconosciuto come il culmine della sua espressione creativa. In chiusura, la mostra celebra la persistente risonanza di Mucha attraverso un’intera parete interattiva che illustra come la sua opera, un tempo avidamente ricercata sui manifesti parigini e oggi reinterpretata digitalmente, mantenga intatta la sua intrinseca modernità. La sua arte, sorprendentemente attuale e rivoluzionaria come nel 1895, continua a permeare e a risuonare in numerose sottoculture contemporanee, dalla street art alla moda, dai tatuaggi ai manga online, palesando la sua influenza duratura e la sua perenne capacità di ispirare nuove generazioni di artisti e appassionati.


La scelta di Pietro Di Natale di affiancare alla retrospettiva di Alphonse Mucha l’esposizione di 40 opere di Giovanni Boldini, provenienti dall’omonimo museo, si rivela di particolare efficacia. Questo accostamento instaura un dialogo stimolante tra due luminari della Belle Époque parigina che, pur adottando idiomi stilistici distinti, seppero cogliere l’essenza della donna moderna, offrendo due visioni complementari del fascino femminile tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. La convivenza delle due mostre configura come un’immersione in due universi artistici paralleli che, pur differenziandosi nel linguaggio, fiorirono nella vibrante atmosfera della Parigi fin de siècle, lasciando un’impronta tutt’oggi risonante nella storia dell’arte. La ricercata curatela ha saputo comunicare questa complessità in maniera esaustiva.