La tensione spaziale che si avverte entrando nella galleria A arte Invernizzi non può lasciare indifferente nemmeno il visitatore più distratto. Infatti ciascuna opera possiede una forza intrinseca esplicitata tanto nella materia quanto nel processo esecutivo che ha portato alla generazione dell’immagine stessa che si dà a vedere.
L’esposizione collettiva Spazi sensibili, a cura di Francesca Pola, è un invito ad indagare, attraverso la presenza attiva delle singole opere e il loro relazionarsi le une con le altre, le molteplici dimensioni sensibili dello spazio.
L’essenzialità formale è il fil rouge sotteso al modus operandi di ogni artista: da un lato Riccardo De Marchi e Arcangelo Sassolino evidenziano la fisicità del gesto impresso nelle loro opere, il primo materializzando il vuoto con le sue traiettorie di buchi e il secondo attraverso la deformazione della materia; dall’altro Philippe Decrauzat e Martina Klein generano superfici sensibili e percettive, l’uno sfruttando il colore per produrre distorsioni visive e l’altra articolandone plasticamente la forma che, a seconda del movimento del visitatore nello spazio, muta nel suo farsi immagine.
Le due sale espositive al primo piano presentano un ambiente completamente neutro: un perfetto white cube in cui interagiscono opere giocate sui toni del bianco e del nero, oppure su scale di grigi. Qui la percezione del visitatore è catturata dalla presenza immateriale delle superfici bucate di Riccardo De Marchi, in cui sia la materia quanto il vuoto concorrono a definire l’opera, accentuandone la struttura attraverso le luci e le ombre; analogamente in Senza titolo 10, 2021 e Senza titolo 6, 2020 di Arcangelo Sassolino ciò che si dà a vedere sono le tracce di un’azione meccanica precedente che ha portato alla deformazione della superficie dell’opera, la quale riverbera nello spazio circostante i moti vibranti della materia. Moti che risuonano nell’opera (No Pussyfooting II), 2017 di Philippe Decrauzat, in cui convivono forze centripete e centrifughe generate dagli effetti ottici e visuali determinati dalla stesura della materia pittorica.
Continuità reiterata al piano inferiore cui però si contrappongono le articolazioni plastico-cromatiche di Martina Klein (Untitled, 2017), una serie di monocromi colorati che si estroflettono dalla parete per la comprensione dei quali diviene imprescindibile il movimento del visitatore nello spazio.
La mostra permette di vivere un’esperienza coinvolgente ed immersiva in grado di attivare i sistemi percettivi di chi osserva, affinché attraverso il proprio “esserci” ci si possa relazionare e si possa assimilare la presenza sensibile delle opere nello spazio, accedendo così ad una dimensione mentale che diviene luogo di accadimenti sensoriali in tempo reale.