Lo spazio d’arte indipendente Cosmo, inauguratosi a Roma nel febbraio del 2022 al civico 13 di Piazza Sant’Apollonia in Trastevere sotto la direzione artistica di Zaelia Bishop, si aggiunge ad una serie di realtà virtuose che abbiamo già avuto modo di segnalare e che stanno prendendo sempre più spazio nei centri storici contribuendo in qualche modo a contrastare quella sensazione di spiazzamento e disumanizzazione che sembrava dover essere legata inevitabilmente all’esperienza urbana globalizzata, dimostrando come essa può essere ribaltata trasformandosi in qualcosa di assai più stimolante e positivo grazie all’interazione con l’opera d’arte, ovvero in virtù di una sua presentazione al pubblico capace di muoversi nei territori della complessità regalandoci nuove mappature della condivisione sociale e della sensibilità verso l’altro.
Il progetto espositivo di Cosmo si è mosso sin dai suoi esordi in una direzione di questo tipo puntando però non soltanto sulla capacità di performer, artisti, curatori o interi team tecnici, di guidare il pubblico ad una modalità di fruizione preordinata, quanto su quella di favorire, ciascuno per il proprio verso, lo stabilirsi di un dialogo attivo con chi guarda e ascolta. Il tutto all’insegna di un unico principio di fondo: quello della presa d’atto flagrante o subliminale che sia, della convivenza fra passato e presente, nel luogo in cui ci troviamo. Una co-presenza da ricondursi non tanto ad astratti principi stilistici, ancora passibili di essere evidenziati, quanto al permanere concreto di tracce del vissuto quotidiano, del lavoro, delle abitudini e delle aspirazioni, di chi ci ha preceduto.
Con la rassegna di video-arte Odds, rarities and B-sides, a cura di Nicoletta Provenzano, questo tipo di modello operativo sembra sia riuscito a raggiungere una sorta di stato di grazia con un continuo riequilibrarsi tra entità impalpabili, tanto più degno di nota in quanto ottenuto a partire da forme di narrazione e suggestioni estetiche molto diverse tra loro.
Siamo sicuramente di fronte ad una notevole abilità nell’unire gusto, competenza, ispirazione e capacità di connettere il diverso nell’unitario, come dimostra il lucidissimo testo esplicativo con cui la curatrice ci introduce alla rassegna indicandoci caso per caso una possibile chiave di lettura da privilegiare, ma in parte siamo anche di fronte ad un risultato che ha il suo centro di gravità nel ripensamento dell’essere umano inteso come persona che vive e si interroga entro le proprie coordinate storico antropologiche.
Il titolo della rassegna Odds, rarities and B-sides allude ad evidenza al mondo della registrazione su disco di canzoni e brani musicali, ma in qualche modo allarga anche lo sguardo all’universo dei bestiairi mediovali o delle Wunderkammer, ovvero a forme di collezionismo che non si ammantano di scientificità ma tengono principalmente conto di tutto ciò che ha contribuito a dare il sapore ad un’ epoca.
Nel video Märzwasser di Anica Huck vediamo una giovane donna vestita di rosso che da un lago ai piedi della Marmolada raccoglie in una tanica dell’acqua proveniente dallo sciogliersi delle prime nevi di Marzo e, attraversando uno splendido paesaggio, si reca in una sorta di alpeggio dove certamente chi abita il luogo saprebbe bene come usare e valorizzare una simile risorsa. Le costruzioni in legno che si stagliano sullo sfondo delle montagne hanno volumi semplici e funzionali che pur senza nessuna pretesa estetica ci appaiono perfettamente adeguati da un punto di vista formale al tipo valori antropologicicertamente tipici di quelle zone. Un attimo dopo però vediamo la donna camminare per le strade di Venezia, percorrere il margine di un canale e addentrarsi nell’abitato fino a giungere ad un campo dove è presente un bellissimo esemplare di quelle vere da pozzo di cui la città, a partire dal XIV secolo, si dotò per cercare di risolvere l’eterno e paradossale problema della mancanza di falde sotterranee cui attingere per tutte le necessità collegateall’acqua potabile. Il pozzo destinato alla raccolta pluviale è un bellissimo pezzo di scultura e si integra perfettamente all’architettura circostante che come sempre, nel centro storico della città lagunare, rappresenta un incastro di valori formali e decorativi irripetibilmentecollegati alla vita e ai ruoli simbolici ricoperti dagli abitanti.
Ancora un’immagine al femminile è la protagonista del lavoro di Alessio Ancillai Memory, Comma, Line Dot, quella di una donna che nel pronunciare termini relativi al linguaggio inteso come emissione di voce e alla comunicazione verbale riguardata dal punto di vista della sua articolazione, riesce invece a coinvolgerci e a produrre in chi guarda e ascolta la sensazione di un narrare forse non angoscioso ma certamente allarmato e commosso, di sicuro non aggressivo ma comunque abitato da un’istanza di protesta non più passibile di essere occultata. Il tutto ovviamente da inserirsi nel contesto più ampio di una ricerca sulle caratteristiche che contraddistinguono l’essere umano come tale.
Protagonista del video Avanzi di Elena Mazzi è invece la popolazione stessa di un antico paese d’Abruzzo, Guilmi, dove gli abitanti intervengono con cordialità ad una sorta di riunione in cui un loro rappresentante, giunto nella parte alta del borgo con un furgone, si accomoda su una sorta di palco di fortuna e comincia a sciorinare da un megafono uno strano racconto nel quale mescola, tramite un tipo di affabulazione in parte dotta e in parte contadinesca, valori civili e sociali ancora attuali con arcaiche credenze a sfondostregonesco e superstizioso curiosamente presentate come compatibili con la fede cristiana. E’ ovvio che da un punto di vista scientifico nulla di tutto questo può aspirare ad una qualche forma di concretezza, ma è altrettanto vero che tutto l’insieme lascia piacevolmente sorpresi non solo per la cordialità che avalla e diffonde, ma anche per una sorta di intuizione di fondo: non buttare via del tutto gli avanzi del passato ma in qualche modo tenerne viva la memoria a certe condizioni di salvaguardia etica, è assai più un valore che non un disvalore.
Il linguaggio verbale, con la sua infinita ricombinabilità di elementi minimi in strutture via via più complesse, sembra invece essere l’obiettivo del video Altered State di Bianco Valente. La proiezione infatti ci sciorina dinnanzi agli occhi i frammenti di un discorso trattodai diari che il chimico svizzero Albert Hofmann ha tenuto nel 1943 relativamente alla sua sperimentazione in prima persona sulle potenzialità che l’LSD ha di alterare le nostre strutture sensoriali. Il testo in questione sembra non mancare di nulla dal punto di vista della sua costruzione sul piano del significante, fonemi, monemi, sintagmi, proposizioni sono presenti, visibili e direi anche tastabili, solo non siamo in grado di seguirne il corretto susseguirsi e di verificare se abbiano un senso. Le varie componenti del testo infatti ci sono presentate per tempi troppo brevi o con misure troppo variabili, o non allineate lungo una ideale pagina ordinata per righe più o meno continuative. Siamo di fronte ad un paradosso? Formalmente no in quanto la mente umana ha bisogno di determinati tempi per poter mettere in opera la decriptazione necessaria. Siamo dunque soltanto di fronte ad un problema psico-fisiologico? Sicuramente no, ma a nessuno viene in mente di arrendersi subito al tentativo di lettura perché quelle parole in qualche modo ci sfidano, ci guardano beffarde e sembrano anche aggredire la nostra buona fede insufflando nel nostro preconscio il dubbio che esse nascondano dietro un disordine esclusivamente materiale altre forme di disordine che il normale discorso di tutti i giorni nasconde anch’esso come un infido complice nel quotidiano.
Karin Andersen con il suo Licantropia Consentia – Exercise 02 – _Arenella sembra voler prendere di petto un problema che tutti tendiamo a rimuovere dalla nostra coscienza storica, assai più di quanto non ci sembri, quello della ricostruzione del vero rapporto che la popolazione umana ha stabilito attraverso secoli e millenni con gli altri abitatori del pianeta. Naturalmente non c’è un nemico da smascherare o un qualche segreto custodito gelosamente in qualche antico testo volutamente tenuto lontano dall’uomo comune. Ci sono però molti rituali e molte immagini che ci provengono dalla preistoria, la cui capacità di inquietare l’uomo moderno è stata progressivamente trascurata fino a quando la scienza non ha dato la sua definizione irreversibile di cosa sia l’uomo civile e di quali decisioni abbia diritto a prendere per salvaguardare la sua piena coincidenza con un ideale di superiorità assoluta razionalmente giustificata.
Tutte questioni che Karin Andersen va studiando da sempre e continua a studiare. Nel video presentato fa qualcosa di meno impegnativo sul piano della documentazione ma forse più efficace sul piano del coinvolgimento del pubblico. Organizza nella stazione marittima di Arenella in Calabria un consesso di sei donne che si salutano, si guardano e ci guardano, ci vengono incontro con passo sicuro sembrano continuare tra loro discorsi avviati da sempre. Il tutto senza minimamente nascondersi o nasconderci la presenza sui loro arti o le loro teste di zone limitate di pelame o pelo animale che in qualche modo le distingue proprio in quanto né esibito né nascosto ma più semplicemente accettato come traccia di un tributo che prima o poi sarà ufficializzato e a suo modo pagato.
Il lavoro del collettivo Citron I Lunardi 2m² non guarda al passato nell’attesa di poterne correggere gli errori, ma guarda direttamente dal futuro. Un futuro imprecisato i cui la cattiva gestione dell’ambiente sembra aver trasformato il nostro pianeta in una sorta di immensa e indeterminata palude, in cui galleggiano isole di detriti di cui non è facile e neppure importante stabilire la massa e la consistenza. All’insegna di un lento ma inquietante rimescolarsi delle acque appare ad un certo punto una sorta di isolotto che sembra fatto di sterpi ed altro materiale in qualche modo meno informe di quanto sembri, sopra è poggiato una sorta di involucro bianco e parzialmente malleabile che,avvicinandosi a chi guarda, ci rivela una forma indubitabile, quella di un nudo di donna dormiente che sembra quasi derivato dal calco di una persona reale o di una statua accademica. Non sappiamo nulla sul significato di questa pigra apparizione, ma chissà perché essa sembra confortare le nostre speranze che qualcosa possa ancora mutare.
Il video di Iginio De Luca L’ultimo emigrante si distingue da subito sia per la stringente metafora che incarna che per la semplicità dell’esecuzione. Un pupazzo gonfiabile alto circa sei metri è legato ad una pedana di cemento sul bordo di una strada sicuramente provinciale, ma di grande traffico. Il suo aspetto è elementare come quello di un birillo o di una immagine pubblicitaria. Le gambe sono rappresentate da un unico cilindro giallo, mentre il tronco e le braccia volutamente troppo lunghe sono grigie. Un soffio d’aria lo agita incessantemente, in modo tale che egli sembri sempre sul punto di afferrare qualcosa, così come lo slancio del corpo ce lo mostra sempre pronto ad avviarsi e a lasciarsi trasportare dal vento. La sua base di pietra tuttavia è chiaramente troppo pesante per poter essere rimossa e non è difficile vedervi il simbolo dei tanti pregiudizi che legano l’emigrante al paese d’origine, ai suoi doveri verso la famiglia ma anche ad una serie serie di paure e false certezze che non gli permettono di aprire la sua mente nei confronti del nuovo mondo. La struggente canzone di Mario Merola che accompagna l’immagine per tutta la durata della ripresa fuziona perfettamente.
Anche Echoes of a Forgotten Embrace del duo artistico Apotropia potrebbe essere considerato una semplice metafora: quella di due corpi che non riescono più a trovare lo slancio e l’energia per unirsi in un abbraccio coinvolgente ed appassionato come quelli avuti in passato, solo che qui forse siamo andati più avanti in quanto, ad essere portatore di significato non è più un’immagine creata e messa in scena di proposito, ma una esibizione delle possibilità espressive del mezzo stesso, di un apparato di derealizzazione che si affida ai suoi stessi funzionamenti o malfunzionamenti per colpire al cuore la nostra lettura dell’immagine.
Più come un immagine di un mondo insospettabile, ma saldamente catturato tramite la sua propensione all’uso del collage 2D, che non come una creazione autonoma caricata di significati reconditi, va infine visto il brevissimo video intitolato La vida que desonoscemos di Miss Sam, poliedrica esploratrice dell’universo musicale planetario e dell’illustrazione pubblicitaria dei nostri giorni. Il video ci presenta una giovane donna seduta su di una roccia in una landa desertica. In mano ha una elegante stellina con un gambo lungo e leggero. All’improvviso una sorta di tempesta magnetica gli fa volar via la stella che viene subito ingoiata e inghiottita da un fiore fuori misura che le è accanto. La donna si rassegna senza nessun disappunto visibile, anche se in realtà potrebbeaccorgersi che su un pianeta stagliato nel cielo alle sue spalle una ragazza nella sua stessa posizione, ma seduta su di un panno bianco, non ha subito lo stesso trattamento. L’atmosfera e i personaggi richiamano alcuni celebri disegni simbolisti di Odilon Redon. Ma le vie dell’interpretazione rimangono aperte e proiettate verso il futuro.
In conclusione, una breve riflessione sulle suggestioni ambientali messe in rilievo dalla logica espositiva della rassegna, ci porta in qualche modo a sottolineare quella unicità della relazione tra opera, spazi per l’arte e centri storici di cui abbiamo già accennato in principio. La scelta infatti di proiettare i video sulla parete nuda in una sorta di cripta un tempo annessa ad un edificio religioso, fa si che la stratificazione di intonaci presenti sul muro interferisca in maniera prepotente sulla visione dei video creando una sorta di trama, un sottofondo attivo che modifica in qualche modo la purezza delle immagini stimolando in chi guarda nuove associazioni di idee. Il supporto entra nell’opera e l’opera ingloba il supporto, rendendo così l’esperienza e la fruizione del lavoro artistico unica e irripetibile.