Questa è la prima impressione sulla vigorosa esposizione personale Open-end di Marlene Dumas curata da Caroline Bourgeois, a Palazzo Grassi di Venezia. Una mostra che racconta del viaggio personale e intimo dell’artista, tra le sue conoscenze, i suoi simboli e suoi poeti.
L’artista, nata a Città del Capo il 3 agosto 1953, ha vissuto la giovinezza nel periodo dell’apartheid, toccando con mano le sue distorte classificazioni. Come un “nuovo San Tommaso” non si è però sottratta alla crudeltà, all’aberrazione umana cui è rimasta a contatto per diversi anni, prima di trasferirsi ad Amsterdam, dove tutt’ora risiede. Dumas, al contrario, ne ha raccontato l’essenza, la più profonda declinazione nell’intimità dei corpi di chi ha vissuto nell’irragionevole emarginazione, per via del colore della propria pelle, delle preferenze sessuali o di una professione non moralmente legittimata. Tralasciando i contorni ed il loro lirismo, ha rappresentato figure che sono anzitutto corpi senza limiti, che si denunciano nella loro sfacciata libertà. Per Dumas, tuttavia, non si tratta solo di fornire visibilità, di riportare alla vista, ma di ridare corporeità materiale all’eluso.
Le opere sono per la quasi totalità tratte da modelli fotografici appartenenti all’archivio visivo dell’artista: indicazioni, pensieri, temi cui il pennello dà compiutezza di significato.

Sono tele e carte lussureggianti, ricche di pathos e di erotismo, non solo per i soggetti trattati, ma soprattutto per la materialità stessa della pittura che si fa strumento di seduzione. I lavori di Marlene Dumas sono infatti privi di linee o contorni: la materia pittorica, stesa non solo a pennello, ma anche con le mani, diventa espressione di un approccio all’arte quasi infantile, che prescinde da ogni categoria e categorativismo. Interessantissimo in tal senso è il progetto Underground, 1994-1995 realizzato con la figlia che, sopra ai volti delineati in bianco e nero dalla madre, ha agito imbellettando e arricchendo le opere con colori sgargianti. Un’azione pittorica spontanea che trova eco in un altro dipinto in mostra: The painter, 1994. Qui il ritratto della bambina – le cui mani intrise di pittura sono come macchie di puro colore della stessa tela su cui sono dipinte – si sovrappone al corpo della madre “the painter” nella cui azione si realizza il quadro.
È quindi questa attenzione per la materialità, per il “corporeo”, che trascende in certa misura la figurazione e che si erge a dignità di soggetto, ad essere una delle più evidenti caratteristiche della pittura di Dumas. Ciò che infatti già in The painter era alluso, nelle mani piene di colore della bambina, si chiarifica in opere come Blue Marilyn 2008. Qui lo stato d’animo dell’attrice hollywoodiana non è soltanto reso nell’espressività del suo volto, ma soprattutto attraverso l’intenso amalgama blu che lo circonda e si espande fino quasi a nasconderne i tratti, invadendo lo spazio. Anche quello al di là del quadro.
I soggetti di Dumas, infatti, non appartengono allo spazio della figurazione, quello finzionale giocato su illusioni e prospettive, ma a quello ad essi “esterno”, ossia il luogo in cui le tele stesse sono collocate. Il quasi totale appiattimento dello sfondo, a volte soltanto alluso, ma per la maggior parte dei casi del tutto omesso e sostituito da puro colore, conduce infatti alla decontestualizzazione dei soggetti dal loro “spazio-tempo” di appartenenza, dalla finzione della loro rappresentazione. è quindi più semplice, per chi li osserva, accoglierli nella propria dimensione, declinandone intenti e significati.

Il cuore delle opere di Dumas risiede proprio in questo fascino palpabile dell’immanenza, del corpo-pittura che si offre alla vista con piacere esibizionista e che tanto facilmente si fa rapire dallo sguardo attrattivo di chi osserva.
Ciò che non può sfuggire ad una visione più ravvicinata è però ciò che circonda e sottende la carnalità: il tragico e inseparabile legame con l’essenza peritura di ciascuna cosa. Non si può nascondere il fetore che si cela nel piacere di ciò che appartiene alla dimensione dell’umano. È la bellezza nella dissoluzione che si respira negli impasti dei colori di Dumas, la bellezza che, direbbe Charles Baudelaire, “cammina sui cadaveri”.
Non sorprende quindi che lo scrittore e traduttore Hafid Bouazza abbia affidato l’incarico a Marlene Dumas di illustrare le sue versioni olandesi de Lo spleen di Parigi di Charles Baudelaire e del poemetto Venere e Adone di William Shakespeare. In entrambi i casi si tratta di desiderio e di amore, di morte, decomposizione e trasformazione, che ella riesce a rendere già a partire dalla resa pittorica dei soggetti.
Mentre l’arte di un mondo digitalizzato e iperconnesso assiste alle sperimentazioni digitali NFT, Marlene Dumas – con questa mostra in uno dei centri nevralgici della Venezia-fuori-dalla-Biennale – riconosce il potere sempre contemporaneo del materico, della presenza fisica del corporeo. Quella pulsione analogica che si percepisce nello stomaco, che nessuna operazione digitale potrà surclassare.
Marlene Dumas
Open end
Palazzo Grassi, Venezia
dal 27 marzo 2022 all’8 gennaio 2023
https://www.palazzograssi.it/it/mostre/in-corso/open-end-marlene-dumas/